L’«invasione» che non c’è. Le fake news da sfatare quando si parla di migrazioni dall’Africa.
Quando si parla di migrazioni, uno dei mantra ricorrenti è l’immagine di un’Europa “invasa” da persone che provengono dai Paesi del Sud globale, in particolare dal continente africano. Benché la retorica dei partiti e dei governi d’estrema destra dell’Unione Europea (Ue) si sia avvalsa di questo tipo di propaganda razzista per ottenere consenso elettorale – dai pregiudizi basati sulla “paura dello straniero” al complottismo basato su un piano di “sostituzione etnica” 1 – è ormai evidente come, in realtà, il modus operandi di tutti i Paesi e delle istituzioni dell’Ue, a prescindere dall’appartenenza politica, sia basato sul securitarismo e sulla “protezione dei confini”.
Tuttavia, è possibile notare come la grande assente nel dibattito pubblico-politico, che è spesso costituito da notizie allarmistiche contornate da parole come “crisi” ed “emergenza”, sia la complessità. Parlare di migrazioni significa capire quali sono le ragioni di chi, in principio, sceglie di andarsene o è costretto o costretta a farlo per cause di forza maggiore oppure sfatare miti sull’effettiva quantità di persone che si spostano da un continente all’altro, per esempio. In questo caso cercheremo di sviscerare questi aspetti prendendo come esempio il continente africano.
Le migrazioni intra-africane
Innanzitutto occorre porre fine all’idea di un continente che si sta “svuotando”. Questa narrazione errata perpetua stereotipi e pregiudizi su un intero continente che viene spesso descritto come se fosse costituito da Paesi “tutti uguali”, senza considerarne la grandezza e le differenze.
Infatti, solo una frazione minore della popolazione dei Paesi dell’Africa Occidentale, Centrale e Orientale, decide di lasciare il proprio paese di origine per dirigersi in Europa. Secondo una ricerca effettuata dall’Africa Center for Strategic Studies 2, la maggior parte delle migrazioni avviene tra un Paese africano e l’altro.
Circa 21 milioni di cittadini africani vivono in un altro paese africano: le aree urbane in Nigeria, Sud Africa ed Egitto sono le principali destinazioni di questa migrazione intra-africana, riflettendo il relativo dinamismo economico di questi Paesi. Infatti, “contrariamente alla percezione diffusa che tutti i migranti africani vogliano andare in Nord America o in Europa, i risultati mostrano che, nel complesso, la maggior parte dei potenziali migranti preferisce una destinazione in un altro paese africano: il 29% preferirebbe trasferirsi in un altro paese all’interno della propria regione, mentre il 7% guarda altrove nel continente[…]. Nei sondaggi di Afrobarometer, Europa (27%) e Nord America (22%) sono la seconda e la terza destinazione favorita. Australia, Medio Oriente, Asia e Centro/Sud America attraggono molto meno interesse”, afferma Joseph Asunka, direttore dell’Afrobarometer.
Le migrazioni intra-africane vengono il più delle volte trascurate e la narrazione dominante si basa spesso su una percezione distorta che si focalizza unicamente sugli “sbarchi”. In realtà, bisogna tener presente che, ad esempio, meno del 3% della popolazione africana vive in un paese diverso dal proprio paese d’origine 3. Tuttavia, bisogna sottolineare che anche nella mobilità tra una Paese africano e l’altro ci sono non pochi problemi burocratici: infatti, fino a qualche anno fa, era più facile per un cittadino statunitense viaggiare tra Ghana e Sudan, che, ad esempio, per un cittadino ruandese.
Solo recentemente l’Unione Africana e l’African Development Bank sono riuscite a spingere i Paesi del continente a rendere meno restritive le politiche inerenti al rilascio dei visti di viaggio. Secondo l’ultimo rapporto Africa Visa Openness Index (Avoi) 4, pubblicato lo scorso anno dall’African Development Bank, “48 Paesi su 54 ora offrono viaggi senza necessità di richiedere il visto ai cittadini di almeno un altro Paese africano; 42 Paesi offrono viaggi senza necessità di visto ai cittadini di almeno 5 Paesi africani; 3 paesi africani offrono viaggi senza visto per i cittadini di tutti i Paesi africani” – si tratta, in particolare, di Benin, Seychelles e Gambia. Inoltre, “29 paesi, più della metà del continente ora offrono un visto all’arrivo ai cittadini di almeno un altro paese africano”.
Nel complesso, secondo il rapporto, oggi i cittadini africani viaggiano più facilmente all’interno del continente rispetto al 2016: il numero di viaggi intra-africani per cui ancora è richiesto un visto prima della partenza è stato il 47% del totale nel 2022, in netto miglioramento rispetto al 55% del 2016.
