L’IPCC: impatti climatici sempre più gravi, ma soluzioni a portata di mano. Volendo
«La finestra per garantire un avvenire vivibile e sostenibile per le prossime generazioni si sta chiudendo rapidamente». Il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) ha pubblicato oggi la quarta e ultima parte del suo Sesto rapporto, che contiene le informazioni scientifiche e socio-economiche legate alle cause e alle conseguenze del riscaldamento globale. Nei tre “capitoli” pubblicati in precedenza, gli autori si erano concentrati sulle conoscenze finora acquisite sul problema, sugli impatti e sulle soluzioni che è possibile adottare. L’ultima parte rappresenta una sintesi complessiva di tale lungo e complesso lavoro.
L’IPCC: nessun dubbio, la causa del riscaldamento globale è l’uomo
Secondo l’IPCC, innanzitutto, non c’è alcun dubbio su quali siano le cause del riscaldamento globale. Sono le attività umane ad averlo provocato, a partire dalla combustione di fonti fossili: carbone, petrolio e gas. È per questo che è stata raggiunta la concentrazione di CO2 nell’atmosfera «più elevata da almeno due milioni di anni». Ciò, precisano gli scienziati, ha già portato l’aumento della temperatura media globale a 1,1 gradi centigradi rispetto al periodo tra il 1850 e il 1900. Il che ha provocato a sua volta una risalita del livello dei mari di 20 centimetri tra il 1901 e il 2018.
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Una situazione che comporta «un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi. Che comportano effetti sempre più pericolosi per la natura e per le popolazioni in tutte le regioni del mondo», prosegue il rapporto. L’IPCC cita in questo senso, tra le altre cose, un calo della sicurezza alimentare e dell’accesso all’acqua, la perdita di vite umane, l’estinzione di centinaia di specie, l’emergere di malattie o ancora la generazione dei flussi migratori crescenti.
Per interrompere la dinamica c’è un’unica soluzione: abbattere in modo drastico e immediato le emissioni di gas ad effetto serra rilasciate nell’atmosfera terrestre. Tuttavia, tali emissioni avrebbero già dovuto decrescere, per evitare di superare un riscaldamento di 1,5 gradi centigradi. Al contrario, non soltanto non lo hanno fatto ma sono perfino aumentate. E benché molte nazioni abbiano dichiarato di voler azzerare le emissioni nette di cui al 2050, notano gli scienziati, «sono poche le politiche che concretamente sono state adottate per mantenere tale promessa».
«I trend attuali non sono in alcun modo compatibili con la stabilizzazione del riscaldamento globale»— Valérie Masson-Delmotte, climatologa e co-presidente di uno dei gruppi di lavoro dell’IPCC
Ciò che occorrerebbe fare è esplicitato in maniera estremamente precisa nel rapporto: dobbiamo arrivare ad un calo delle emissioni globali del 48%, entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019. «I trend attuali – commenta all’emittente France Info la climatologa francese Valérie Masson-Delmotte, co-presidente di uno dei gruppi di lavoro dell’IPCC — non sono in alcun modo compatibili con una stabilizzazione del riscaldamento globale. Alcuni sforzi sono stati fatti, ma risultano ancora insufficienti per garantire un calo abbastanza rapido delle emissioni di gas ad effetto serra».
Basti pensare che la risalita del livello dei mari potrebbe essere compresa tra due e tre metri, nei prossimi duemila anni, se rimarremo al di sotto degli 1,5 gradi centigradi. Mentre arrivando a 2 gradi potrebbe arrivare fino a 6 metri. Se a qualcuno ciò può apparire come qualcosa di lontano nel tempo, l’IPCC precisa che, sempre con 2 gradi, «le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale spariranno quasi completamente e in modo irreversibile per numerosi millenni».
L’IPCC denuncia le enormi disuguaglianze nel mondo di fronte al clima che cambia
Inoltre, di fronte agli impatti attuali del riscaldamento climatico, esistono enormi sproporzioni nella popolazione mondiale: «La maggior parte delle conseguenze si è concentrata sulle comunità di Africa, Asia, America centrale e America Latina, nei paesi meno sviluppati, nelle piccole nazioni insulari e nell’Artico. Colpendo soprattutto le popolazioni indigene, i piccoli produttori alimentari e le famiglie a basso reddito».
Il rapporto spiega inoltre che quasi la metà della popolazione mondiale è esposta al problema dei cambiamenti climatici: tra 3,3 e 3,6 miliardi di persone. «Nel corso dell’ultimo decennio, il numero di morti dovuti a inondazioni, siccità e tempeste nelle regioni più vulnerabili è risultato 15 volte superiore alla media», precisa Aditi Mukherji, una delle autrici.
Per mitigare i cambiamenti climatici, l’IPCC spiega che, assieme al superamento dell’uso dei combustibili fossili, dobbiamo passare a una dieta più vegetariana, operare grandi piani di riforestazione, elettrificare i trasporti, modificare i nostri stili di vita al fine di renderli più sobri e sostenibili, tutelare la biodiversità. Al contempo, occorre agire anche sull’adattamento, perché una “quota” dei cambiamenti climatici è ormai ineluttabile.
Claudio Vago
20/3/2023 https://valori.it
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