L’intelligenza artificiale e il clima
Tutti i giorni sentiamo inneggiare ai presunti benefici e alle promesse di quello che possono fare i sistemi di intelligenza artificiale, ma ciò avviene quasi o del tutto senza una visione critica sui loro impatti sociali, economici e politici. Eppure c’è molta preoccupazione per vari aspetti dell’applicazione dell’intelligenza artificiale, come ad esempio per l’uso commerciale e politico dei dati personali, per l’aumento della discriminazione e del razzismo, per la sostituzione di posti di lavoro e per lo sviluppo di armi e robot assassini. A tutto ciò si aggiunge ora il fatto che questi sistemi hanno anche un enorme impatto ambientale e climatico a causa della loro elevatissima domanda di energia e delle emissioni di gas a effetto serra che ciò comporta.
Uno studio di Emma Strubell, A. Ganesh e A. McCallum dell’Università del Massachusetts Amherst (giugno 2019) ha calcolato gli impatti di alcuni di questi sistemi in termini di consumo energetico e di emissioni di CO2. Hanno riscontrato che nei sistemi che emulano le reti neurali, l’addestramento di un singolo sistema di intelligenza artificiale genera fino a cinque volte più emissioni di CO2 di un’automobile media statunitense per tutta la sua durata di vita, compresa la fabbricazione e l’uso del carburante.
Lo studio si è concentrato su quattro modelli di intelligenza artificiale con apprendimento profondo per l’elaborazione del linguaggio naturale (PLN), che sono tra i più utilizzati: Transformer, ELMo, BERT e GPT-2. Negli ultimi due anni, tutti hanno notevolmente accresciuto le loro capacità. Il GPT-2 di OpenAI, un’organizzazione finanziata dall’imprenditore Elon Musk, ha suscitato polemiche per la sua capacità di inventare e completare frasi, generando una notevole quantità di notizie false credibili. Musk ha annunciato che il sistema non rilascerà il codice sorgente, presumibilmente per impedirne l’uso indiscriminato – e nello stesso tempo per mantenere il monopolio.
Il sistema di calcolo utilizzato per questo studio si basa sulla spesa energetica per le apparecchiature di elaborazione, l’elettricità e gli strumenti associati per l’addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale. Strubel ha spiegato alla rivista New Scientist che per assimilare una cosa tanto complessa come il linguaggio è necessario processare un’immensa quantità di dati. Un approccio comune consiste nel far in modo che il sistema legga migliaia di milioni di testi per vedere il significato delle parole e la costruzione delle frasi. Questo richiede un’enorme capacità di elaborazione, memorizzazione ed energia. Ciò non significa che il sistema comprenda quello che legge, ma alla fine potrà imitare l’uso che noi facciamo del linguaggio.
Lo studio fa un paragone con altre fonti di emissioni di CO2. Un’automobile, ad esempio, emette in media 57 tonnellate di CO2 nel suo ciclo di vita. L’addestramento di un’unità di intelligenza artificiale che sia in grado di decifrare e padroneggiare il linguaggio potrebbe richiedere l’emissione di 284 tonnellate di carbonio, vale a dire cinque volte di più. Questo equivale a 315 volte le emissioni di un volo da una costa all’altra degli Stati Uniti e a 56 volte il consumo medio di energia di un essere umano in tutta la sua vita.
Le grandi imprese di piattaforme digitali, come Amazon, Microsoft e Google, cercano di fare in modo che parte dell’energia da loro utilizzata provenga da fonti rinnovabili, ma questo non è neppure lontanamente sufficiente di fronte alla crescita esponenziale della domanda che provocano.
Per quanto grave, questo è solo uno degli esempi della mostruosa domanda di energia per lo sviluppo dell’era digitale, che si aggiunge ad altri impatti che generalmente non vengono associati ad essa: l’espropriazione e il sequestro di materiali e risorse che sono scarsi, l’inquinamento ambientale causato dalla produzione e dai rifiuti, il peggioramento del cambiamento climatico, oltre all’impatto sulla salute, sia in forma diretta per via delle radiazioni elettromagnetiche delle reti di telefonia e internet, sia in forma indiretta per via delle altre forme di inquinamento di questa industria.
L’uso dell’intelligenza artificiale è inoltre terribilmente problematico ad altri livelli: essendo basato su algoritmi stabiliti dagli obiettivi commerciali degli sviluppatori e sul loro contesto economico e culturale, riproduce schemi a carattere discriminatorio e razzista. Ad esempio, si stanno utilizzando sistemi di intelligenza artificiale in istituti bancari (per la valutazione di crediti, prestiti, investimenti) e in istituzioni giudiziarie per gestire le sentenze, stabilire i luoghi di reclusione, ecc. In entrambi i casi si è rilevato che il sistema è discriminatorio e razzista: negli Stati Uniti, ad esempio, se la persona che viene presa in esame è nera o latinoamericana, il sistema la valuta automaticamente come meno affidabile e più pericolosa, sulla presunta base di una percentuale storica di persone detenute e/o condannate. Poiché questa è già una base razzista e discriminatoria, l’intelligenza artificiale la conferma e la accresce.
Come avviene per le grandi piattaforme digitali, la regolamentazione e la supervisione indipendente sono inesistenti o sono fortemente distorte a favore delle potenti imprese che dovrebbero essere controllate. C’è bisogno di molto più dibattito e di molta più azione sociale sulle implicazioni di queste tecnologie che hanno ripercussioni su tutti noi. In questo senso, accogliamo con favore la recente creazione di due pubblicazioni che sono frutto della collaborazione di varie organizzazioni sociali e di attivisti: la rivista digitale latinoamericana Internet Ciudadana e il portale Bot Populi sulla giustizia digitale (che per il momento è prevalentemente in inglese).
Silvia Ribeiro
1/11/2019 comune-info.net
Traduzione a cura di Camminardomandando
Fonte: “Inteligencia artificial aumenta el caos climático”, in La Jornada, 06/07/2019
Silvia Ribeiro è ricercatrice del Gruppo ETC
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