I fattori che caratterizzano la mobilità intra-africana sono: la migrazione per lavoro nelle aree occidentali e centrali; lo spostamento delle persone rifugiate nelle aree orientali e meridionali e lo spostamento di lavoratori e lavoratrici altamente qualificate (dall’Africa Occidentale e Orientale) verso l’Africa meridionale 5. Anche le migrazioni forzate sono un altro fattore della moblità intra-africana che colpisce le persone rifugiate – ospitate soprattutto in Uganda, Kenya, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo, contrariamente a quanto affermato da anni di propaganda secondo cui “l’Italia accoglierebbe più di tutti” – a causa di eventi come la crisi degli sfollati del Sud Sudan; la crisi umanitaria nella regione del Sahel, dove conflitti e disastri ambientali 6 provocati dal cambiamento climatico sono la causa di condizioni insostenibili per molte popolazioni 7.
Tuttavia, una ridotta percentuale di persone decide comunque di andarsene dal continente africano per tentare di avere un futuro in un altro. Se pensiamo che ad esempio, in Italia esiste una considerevole fuga di giovani che, soprattutto per lavoro, sono costretti e costrette ad andarsene in un altro Paese, dovremmo iniziare a capire che le ragioni dei cittadini e delle cittadine africane non sono così dissimili. Più che di “crisi” ed “emergenza” – salvo il caso di conflitti o disastri umanitari – dovremmo iniziare a parlare di “somiglianza”. D’altra parte, la differenza sostanziale si basa principalmente sulla disuguaglianza nel diritto alla libertà di movimento, ancorata alla potenza dei passaporti più o meno potenti, così come alle politiche dei visti di viaggio intercontinentali o alle politiche di immigrazione securitarie e discriminatorie dei Paesi europei – la cui conseguenza sono le morti in mare nel Mediterraneo o ai confini terrestri.
La libertà di movimento non è uguale per tutti
di Oiza Q. Obasuyi
28 NOVEMBRE 2022
Quali sono i fattori che spingono le persone a lasciare l’Africa?
A questo proposito può tornarci utile il rapporto Scaling Fences (Al di là del confine) dell’UNDP (United Nations Development Programme) 8, che raccoglie i dati e le testimonianze di persone africane che sono riuscite a raggiungere l’Europa. Uno dei dati più importanti rilevati è che le migrazioni sono conseguenza dello sviluppo, i cui guadagni non sono però ben ridistribuiti tra la popolazione.
Infatti, contrariamente a quanto si pensa – almeno per coloro che cercano di trasferirsi altrove per ragioni socio-economiche e lavorative – in linea di massima, chi può spostarsi da un continente all’altro lo fa perché ha le risorse per poterlo fare: chi vive in estrema povertà, generalmente, non può spostarsi dal proprio Paese di origine 9. Questo non significa che chi tenta di spostarsi sia una persona ricca, tuttavia è stato rilevato che si tratta perlopiù di persone diplomate e che nel proprio Paese di origine lavoravano – senza però guadagnare abbastanza.
In Nigeria ad esempio – che svetta tra le economie più potenti del continente – la disoccupazione raggiunge vette elevate tra i giovani, donne e uomini, che vivono nelle aree urbane. La mancanza di salari dignitosi per la maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici è uno dei tanti fattori che porta all’emigrazione – ne sono la prova anche gli scioperi e le proteste indetti dagli insegnanti delle scuole e delle università, che ricevono pochissimi fondi dallo Stato.
Oltre ai motivi socio-economici, esistono anche motivi legati alla governance, alla (in)sicurezza interna e al malcontento generale: secondo il rapporto Scaling Fences molte persone migranti si sono sentite escluse dalla politica dei loro paesi d’origine e ritengono che la loro voce non sia sufficientemente ascoltata dalle forze politiche. Tra le ragioni di questo malcontento ci sono la mancanza di provvedimenti per sanare le disuguaglianze sociali, contrastare la disoccupazione, e promuovere l’accesso a un’assistenza sanitaria adeguata. A questo proposito, possiamo prendere come esempio le proteste che hanno avuto luogo in Nigeria nell’estate del 2020.
Le proteste sono nate come risposta alla violenza perpetrata da una forza di polizia speciale denominata Special Anti Robbery Squad (SARS) che ha più volte violato i diritti umani fondamentali delle persone, essendo stata artefice di esecuzioni extragiudiziali, sequestri e torture di cittadini e cittadine nigeriane, soprattutto giovani. Tuttavia, tra i motivi di protesta sono subentrate anche le disuguaglianze sociali, la disoccupazione e il malcontento degli studenti e delle studentesse – infatti, in quest’occasione, le giovani donne e i movimenti femministi nigeriani sono state spesso coloro che guidavano le proteste.
