L’infanzia ipersessualizzata
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L’infanzia ha assunto caratteristiche e ruoli sociali molto diversi nella storia dell’umanità. Naturalmente, oltre il dato biologico, essere bambini/e è stato ed è ancora molto diverso nelle diverse società e nelle diverse classi sociali. I bambini e le bambine sono stati e sono ancora utilizzati/e come forza lavoro, vittime di guerre ed abusi di vario genere.
Nella nostra società, oggi, l’infanzia è celebrata, quasi sacralizzata, apparentemente. Il consumismo che trasforma ogni cosa in occasione di profitto, compresi gli individui, apprezza molto i bambini, di qualsiasi età: intorno ad essi ruota un’immensa produzione di alimenti, oggetti, accessori, giocattoli, indumenti, intrattenimenti.
I nostri bambini sono protagonisti passivi, destinatari delle più disparate offerte merceologiche, vertiginosa-mente coinvolti in attività sportive, ludiche, ricreative, musicali, culturali. Il loro tempo è sempre occupato e strutturato, un po’ per consentire agli adulti di lavorare, un po’, forse, per risarcirli del furto di autonomia, di natura, di bellezza e libertà che abbiamo compiuto ai loro danni per costruire il nostro stile di vita e le nostre città.
Non molto tempo fa, anche i bambini “di città “godevano di spazi esterni a cui accedere liberamente, senza il costante controllo degli adulti, in cui organizzare lo sport, il gioco e la socializzazione. Spazi e tempi da cui gli adulti erano sostanzialmente esclusi, con regole e codici distintivi, caratterizzanti, a delineare un mondo ben distinto da quello dei “grandi “.
Nel nostro tempo, invece, i confini tra i periodi della vita sono sempre meno netti. Un’ ondata di “giovanilismo” si è abbattuta sulle generazioni, cancellando le differenze tra madri/ padri figlie e figli, nonni e nonne.
Quello che preoccupa, e che merita una seria e attenta riflessione, è la consuetudine di proporre modelli giovanili- adulti anche per l’infanzia, caratterizzando sempre più precocemente l’identità sessuale e gli stereotipi di genere: così i vestiti per le bambine sono spesso molto simili a quelli delle giovani donne.
Il dibattito sulla ’ipersessualizzazione dell’infanzia viene riacceso ogni volta che le campagne pubblicitarie (tra le più recenti quella dell’Audi, della mostra del cinema di Venezia) che hanno per protagoniste bambine vestite, truccate, acconciate in pose ammiccanti o film come “Mignonnes-Cuties”, della franco senegalese Maimouna Doucorè distribuito da Netflix. Il film, nelle intenzioni della regista è una denuncia del fenomeno dell’oggettivizzazione sessuale dei bambini e soprattutto delle bambine.
La storia racconta di Amy, undicenne di origine senegalese, musulmana che cerca di ribellarsi alla cultura familiare attraverso la partecipazione ad un concorso con un gruppo di giovanissime ballerine.
Il trailer e la locandina del film (bambine semivestite che si esibiscono in un ballo sensuale) hanno scandalizzato il pubblico, che vi ha ravvisato elementi pedopornografici. La regista ha voluto sottolineare quale sia la realtà dei modelli che vengono proposti, dai media, dalla tv, dalla moda alle nostre figlie e ai figli, dalla più tenera età.
Nella migliore delle ipotesi, le bambine, anche molto piccole, vengono indotte dalle pressioni sociali che agiscono su di loro e sui genitori, a conformarsi a un’idea di genere che riproduce gli schemi della femminilità esteticamente curata, che deve piacere ed attrarre lo sguardo, mentre per i maschi prevalgono le caratteristiche di praticità e potenza. Per i bambini pantaloni da avventura, maglie dei supereroi, per le bimbe gonnelline svolazzanti, glitter e lustrini: l’equipaggiamento necessario ad esercitarsi nei rispettivi ruoli.
È precisa responsabilità genitoriale proporre modelli culturali e mediare quelli proposti dal mercato, dai social, dal web.
Nelle situazioni di deprivazione culturale o di svantaggio socioeconomico gli effetti possono essere ancora più negativi, per la minore capacità di elaborazione e di riflessione.
La “normalizzazione” di una forzata accentuazione delle caratteristiche sessuali dei bambini potrebbe, secondo alcuni, legittimare e incoraggiare la pedofilia, attraverso una sorta di abitudine all’erotizzazione del corpo infantile.
Sicuramente il tema porta con sé altre questioni, dalla parità di genere, al rispetto per la sessualità degli individui, ai diritti dei bambini (diritto di essere protetti, di non essere sfruttati, alla salute e allo sviluppo).
Non è consigliabile lasciare che ad opporsi a una progressiva diffusione di questa adultizzazione dell’età infantile siano solo le destre e i fanatici religiosi, che spesso strumentalizzano la questione per propagandare tesi reazionarie che nulla hanno a che vedere con la difesa dei bambini (si pensi alla crociata anti gender).
Una seria critica a questo furto d’infanzia che provoca danni psicologici agli individui, privandoli della possibilità di vivere serenamente e naturalmente le fasi della propria crescita, e allo stesso tempo disegna una società mercificante, ingiusta è un dovere della sinistra, anche perché nelle situazioni di disagio sociale, nelle classi più povere, nei quartieri periferici, le piccole vittime sono più indifese.
Loretta Deluca
Insegnante Torino. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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