L’inclusione passa per la mobilità
Le persone utilizzano i mezzi trasporto diversamente in base al genere, all’età, alla classe sociale. Un nuovo studio europeo parte dai dati disponibili per proporre politiche per la parità e l’inclusione nella pianificazione della mobilità
In occasione dell’8 marzo, il gruppo parlamentare The Left ha lanciato lo studio che abbiamo scritto e curato come ricercatrici della Fondazione Giacomo Brodolini, intitolato Mobility for all. How to better integrate a gender perspective into transport policy making, con un evento al Parlamento europeo che ha coinvolto europarlamentari e rappresentanti della società civile.
La ricerca approfondisce in una prospettiva intersezionale la questione di genere nei trasporti all’interno dei paesi dell’Unione europea, e include una guida rivolta a policy maker e soggetti coinvolti nella pianificazione dei trasporti, per tener conto di bisogni specifici rispetto al genere e all’intersezione con diverse forme di vulnerabilità.[1]
La guida si sviluppa sui cinque assi che la ricerca ha mostrato essere centrali per lo sviluppo di politiche e l’implementazione di piani e infrastrutture per un sistema di trasporti inclusivo. Nello specifico: la violenza, la mobilità per ragioni di cura, la sostenibilità, la fragilità (considerando età e disabilità) e la povertà. Lungo ciascun asse la guida si articola in quesiti adattabili a differenti contesti di governance (locale, regionale, nazionale).
Il documento è un invito per governi e amministrazioni a riflettere sulla concreta capacità del trasporto pubblico nel sostenere donne e uomini nel raggiungimento degli obiettivi di parità di genere e sulla trasparenza del processo decisionale che riguarda i trasporti. Proprio per garantire questa trasparenza la guida pone l’accento sulla reale partecipazione della società civile, particolarmente le organizzazioni delle donne, specie se femministe e transfemministe, alla pianificazione e gestione dei trasporti in tutte le fasi.
Quel che accomuna tutti e cinque gli assi in cui si articola la guida è l’invito a raccogliere sistematicamente dati disaggregati per genere e se possibile anche altre caratteristiche degli utilizzatori dei trasporti (età, origini etniche, condizione di disabilità…). Ciò permetterebbe di meglio definire i target degli interventi. Infatti, è la carenza di dati disaggregati a non permetterci di affrontare il tema della mobilità a livello locale con la sensibilità al genere e alla vulnerabilità che lo studio stesso vuole promuovere. Anche rispetto alla raccolta dei dati è essenziale coinvolgere la società civile che ha sviluppato competenze che possono contribuire a comprendere meglio i bisogni delle persone.
I dati disponibili sull’utenza distinti per genere, raccolti su un campione rappresentativo a livello dell’Unione europea e dei singoli stati membri, ci dicono ad esempio che se per gli uomini la maggior parte degli spostamenti è legata a ragioni di lavoro (53%), per le donne gli spostamenti si dividono tra lavoro (23%) e famiglia. Il lavoro di cura, come accompagnare qualcuno in auto, rappresenta il 20% dei loro spostamenti quotidiani.[2] Inoltre, le donne sono le maggiori fruitrici del trasporto pubblico e compiono spostamenti più brevi e articolati nel quartiere di residenza o con i quartieri confinanti, gli uomini invece compiono spostamenti più lunghi e lineari.
I dati sulla pianificazione del trasporto pubblico, d’altra parte, ci dicono che è proprio questo secondo tipo di spostamento il modello più utilizzato dai policy maker che così facendo non sono in grado di mettere in campo un servizio che vada incontro alle reali necessità dell’utenza che è in maggioranza femminile. Per questo la guida inclusa nello studio richiama l’attenzione su aspetti come la coerenza di orari e connessioni con la giornata tipo delle famiglie con bambini piccoli, sull’esistenza di trasporti all’interno dei quartieri, e sottolinea l’importanza di verificare l’esistenza di percorsi protetti, servizi di scuolabus, connessioni, l’accessibilità e la disponibilità di informazioni.
Lo studio affronta anche la questione di genere all’intersezione con l’età e la disabilità. Le barriere architettoniche e la scarsità di informazioni sono fattori che scoraggiano le persone che vivono con disabilità motorie, anche dovute all’invecchiamento, dall’utilizzare i mezzi di trasporto pubblici e in molti casi dall’essere autonome. I dati raccontano che solo 7 su 100 donne dopo i 75 anni possiedono un’automobile e che la maggior parte delle donne fa affidamento sui propri partner uomini per gli spostamenti.[3]
Considerando che negli anni a venire la popolazione in età adulta e anziana è destinata ad aumentare in proporzione alla popolazione più giovane – secondo i demografi, entro il 2060 dovremmo raggiungere i 516,9 milioni di persone in Europa, a fronte dei 503,7 milioni del 2012 –, e che è molto più probabile che queste persone siano donne, un approccio intersezionale suggerisce di organizzare un servizio di trasporti efficiente perché possano continuare a muoversi in autonomia. Rispetto alla disabilità, la guida inclusa nello studio oltre a richiamare al rispetto dei requisiti di accessibilità e informazione imposti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità suggerisce ai policy maker di considerare aspetti specifici di genere.