Come viene spiegato nel rapporto, questa “fuga di cervelli” dai Paesi del continente rappresenta un campanello dall’allarme per i governi che continuano a ignorare il malcontento generale. Sotto questo punto di vista, però, non dovrebbe sorprendere che una delle conseguenze sia appunto l’emigrazione verso altri Paesi, anche al di fuori del continente africano. L’emigrazione, di per sé, non è un’anomalia. È abbastanza comune, soprattutto in un contesto di disuguaglianza globale, che le persone migranti siano disposte a migliorare la propria situazione economica, andando all’estero.
La speranza è anche quella di aiutare i familiari rimasti a casa attraverso le rimesse. Infatti, le rimesse verso l’Africa superano l’assistenza fornita dai piani di assistenza di cooperazione e sviluppo e spesso servono come ancora di salvezza per le famiglie africane: solo nel 2017 le rimesse dall’Europa verso i paesi dell’Africa Occidentale, Orientale, Centrale e Meridionale sono stati stimati a 25,3 miliardi di dollari, che rappresentano il 36% del totale rimesse ricevute. La ricerca di opportunità economiche più vantaggiose può essere intesa come una strategia di massimizzazione del reddito 10. Le disuguaglianze globali e le aspettative di un tenore di vita migliore nei Paesi di destinazione sono considerati fattori significativi nella mobilità umana internazionale, infatti:
[…] la mobilità umana è plasmata dalle caratteristiche intrinseche dell’espansione capitalistica globale, come la domanda strutturale di manodopera a basso costo e sfruttabile nei paesi industrializzati, insieme alle dinamiche sociali come l’offerta di lavoro limitata o la riluttanza dei lavoratori di accettare lavori poco remunerati e instabili nel proprio Paese.
Conclusioni
Nonostante qui si sia dedicato maggior spazio alle migrazioni intra-africane e alle ragioni socio-economiche dietro alle migrazioni, per tentare anche di sfatare alcuni miti, è evidente che non esiste una sola ragione che porta una persona a lasciare il proprio Paese. Una delle ragioni sempre più rilevanti è legata, ad esempio, al cambiamento climatico: secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC delle Nazioni Unite 11 circa la metà della popolazione mondiale, più di 3 miliardi di persone, vive in aree e in contesti ambientali fortemente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico e entro il 2050 tra 31 e 72 milioni di persone si sposteranno all’interno dei paesi africani, dell’Asia meridionale e dell’America Latina a causa della scarsità d’acqua, dell’innalzamento del livello del mare e delle carestie. La “crisi” e “l’emergenza”, però, non risiedono tanto nella conseguenza quanto nella causa, ossia nell’inazione dei Paesi ricchi attivamente responsabili del cambiamento climatico.
Ciò detto, non solo è necessario iniziare a parlare di migrazioni con la complessità che meritano, contrastando le strumentalizzazioni semplicistiche e gli stereotipi – dalle “invasioni” alle strampalate teorie del complotto di sostituzione etnica – che spesso vengono attribuiti al continente africano. Ma bisogna porre fine a quelle disuguaglianze che escludono sistematicamente le persone straniere, soprattutto se del Sud Globale, dal diritto alla libertà di movimento.
- La ‘grande sostituzione etnica’: la teoria del complotto razzista che ha conquistato la destra europea di Leonardo Bianchi – Valigia Blu (febbraio 2022)
- African Migration Trends to Watch in 2022, Africa Center for Strategic Studies (dicembre 2021)
- Istituto Per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), “Out of Africa: why people migrate”, ottobre 2017
- African Development Bank, “Africa Visa Openness Index Report 2022”, dicembre 2022
- C. Udelsmann Rodrigues, J. Bjarnesen, “Intra-African Migration”, Policy Department for External Relations Directorate General for External Policies of the Union, ottobre 2020, pp. 14-15
- Climate Change and Conflict in the Sahel, Center for Preventive Action (novembre 2022)
- B. Tesfaye, “Climate Change and Conflict in the Sahel”, in Managing Global Disorder No. 11, Council of Foreign Relations, novembre 2022
- Scaling Fences: Voices of Irregular African Migrants to Europe UNDP 2019
- Istituto Per gli Studi di Politica Internazionale, “Out of Africa: why people migrate”, p. 40, november 2020
- G. Laneau, “Migration drivers: Why do people migrate?”, EU Logos Athena, maggio 2019
- Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability, IPCC
1/3/2023 https://www.meltingpot.org
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