L’Italia e il mercato delle armi coi Paesi del Golfo
Tre carichi di armi in pochi mesi, cioè tonnellate di bombemade in Italy dirette in Arabia saudita, che in Yemen è alleata di al Qaeda e che in pochi mesi ha bombardato e ucciso migliaia di civili, centinaia i bambini.
L’ultimo volo dallo scalo di Cagliari Elmas, zeppo degli ordini Mk84 e Blu109 rintracciati in Yemen dopo i raid, è decollato nella notte del 18 novembre.
Il precedente il 29 ottobre scorso, sempre dallo scalo sardo; e il primo cargo il 2 maggio invece via mare, dal porto di Genova fino alla città saudita di Jeddah.
BOMBE MADE IN ITALY. Tecnicamente le partite di armi non sono italiane ma del colosso tedesco Rheinmetall che controlla la sussidiaria Rwm Italia, con i due stabilimenti di Domusnovas, in Sardegna, e Ghedi, in Lombardia, nel distretto delle armi bresciano. Ma per l’invio è stata necessaria l’autorizzazione del governo di Roma, un ok politico confermato per tre volte, anche quando, a scandalo esploso, numerose interrogazioni e appelli parlamentari chiedevano di dire no.
Per l’Onu dal marzo 2015 sono almeno 2.600 i civili morti in Yemen, su oltre 4 mila vittime, e 20 mila i feriti, la metà dei quali a causa dei raid, anche con le bombe prodotte in Italia. Ma non è tutto.
NEL G20 E PER L’ISIS. L’Arabia saudita è da anni il principale finanziatore delle cellule estremiste islamiche wahabite nel mondo, da cui derivano al Qaeda e infine Isis, e per questo «uno dei Paesi del G20» (l’altro è la Turchia) provocatoriamente additati da Vladimir Putin nella black list dei «40 Stati finanziatori» del Califfato.
Le collusioni di Riad sono conclamate: sono gli stessi americani a indicare i donatori privati del Golfo, – nell’ordine i sauditi, poi i rivali qatarini in tandem con i turchi – in piccole monarchie assolute dove lo Stato controlla tutto, come i big spender dell’Isis, dei rivali qaedisti di al Nusra e di decine di altre formazioni jihadiste.
Italia: guerra a Isis e al Qaeda e grandi affari con gli emiri
Chi invia armi nei Paesi del Golfo e attrae gli investimenti dei ricchissimi emiri rischia così di diventare complice dell’espansione del terrorismo.
E in questo mercato l’Italia, che ripudia la guerra nella Costituizione, non è da meno di Stati Uniti e Gran Bretagna, della Francia e della stessa Germania, grande armatrice dell’Arabia saudita.
Da qui il paradosso: da una parte c’è una lotta senza quartiere ai jihadisti, con allerta antiterrorismo e no-fly zone sul Giubileo, dall’altra sono invece ben accetti i fiumi di petrodollari per le casse prosciugate delle imprese e dello Stato.
L’8 e il 9 novembre, cinque giorni prima delle stragi di Parigi e a polemica divampata sui carichi di armi, il premier italiano Matteo Renzi è volato in Arabia saudita a discutere di politica e affari con il principe ereditario e ministro dell’Interno Mohammed Bin Nayef e con il ministro della Difesa Mohammed bin Salman, insieme ai vertici della Salini-Impregilo che costruisce la metropolitana a Riad.
PIÙ BUSINESS CON I SAUDITI. Nel 2014 l’interscambio tra l’Italia e l’Arabia saudita è stato di 9 miliardi di euro e l’obiettivo è di incrementarlo. Renzi ha anche incontrato il re Salman bin Abdulaziz al Saud, ma nessun cenno, ovviamente, ai cargo scottanti delle bombe che dalla Sardegna finiscono a Riad e poi sulle case dei civili.
Ma non contro i terroristi di al Qaeda, che in Yemen stanno con il blocco sunnita che fa capo ai sauditi, contro gli houthi sciiti che hanno preso Sanaa.
