L’Italia dei golpe
Il libro di Javier Cercas Anatomia di un istante, romanzo realistico sul tentativo di colpo di Stato in Spagna del 23 febbraio 1981, è un’ottima analisi della società spagnola nell’impegnativo e storico passaggio dalla dittatura falangista di Franco, golpista al potere dal 1939 (anno in cui termina la guerra civile spagnola fino al 1975 anno della sua morte) all’inizio del percorso verso la democrazia del Paese Iberico. L’opera di Cercas fa chiarezza sull’ampia area falangista, sociale e militare, che costituisce e alimenta quella che definisce la placenta del golpe. Si legge come un romanzo ma in realtà è un’analisi che chiarisce intrecci, complessità e responsabilità individuali e collettive del tentato golpe.
È proprio un’analisi di questo tipo che invece manca in Italia dove ben tre tentativi di golpe sono stati ridimensionati a operette da tre soldi, poi assolti e infine rimossi al punto che pochi ricordano e ancora meno sanno.
Il Piano Solo, nel 1964, vide il Presidente della Repubblica Segni, eletto con i voti del MSI e dei monarchici, operare, unitamente al generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo, gravi pressioni per ridimensionare, con «il tintinnio di sciabole», il programma riformatore del secondo governo Moro appoggiato dal PSI di Pietro Nenni; il tentato golpe Borghese del dicembre 1970, di cui in questi giorni ricorre il cinquantenario, si bloccò un attimo prima dell’irreparabile (per una interessante ricostruzione televisiva cfr. https://www.youtube.com/watch?v=6OE_nAlMXDI); il tentato “golpe bianco” del piduista Edgardo Sogno nei primi anni ’70 fu pianificato in funzione anticomunista e per imporre una Repubblica autoritaria e presidenzialista.
In particolare, l’insidioso tentato golpe Borghese, messo in moto nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, non fu «un conciliabolo di quattro o cinque sessantenni», come stabilì la definitiva e scandalosa sentenza della Corte d’appello di Roma del 27 novembre 1984. Il Governo in carica secretò il grave attentato alla democrazia italiana fino al mese di marzo 1971, quando divenne di pubblico dominio grazie all’inchiesta-denuncia del quotidiano Paese Sera; organizzatore fu Junio Valerio Borghese, il principe nero, in collaborazione con Avanguardia Nazionale; esponenti del gotha industriale garantirono i necessari finanziamenti; non mancò l’appoggio del Dipartimento di Stato americano all’idea di una Giunta militare; ebbero un ruolo criminale sia la Loggia massonica P2 di Licio Gelli sia Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta. Quella notte ci furono “movimenti” golpisti nella capitale, e in altre città tra cui Milano; il piano prevedeva l’occupazione dei Ministeri della Difesa e dell’Interno, la cui armeria fu effettivamente razziata dai golpisti, l’occupazione della Sede RAI, il sequestro dell’allora capo dello Stato Giuseppe Saragat (ad opera di membri della P2) e l’eliminazione fisica di Angelo Vicari, capo della Polizia (ad opera di Cosa Nostra). All’ultimo momento, probabilmente per il venir meno in dirittura d’arrivo di un “appoggio decisivo”, il golpe fu bloccato fermando l’occupazione della RAI, compito demandato alla forza di polizia del Corpo Forestale, e riavvolgendo nell’ombra quella che può essere definita la placenta di tutte le trame nere che hanno condizionato la democrazia italiana insanguinandola più volte con lo stragismo di Stato.
Come sulle stragi, da Piazza Fontana alla Stazione di Bologna, non c’è mai stata alcuna verità ma solo, e in pochi casi, la condanna della manovalanza neofascista, altrettanto non è mai fatta alcuna chiarezza sulle responsabilità dei tre tentativi di golpe e i golpisti, impuniti, hanno continuato a occupare i principali ruoli istituzionali e militari del Paese.
Tutta questa parte della storia italiana (il muro di gomma opposto alle rivendicazioni di necessari cambiamenti nel mondo del lavoro e nella società e il muro di ferro opposto, con la criminalizzazione e repressione, ai movimenti di contestazione) è una realtà messa da sempre sotto traccia per distorcere la visione degli anni ’70, segnati in profondità dalla violenza fascista, dall’eversione nera, dalle bombe e dalle stragi in cui apparati dello Stato sono risultati pesantemente coinvolti. Per questi motivi, l’espressione “anni di piombo” risulta riduttiva e speculativa e, in effetti, è utilizzata per ridimensionare e sminuire gli anni di un duro e sacrosanto scontro di classe, di lotte operaie e studentesche, di mobilitazioni antifasciste, omettendo che pezzi di Stato erano pronti al golpe (ne pianificarono tre!) e ricorsero a una serie di stragi, in collaborazione con neofascisti, per condizionare e fermare qualunque progetto di reale cambiamento.
Se non si fa completa chiarezza con la lunga stagione della “strategia della tensione” pianificata da pezzi dello Stato, con le provocazioni dei Servizi segreti che, qualunque sia stata la loro dicitura nel corso dei decenni, non sono mai stati deviati ma sempre lineari… rispetto a un’impostazione reazionaria, non si riuscirà mai a capire gli anni dello scontro di classe degli anni ’70 che si è concluso con importanti conquiste sociali ma che infine ha visto la sconfitta della sinistra.
E oggi la lotta di classe prosegue, ma come ha detto Luciano Gallino, la continua solo più il fronte padronale che, passo dopo passo, si sta riprendendo molte delle conquiste sociali e del mondo del lavoro figlie delle lotte del biennio ’68-69 e degli anni ’70.
Giovanni Vighetti
7/12/2020 https://volerelaluna.it
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