Lo studio riferisce anche dati sulla sensibilità ambientale, rivelando che le donne sembrano riconoscere di più le conseguenze ambientali dell’inquinamento. Sappiamo infatti dalle indagini di Eurobarometro che il 79% delle donne ritiene il cambiamento climatico un problema molto grave (gli uomini sono il 76%), e l’80% delle donne si è detto totalmente d’accordo sul fatto che le questioni ambientali hanno un effetto diretto sulla nostra vita quotidiana e sulla salute (gli uomini sono il 76%), ed è il 69% delle donne a pensare che non stiamo facendo abbastanza per affrontare il cambiamento climatico (gli uomini sono il 66%).[4]
L’invito è anche quello di considerare la sostenibilità come questione sociale: non dovrebbe spettare ai più deboli sostenere i costi della transizione verde. Per questo è importante che si introducano azioni per rendere meno onerosa la de-carbonizzazione sia offrendo alternative per la mobilità, sia attraverso servizi verdi che però prevedano costi calmierati.
Nel trasporto pubblico esiste poi un rischio molto alto di molestie sessuali sia per le donne sia per le persone Lgbtqia+, che potrebbe essere mitigato introducendo una prospettiva di genere nel disegno delle infrastrutture e nella pianificazione dei trasporti, mettendo in atto attività di formazione per il personale e campagne sensibilizzazione per i passeggeri.[6] Per questo le domande da porsi per i policy maker riguardano proprio garantire l’esistenza di questo tipo di misure con una attenzione particolare alla condizione di vulnerabilità multiple che aumenta la probabilità di subire delle molestie.[7]
La dimensione della povertà dei trasporti (mobility poverty) è un altro concetto complesso indagato dallo studio sulla base di ricerche scientifiche e statistiche che hanno evidenziato come una limitata mobilità induca all’esclusione dall’opportunità di fruire di servizi, di cogliere offerte di lavoro, di vivere la cultura e lo spazio sociale. In tali condizioni, la dimensione di genere incide in modo peggiorativo nei confronti delle donne, che sono le più esposte alla precarietà lavorativa anche a causa delle responsabilità di cura.
Senza contare che le zone urbane periferiche di norma meno servite dai trasporti pubblici sono quelle più popolate da persone povere e con background migratorio. In questo caso l’accesso al trasporto significa anche accesso al mercato del lavoro e alle opportunità di avere un’occupazione di qualità. E significa affrontare l’accesso ai servizi sanitari, dunque alla possibilità di potersi curare, all’educazione e alla cultura.
È necessario che governi e amministrazioni si chiedano quindi quali sono le aree di attrazione maggiori per il lavoro, se i trasporti soddisfino i bisogni di collegamento e se esistano strumenti per agevolare l’accesso al trasporto pubblico delle meno abbienti.
In altre parole, un sistema di trasporti ben funzionante sarebbe in grado di supportare una maggiore inclusione sociale, consentendo alle persone di partecipare attivamente alla vita pubblica, indipendentemente dal loro genere, luogo di residenza e dalla loro posizione socio-economica. È proprio a partire da queste considerazioni che lo studio ha messo a punto uno strumento che vuole indurre operatori del settore, decisori ed esperti di pianificazione urbana a porsi delle domande importanti per la vita quotidiana delle persone che vivono e si spostano sul territorio a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.
Note
[1] La ricerca considera il genere in un senso più ampio rispetto al binarismo uomini/donne, e considera differenti forme di vulnerabilità che possono intersecare e peggiorare l’accessibilità delle persone ai trasporti. Tra queste, l’orientamento sessuale, l’età, e il background migratorio.
[2] Eurobarometer (2014). Quality of Transport, Special Eurobarometer Report, No. 422a.
[3] EMTA (2007), Older people and public transport. Challenges and chances of an ageing society
[4] Eurobarometer (2020), Protecting the environment and clima
[6] FRA (2020), A long way to go for LGBTI equality
[7] Si veda per approfondire, Ortega Hortelano, A., Grosso, M., Haq, A., Tsakalidis, A., Gkoumas, K., Van Balen, M. and Pekar, F. (2019). Women in European transport with a focus on research and innovation, Publications Office of the European;
Institut Paris Region (2019), The feeling of insecurity in public transport in the Paris region in 2019
Roberta Paoletti, Silvia Sansonetti
23/3/2023 https://www.ingenere.it/
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