L’insostenibile pesantezza del TAV
L’acronimo TAV sta comunemente ad indicare la locuzione “Treno ad Alta Velocità”. Comunemente viene utilizzato per identificare uno specifico megaprogetto, e cioè la linea ferroviaria di circa 270 km che dovrebbe collegare Torino e Lione, la quale affiancherà e si sovrapporrà alla linea già esistente fra le due città, prevedendo un tunnel a doppia canna lungo 57,5 chilometri sotto le Alpi occidentali.
Peraltro questo progetto non prevede integralmente una linea ad alta velocità, come chiarito dal Dr. Paolo Foietta (ex commissario del Governo all’alta velocità Torino-Lione) durante un’audizione parlamentare del 2016, “ma una linea mista con specifiche tecniche d’interoperabilità (Sti) conformi a quelle della Rete centrale europea di cui è parte”.
Senza entrare nel merito della utilità o meno del progetto, il mio sguardo si è posato sugli impatti climatici che esso avrà; e questo risvolto è intimamente collegato al costo dello stesso.
Come tutte le grandi opere italiane, il TAV ha avuto un incremento di costi spaventoso, il che ci porterebbe ad ipotizzare o che i progettisti sono tutti degli incompetenti, oppure che per ogni grande opera si è tacitamente stabilito un modus operandi di tipo predatorio e lucrativo.
Pensate che – limitatamente al solo tratto internazionale – l’incremento dei costi del TAV è pari all’85%, arrivando a complessivi 9,60 miliardi di euro. Ce lo dice la Corte dei Conti europea.
Questo costo è relativo SOLO al tratto internazionale. Il costo reale complessivo dell’opera, invece, non è semplice da ricostruire, attesa la reticenza e la poca trasparenza delle istituzioni italiane sul punto. La Corte dei Conti francese nel 2012 lo ha stimato in 26,1 miliardi di euro.
Una bella somma, con la quale sarebbe davvero possibile implementare una politica climatica efficace; tanto più se a tale risparmio si aggiungesse finalmente il rifiuto di continuare a concedere sussidi economici ambientalmente dannosi, come ad esempio alle energie fossili, che attualmente gravano sui contribuenti italiani per oltre 35 miliardi di euro all’anno.
D’altronde, il vero vulnus del TAV si manifesta proprio in questo ambito: esso ha un impatto climatico “catastrofico”, in quanto la quantità di emissioni climalteranti necessarie per costruirlo è notevole. E, in un momento di piena emergenza climatica, davvero non potremmo permettercelo.
Lo Stato italiano – alla faccia della trasparenza – non ha mai effettuato un calcolo sulle emissioni di gas serra necessarie per costruire il TAV; il calcolo è stato fatto dall’impresa costruttrice (TELT), che a pag. 11 del Quaderno n° dell’Osservatorio (http://presidenza.governo.it/osservatorio_torino_lione/quaderni/Quaderno12.pdf) così scrive: “grazie all’esercizio della nuova infrastruttura ferroviaria e al trasferimento modale otterremo una riduzione netta dell’impatto sull’ambiente. Se analizziamo l’indicatore ambientale del bilancio cumulativo del carbonio, le simulazioni effettuate dimostrano che in poco più di 12 anni dalla messa in esercizio dell’infrastruttura tale bilancio sarà positivo per tutta la durata dell’opera. È vero che nella costruzione dell’opera si registra un consumo energetico rilevante con conseguenti emissioni, ma è altrettanto vero che tale “costo energetico” sarà ammortizzato per effetto del trasferimento modale dei mezzi pesanti sulla nuova infrastruttura in poco più di 12 anni di esercizio per effetto del trasferimento modale. Questo significa che dal’ 13° anno, ripagati i costi energetici di costruzione, gli effetti saranno assolutamente positivi”.
L’impresa TELT ha poi elaborato un grafico per sintetizzare quanto sopra (pubblicato a pag. 12 del Quaderno), dal quale si evince che, se è vero che il bilancio in termini di emissioni comincia ad essere positivo dopo 12 anni dalla messa in esercizio dell’opera, per recuperare la quantità complessiva di emissioni impiegate nella fase dei lavori ed avere un saldo netto positivo bisognerà attendere il 2048, ammesso che l’opera partisse nel 2026.
Ma quella scadenza è estremamente improbabile, a causa dei ritardi accumulati, per cui è verosimile che l’opera sarà utilizzata solo a partire dal 2035; ne deriva che il bilancio positivo delle emissioni sarà raggiunto – sempre che si verifichino le ipotizzate condizioni di aumento del traffico ferroviario e riduzione di quello su strada– ben oltre il 2050, e comunque non prima di 22 anni dalla data in cui l’opera inizierà ad essere utilizzata.
Il grafico è il seguente:
Sempre in tema di impatto climalterante, vale la pena riprendere la relazione pubblicata il 16/6/20 della Corte dei Conti Europea (https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR20_10/SR_Transport_Flagship_Infrastructures_IT.pdf).
La Corte indaga sulle “infrastrutture faro nel settore dei trasporti” (IFT), cioè gli importanti collegamenti per il completamento della rete di trasporto dell’UE, tra cui è annoverato anche il TAV, e sostiene che “nel 2012 il gestore dell’infrastruttura francese ha stimato che la costruzione del collegamento transfrontaliero Lione-Torino, insieme alle relative linee di accesso, avrebbe generato 10 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. Secondo le sue stime, l’IFT non produrrà un beneficio netto in termini di emissioni di CO2 prima di 25 anni dopo l’inizio dei lavori. Invece, sulla base delle medesime previsioni di traffico, gli esperti consultati dalla Corte hanno concluso che le emissioni di CO2 verranno compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura. Per di più, quella previsione dipende dai livelli di traffico: se i livelli di traffico raggiungono solo la metà del livello previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio dell’infrastruttura prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla sua costruzione siano compensate” (pag. 33).
Dunque, in termini di impatto sul cambiamento climatico il TAV è una catastrofe. Sarà perlomeno una catastrofe utile a qualcosa?
Visto che il previsto bilanciamento di emissioni si otterrà solo se aumenterà in maniera considerevole il traffico di merci su rotaia (e si ridurrà simmetricamente il traffico su ruote), allora possiamo serenamente dire che se tale condizione non si dovesse verificare, questo progetto sarebbe una catastrofe climatica totalmente inutile.
Coloro che contrastano il TAV facendo leva sulla sua dannosità hanno trovato sinora un muro di gomma. Eppure il tema dovrebbe essere trattato con le dovute cautele, anche dalla magistratura, attesa la insostenibile pesantezza (climatica) dell’essere TAV.
Luca Saltalamcchia
2/1/2021 https://www.lefrivista.it
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