LINEA D’OMBRA: CHI SONO OGGI I NOSTRI MIGRANTI?

Il mondo del post-guerra fredda è composto da persone in movimento. Insieme all’invecchiamento della popolazione, le migrazioni rappresentano la cifra caratterizzante di questo inizio di terzo millennio. Nonostante siano nate con l’uomo, oggi più che mai caratterizzano le dinamiche umane. La globalizzazione del nuovo mondo dopo la seconda guerra mondiale, generando quel fitto intreccio di rapporti di forza tra Europa, Stati Uniti e Medio Oriente, tra Nord e Sud del mondo e tra Asia ed Occidente, ha prodotto un modello umano che fabbrica immigrazione, per i meccanismi stessi su cui si fonda.

Tuttavia, le migrazioni non sono tutte uguali. Quando si parla di migrazioni e migranti, la tentazione degli occidentali (quantomeno in Italia) è di cadere nel vizio, che implacabilmente stereotipa, di abbandonarsi al paradigma binario, cristallino, che separa i buoni dai cattivi; di costruire ogni argomentazione a partire dalla rabbia degli invasi o da quella dei pietosi. Tutti noi applichiamo alla complessità del fenomeno delle semplificazioni brutali.

Analizzare i dati, valutare le condizioni iniziali; prestare attenzione alle cause e ai motivi di ogni singolo caso.

Le migrazioni avviate nel 2015 con la prima rotta balcanica, e tutte quelle che negli ultimi cinque anni hanno costeggiato i confini slabbrati e violenti del Nord Africa per abbracciare il Mar Mediterraneo, hanno portato sul territorio europeo un tipo di migrante che prima si conosceva poco; non si tratta quasi più di migranti che lasciano le proprie terre d’origine (per un periodo limitato o per sempre) per desiderio di migliorare la propria vita, o spinti dall’attrazione verso l’Europa, narrata come una terra promettente; non sono i migranti delle catene migratorie degli italiani negli Usa o in Canada, o dei turchi in Germania o dei Marocchini in Olanda: questi appartengono ad un tipo di migrante che era chiaramente inquadrabile dal punto di vista giuridico e pertanto accedeva a procedure di integrazione (o di espulsione) che erano ben chiare.

Le rotte balcaniche e mediterranee degli ultimi anni hanno portato in Europa un tipo di migrante che sfugge alle classificazioni classiche: le conseguenze politiche e sociali della fine delle primavere arabe e dei conflitti in Siria e in Iraq, il fallimento di interi Stati come la Somalia o la frammentazione politica di altri come la Libia , le instabilità dovute a regimi sempre più oppressivi delle libertà individuali come in Pakistan o in Afghanistan,ancora il disastro ambientale causato dallo sfruttamento dissennato delle risorse da parte delle multinazionali, hanno fatto sì che la maggior parte dei migranti che oggi giungono in Europa non siano più né solo rifugiati né solo profughi né solo migranti economici, ma tutte queste cose insieme. E diventa quindi complesso districare la matassa giuridica per inserirli nel rigido quadro dell’immigrazione.

Dunque il solo elemento economico non basta più a spiegare l’espulsione di migliaia di persone dalle terre d’origine; come non basta il solo elemento persecutorio. Diventa sempre più rilevante il fattore dello State failure. Si definisce State failure “il fallimento o il collasso di entità statali che non sono più in grado di garantire i servizi minimi essenziali: l’energia, la sicurezza, l’istruzione, i trasporti, la sanità”; dello State failure Fund of Peace, una fondazione indipendente con sede in USA, ha elaborato un indice a partire dall’interazione di alcuni parametri: stabilità politica, rischio di conflitti imminenti, rischio di crisi economiche, corruzione della macchina statale.

