Lo sfascismo differenziato dei secessionisti

Locandina pubblicata sul numero di gennaio 2013 del mensile Lavoro e Salute

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La politica italiana che ha governato il Paese negli ultimi quarant’anni, con i suoi atti legislativi, ha mirato alla sovversione della Costituzione che all’art. 3 stabilisce
“…. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economicae sociale del Paese.”.

Questo attacco alla Costituzione è storicamente provato. Atti sovversivi che fanno diventare giochi di ruolo i tentativi della destra fascista con le stragi di massa degli anni 70. Una guerra allo Stato di diritto come base della democrazia parlamentare che oggi viene ulteriormente pianificata con il progetto dell’autonomia differenziata originata dalla nascita della Lega Nord di Bossi.

Che nelle intenzioni dei proponenti e dei loro attuali sostenitori il risultato sia la guerra tra poveri, il conflitto generazionale tra giovani vecchi, tra lavoratori precari e lavoratori “garantiti” è sotto gli occhi di chi si tiene fuori, in rispetto della Costituzione, dai giochi d’affari egoisti delle Regioni ricche ma anche di quelli personalistici dei “governatori” del sud.

Quegli affari che la pandemia ha in parte svelato drammaticamente anche alle popolazioni tenute sotto seguestro dall’informazione a senso unico, perchè detenuta nella mani degli stessi poteri economici che hanno governato il Paese tramite i loro delegati nei due schieramenti di centro destra/sinistra.

Nei due anni di picco della pandemia la regionalizzazione della sanità, di fatto applicata da anni, si è dimostrata incapace a garantire la salute e ha prodotto ulteriori disuguaglianze in tutte le Regioni ed in particolare tra Nord e Sud, ha, paradossalmente (in Italia ogni cosa politica dei governanti si basa sui paradossi) facilitato il proseguimento delle privatizzazioni, in atto da decenni, e il potenziamento della già radicata sanità integrativa, gestita dai privati, finanziata da tempo con i soldi pubblici, depotenziando quel poco di sanità territoriale prevenzione ancora sopravvissuta ai tagli permanenti, in particolare durante gli ultimi governi di entrambi gli schieramentti.

Quindi va da sè che la pandemia da coronavirus è la dimostrazione viva che un servizio sanitario diviso diverso per ciascuna Regione è mortale per i cittadini. Ormai tutti possono arrivare all’amara considerazione che il buon senso sarebbe facile ma si sa che in Italia la semplicità delle cose è difficile a farsi, mentre la barbarie è radicata nel DNA di chi è eletto per determinare uno stato sociale di benessere per tutte e tutti.

La pandemia ha svelato alla massa che il fabbisogno di salute – diritto descritto nell’art. 32 della Costituzione – non può dipendere dal reddito prodotto dalle singole Regioni, come quelle del centro- nord che pretendono di gestire ogni forma di fiscalità generale derivante da materie vitali che riguardano la vita dei cittadini: sanità, scuola, università, ricerca, sicurezza sul lavoro, previdenza integrativa, ambiente, lavoro e contratti, professioni, infrastrutture, trasporti, energia, beni culturali, le più note.

Pochi si rendono conto chesi avrebbero 20 sistemi regionali completamente diversi su tutte le materie – sanità, contratti di lavoro, sicurezza sul lavoro, previdenza integrativa, ambiente, lavoro servizi pubblici, scuola, università, ricerca, professioni, infrastrutture, trasporti, energia, beni culturali, che governano – bene o male – regole, diritti e doveri della collettività e dell’identità nazionale.

Quindi l’Autonomia Differenziata porterebbe alla scomparsa dei principi di uguaglianza e solidarietà, politica, economica e sociale previsti dall’art.2 della Costituzione, determinante per l’unità del Paese – la Repubblica è “una e indivisibile, art. 5- anche se mai applicato compiutamente a causa dello sviluppo diseguale tra le Regioni del centro-nord e quelle del sud lasciate dalle politiche di tutti i governi a marcire
intenzionalmente nell’inedia della disoccupazione e nel ricatto delle compiacenti mafie.