«Gliene abbiamo chiesto conto ma nessuna risposta», racconta a Lettera43.it il coordinatore della Rete Disarmo Francesco Vignarca, «i cargo aerei sono forniture di breve periodo evidentemente dettate dalla necessità e dall’urgenza, altrimenti sarebbero proseguiti i più sicuri trasporti navali. Legalmente c’erano gli estremi per bloccare le forniture ma la volontà politica del governo Renzi è stata un’altra».
LO SHOPPING DEL QATAR. E gli affari con gli ambigui sceicchi miliardari del Golfo non sono d’altra parte una prerogativa di Renzi, per quanto il momento sia più delicato che in passato.
Congelati gli investimenti libici, sin dal 2011 l’Italia ha moltiplicato i suoi rapporti finanziari e commerciali anche con il Qatar, rivale di jihad dei sauditi nella Primavera araba, e con il Kuwait e gli Emirati arabi, due grandi paradisi fiscali del Golfo anche per finanziatori di terroristi e trafficanti di armi.
Tra il 2012 e il 2014 l’ambiziosa famiglia reale qatarina degli al Thani (proprietaria dei grattacieli di Londra e del Paris Saint-Germain) ha fatto incetta anche di proprietà in Sardegna, estendendo lo shopping della sua Primavera araba oltre il Mediterraneo.
Armi in cambio di investimenti anche con Qatar, Kuwait ed Emirati
Nello stesso biennio al Qatar, in smaniosa competizione con i sauditi per estendere la sua influenza nell’area araba e musulmana, sono andati circa 160 milioni di euro in export di armi made in Italy.
Altri 17 milioni sono invece andati al piccolo Kuwait, l’hubfinanziario privo di norme antiriciclaggio dal quale sono state trasferite centinaia di milioni di dollari in donazioni da diversi Stati islamici a numerosi gruppi jihadisti di Siria e Iraq, ha rivelato nel 2013 un’indagine antiterrorismo del Dipartimento di Stato americano.
Un flusso che non si è arrestato neanche dopo le denunce: solo da Arabia saudita, Qatar e Kuwait il think tank Washington Institute for Near Policy stima che l’Isis, negli ultimi due anni, abbia ricevuto 40 milioni di dollari.
PRIMA LETTA, POI RENZI. Nel 2014 fu il rivale di Renzi e allora premier Enrico Letta, a stringere una partnership tra il danaroso fondo sovrano del Kuwait e la Cassa depositi e prestiti italiana, per 500 milioni di euro d’investimenti. Nel settembre 2015 Renzi ha poi siglato un memorandum d’intesa con il governo kuwaitiano per l’acquisto di 28 caccia Eurofighter dal consorzio europeo di Finmeccanica: la più grande commessa del colosso italiano, un accordo a cui la Difesa lavorava dal 2012.
«Il governo Renzi è in carica da poco tempo e il livello complessivo di commesse inviate sembra quello dei precedenti. Ma certo, per l’Italia come per gli altri Paesi occidentali, negli ultimi anni il trend si è concentrato nel Medio Oriente. Il 35% di armi italiane va verso questa area di conflitto, Israele incluso», precisa Vignarca, «questo aggroviglia la rissa in corso tra i Paesi mediorientali e aggraverà anche la problematica del terrorismo».
LE SVIZZERE DEL GOLFO. Dalla partita Etihad alle azioni di Unicredit, l’Italia ha infine ottimi rapporti con gli Emirati, la Svizzera del Golfo che politicamente e militarmente è meno coinvolta nelle guerre territoriali della Primavera araba ma da dove pure partono svariati rivoli di transazioni e triangolazioni sospette.
La scorsa primavera, per esempio, il primo carigo di armi dall’Italia ai sauditi fu mascherato da una spedizione terrestre da Jeddah ad Adu Dhabi, dove le bombe di Rwm Italia inizialmente senza esplosivo (e classificate come involucri accessori) attraverso una società pagata dal ministero della Difesa saudita furono accessoriate di tutti i componenti,.
Pecunia non olet, il 6 ottobre scorso Renzi ha ricevuto in pompa magna a Firenze anche il principe ereditario emiratino e sceicco Mohammed Bin Zayed al Nahyan.
Barbara Ciolli
20/11/2015 www.lettera43.it
Twitter @BarbaraCiolli
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