Pertanto, anche solo rispetto alle migrazioni in Europa dell’ultimo ventennio, quelle degli ultimi cinque anni presentano elementi di novità. Si tratta di migranti diversi, su cui converge un coacervo di dinamiche storiche e politiche; e spesso gli attuali sistemi di identificazione e d’asilo dell’Unione faticano a imbrigliare il loro status, o quantomeno a interpretarlo. Questo fallimento genera dei problemi, innanzitutto di ordine pratico: se l’Unione Europea sfodera un sistema di identificazione, accoglienza e rimpatrio insensibile alle nuove entità dei flussi, si genera irregolarità; nell’ultimo Consiglio europeo, il presidente Draghi ha insistito sui problemi “prodotti dai flussi irregolari”. Innanzitutto, ne ha discusso come se i flussi regolari fossero una cifra consistente, di cui valga la pena parlare, mentre si tratta di cifre irrisorie: o relative ai migranti che giungono legalmente in territorio Europeo attraverso il decreto-flussi, che ogni anno fissa il numero degli ingressi, con cifre assolutamente insufficienti ai bisogni di mercato; oppure ai corridoi umanitari aperti dalla Comunità di Sant’Egidio e dalle Chiese Evangeliche, applicati a casi di estremo pericolo o di sofferenza, e che lasciano indietro tutti gli altri, rendendo la corsa in Europa una competizione spietata al mercato della disperazione umana. Inoltre, l’irregolarità di cui parla Draghi non è un oggetto dato; l’irregolarità è fabbricata direttamente nelle aule dei nostri Parlamenti.

Sulla rivista di geopolitica di Limes si legge: “il nodo delle migrazioni 2.0 è tutto qui: non hanno la razionalità economica dei flussi storici ma non esistono strumenti legali per applicare il diritto umanitario prima della loro partenza dal Nordafrica. Sotto il profilo legale, quindi, ai migranti 2.0 non si apre alcuna maglia di regolarità e l’unica strada praticabile rimane quella della traversata con gli scafisti.”

Se le cose stanno così, non ci sono quasi modi legali per entrare in Europa; non c’è, al momento, un dispositivo giuridico che permetta ai rifugiati/profughi/migranti-di-altro-genere di agganciarsi al sistema europeo prima di lasciare la propria terra. Così, anche in presenza delle condizioni economiche per il passaggio all’altro continente, la traversata diventa un viaggio della speranza costosissimo, in termini non solo economici ma anche psicologici e umani, perché sono i trafficanti a dominare questa pericolosa terra di mezzo, con logiche selvagge e non per mezzo della legge. Una volta passata questa dolorosa fase, che spesso richiede mesi e anni, i migranti che giungono in Europa possono restare in un limbo giuridico per molto tempo ancora, o sono rimbalzati indietro, a causa delle clausole irrazionali di certi nostri regolamenti, come quello di Dublino, che di fatto riversa la responsabilità e l’onere di gestire le domande d’asilo a pochi paesi geograficamente più esposti.

Occorre dunque rivedere procedure ormai obsolete e pensare l’immigrazione come un fatto del nostro secolo, da cui non sfuggiremo negando gli aiuti umanitari sui confini o pattuendo con Erdogan quanto sarà grande la prossima bomba di migranti sganciata dalla Turchia; occorre un atteggiamento razionale, che redistribuisca i migranti sul suolo europeo secondo criteri nuovi e si appropri della questione in modo sistematico e con onestà, senza farla ricadere nei paradigmi moralistici né nell’opposta sponda dei giochi geopolitici.

Referenze:

  1. Limes rivista online di geopolitica, “Chi bussa alla nostra porta”, 2015 https://www.limesonline.com/sommari-rivista/chi-bussa-alla-nostra-porta-il-sommario
  2. Fund for Peace, Fragile States Index (Fsi), 2021, fsi.fundforpeace.org
  3. Consiglio europeo, le comunicazioni del presidente Draghi alla Camera dei Deputati – https://www.youtube.com/watch?v=E0LLFshclug

8/7/2021 https://www.intersezionale.com

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