Per la cronaca, e per i futuri libri di storia (se obbiettivi) tutto è iniziato con la Riforma del Titolo V, approvata nel 2001, veniva ridotta la potestà legislativa dello Stato a favore di quella concorrente delle Regioni, che operano ad interpretarla come esclusiva.
Spariscono, spudoratamente, il concetto di interesse nazionale e il richiamo a Mezzogiorno e Isole che erano presenti nel testo del 1948.

In questo stato di caos istituzionale sembra quasi logico che il signorotto del Veneto Luca Zaia possa, senza alcuna vergogna, affermare “dateci l’autonomia e aiuteremo il sud”. Il ritorno al feudalesimo, con i poveri in attesa dell’elemosina dei ricchi nella fortezza, però a condizione che non si ribellino ai voleri dei signorotti.
Nelle stanze blindate del governo si programma, nel silenzio degli organi di stampa, il golpe con le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata”, fregandosene (ricordate il “me ne frego” dei criminali in camicia nera?) il parere della Corte dei Conti che ha fatto presente le gravi disfunzioni che produrrebbe nel tessuto economico.

Quello che fa rabbia è il silenzio ancora di molti intellettuali di peso politico, di storici, di giornalisti che si vantano di essere indipendenti, di artisti influencer in questa società dell’immagine, che potrebbero cambiare i rapporti di forza comunicativa nell’informare l’opinione pubblica programmaticamente esclusa di fautori di quella che è una vera e propria e secessione delle zone ricche, o meglio dire dei settori ricchi delle Regioni del nord in quanto le disuguaglianze e le disparità dicondizioni sociali aumenterebbero ancora per le già ampie fasce di povertà nelle periferie di quelle Regioni. Ne sono drammaticamente consapevoli i milioni di cittadini ormai costretti a ricorrere all’onerosa sanità privata.

Questa politica si basa sull’odio di classe perchè, loro, la lotta di classe l’hanno fatta e continueranno, non gli basta più il neoliberismo, pretendono il neofeudalesimo e la strada per facilitarlo è rappresentata dalla lotta tra poveri, dal rancore nei confronti di simili residenti oltre i propri confini.
E uno sciopero generale in difesa dei diritti sociali della Costituzione?

Niente più sarà uguale dall’Italia che abbiamo conosciuto, anche la politica sarà sempre più lontana dalla realtà quotidiana di chi è fuori dai palazzi, e gli italiani del sud vivranno sempre peggio come cittadini scartati dentro delle riserve dalle quali usciranno solo per poter, chi potrà farlo, elemosinare fuori dai confini regionali.

Come difendersi da queste intenzioni della delinquenza politica? Intanto non votarli più, disintossicarsi dalla droga delle TV, riallacciare un rapporto sentimentale con i comunisti, ricordando che sono quelli che hanno dato al Paese i diritti di civiltà. benessere sociale e di lavoro. Quello che vi hanno raccontato nelle scorse settimane sui comunisti è la solita negazione della storia, che modulano a loro uso e consumo.

NOTA A MARGINE
Per comprendere al meglio gli aspetti normativi ecco un brevissimo excursus nel campo del diritto costituzionale. L’istituto dell’autonomia differenziata (o rafforzata) è previsto esplicitamente dalla Costituzione, così come modificata dalla riforma del titolo V del 2001 (la legge costituzionale 3/2001, proposta nel 1999 dall’allora Presidente del Consiglio D’Alema e da Amato, all’epoca Ministro per le riforme istituzionali). L’articolo 116 della Costituzione risultante da tale riforma, recita, al terzo comma:

«Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 [ovvero quelle in cui lo Stato e le Regioni esercitano la cosiddetta legislazione concorrente, NdR] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessate».

L’Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto contano sull’applicazione concreta dell’articolo 116 e hanno preteso l’iter per l’ottenimento delle ulteriori forme di autonomia di cui sopra, e hanno iniziato a trattare, prima con il governo Gentiloni (le cosiddette pre-intese del febbraio 2018) e, successivamente, con il governo Conte, i contenuti delle intese che dovranno essere sottoposte al vaglio delle Camere.

Redazione Lavoro e Salute

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