L’inganno universale della povertà come colpa
Ora ci dicono che se non paghiamo il mutuo per troppe rate finisce che sia il caso che la banca si mangi la nostra casa senza passare dal tribunale. Vorrebbe essere l’eliminazione della burocrazia ma alla fine è soltanto l’ennesimo pompino alle banche di un’Italia (e un’Europa) che sembra temere lo spettinamento di qualcuno della finanza più delle scarpe bagnate come unico resto di un bambino. Meglio così, forse: se i diritti sono piuttosto confusi almeno le colpe risuonano chiare. Ed essere poveri, oggi, in Europa dell’anno duemilasedici è una colpa. E le grandi menti di questo mondo appoggiato sull’algebra di quattro numeri sciancati chiamati ‘finanza’ hanno pensato che non potendo eliminare la povertà sia il caso di debellare i poveri. Le grandi menti.
Il modo migliore per farsi perdonare una crisi provocata dalla stortura di una classe dirigente inetta e famelica sta nel convincere tutti gli altri di avere fallito. Se qualche padre di famiglia decide di non essere stato in grado di essere un buon padre, se da qualche parte un lavoratore qualsiasi non riesce a perdonarsi di non essere in grado di onorare un mutuo, se non riuscirei significa avere fallito allora il metodo funziona: scaricare i propri errori come colpe degli altri è il metodo perfetto per amministrare con inganno e con paura.
Però c’è, nell’idea di questa ennesima legge a favore delle banche, il progetto culturale di chi vorrebbe convincerci che il mondo si divida tra vincitori e falliti, tra chi ci è riuscito e chi ha perso, tra chi è abbastanza bravo e chi è troppo poco capace. E tutti quelli che galleggiano in mezzo, secondo questa tirannia di pensiero, sono banalmente soltanto coloro che possono farcela oppure no. Nient’altro. Niente tinte intermedie. Bianco o nero. Bravo o cattivo. Produttivo o costo. Nero e rosso, come lo scontrino sbiadito sputato dal bancomat. «Tu sei la credibilità del tuo conto corrente»: il nuovo comandamento ci è stato infilato senza nemmeno che ce ne siamo accorti.
Eppure tra i vincitori patentati e i falliti senza speranza, lì in mezzo ai due unici modi consentiti di essere europei, c’è tutto il resto del mondo, lì in mezzo: ci sono quelli che si sono svegliati senza lavoro, ci sono quelli che sono in tirocinio da decenni, ci sono i fragili, chi ha semplicemente sbagliato, chi ha studiato poco, chi ha studiato male, chi semplicemente ha avuto meno fortuna. Nella terra di mezzo dei cittadini non ancora marchiati c’è la stragrande maggioranza di una generazione che è nata credendo di poter toccare il cielo e invece si è ammalata presto di un pesantissimo nodo alla gola.
Sarebbe da decidere, tutti insieme, una volta per tutti chi sono i professionisti. Se non sono forse professionisti colo che meravigliosamente “professano i propri valori nel proprio mestiere”. E con un mondo nuovo con questa regola fissa cadrebbero uno a uno questi super manager con la professionalità valoriale di un servo nemmeno troppo astuto e nemmeno gentile. Sarebbe un mondo da provare. Questo mondo qui.
Buon mercoledì.
Giulio Cavalli
2/3/2016 www.left.it
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