L’infinita alternanza scuola-lavoro
La chiamavano «alternanza scuola-lavoro». Tre anni fa gli studenti la contestavano in centinaia di piazze. In questa legislatura, con il governo «Conte 1», è stata rinominata con quel gusto sadico per il sapore tecnocratico delle cose: «Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento». L’acronimo ha un suono onomatopeico. Provate ora a scandire P-C-T-O! Significa la stessa cosa, ma la neo-lingua ministeriale ha esplicitato il vangelo che oltre un milione di studenti devono recitare non per trovare un lavoro, ma per imparare a cercarne uno. Questa è la vita dove il lavoro… è quello di cercare un lavoro. Precario.
In tre anni l’«alternanza» è stata messa sotto il tappeto. Diminuite le ore obbligatorie, definanziata, sospesa l’obbligatorietà per accedere all’esame di maturità. Ma, anche sotto il tappeto, i problemi scalciano. Leggendo le nuove linee guida del P-C-T-O, approvate poche settimane fa, abbiamo avuto una conferma: siamo nella società «delle competenze». Nel «Sillabo per l’educazione all’imprenditorialità», emanato dal Miur come Pio IX nel 1864 quando elencò gli ottanta errori del mondo moderno, si spiega a cosa servono le «competenze»: a diventare imprenditori di se stessi che investono il «capitale umano» non su un lavoro specifico, ma nella capacità di apprendere ad apprendere. Lo studente non è considerato un soggetto capace di affermare il proprio diritto all’esistenza. Invece si «alterna» su se stesso: si fa concavo e convesso rispetto alle richieste dell’impresa. Quando sentirete P-C-T-O! significa: come tu mi vuoi, padrone. Non è esattamente l’idea della scuola ispirata alla Costituzione. È la scuola del realismo capitalista. La scuola che viviamo tutti i giorni.
Il 6 novembre il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti (Cinque Stelle) ha annunciato che non rinnoverà una delle convenzioni più simboliche del progetto: quella con Mc Donald’s. Poche ore dopo la notizia di un’«alternanza» in un’industria di munizioni a Lecco (il Manifesto 8 novembre) è diventata l’oggetto di un’interrogazione parlamentare di Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana). Gli studenti dell’Uds hanno manifestato a l’8 novembre contro l’«approvazione antidemocratica» delle nuove linee guida dell’«alternanza» scritte quando al Miur c’era il leghista Marco Bussetti. In più sono state bocciate dal Consiglio superiore della pubblica istruzione. Fioramonti ha mostrato di condividere le critiche di chi ha chiesto «criteri chiari ed etici»: «Le aziende – ha detto – devono svolgere un ruolo formativo e orientare i ragazzi al bene comune ambientale». Un’espressione usata dal ministro in un forum con «La tecnica della scuola» del 13 ottobre è interessante: «Basta con gli stage nei fast food, servono aziende con pedigree» ha detto. Pedigree indica l’albero genealogico degli animali e si usa in genetica umana e in botanica. Ora anche per le aziende.
Nel ministero di Viale Trastevere si vorrebbe ripristinare la riforma renziana nella sua pienezza, «L’alternanza è un diritto dei giovani a capire cosa c’è dopo la scuola – ha detto la vice ministra all’Istruzione, Anna Ascani (Pd) in un incontro con i giovani imprenditori di Confartigianato – La riduzione delle ore è un errore molto grave. Vanno ripristinate». Ovvero: duecento ore per i licei e quattrocento per i tecnico-professionali. Perché fuori e dentro la scuola resta la divisione tra lavoro intellettuale e lavoro esecutivo sulla quale è costruita la scuola. «È sorprendente come Ascani non abbia saputo cogliere le elaborazioni e i segnali di difficoltà arrivati dalla scuola – ha replicato la Flc Cgil che chiede il ritiro delle «linee guida» – L’alternanza va riportata a una libera opzione, una possibilità di apprendimento laboratoriale e scelta dalle scuole, non imposta dall’alto e con l’amplificazione della disuguaglianza di opportunità tra Nord e Sud». Non sarà forse il pedigree delle aziende a rendere etica l’alternanza. Pardon: P-C-T-O!
Roberto Ciccarelli
26/11/2019 comune-info.net
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