Lo spettro di Basaglia tormenta Salvini

Psicosi-psicotico

Nel 2018 ricorre il cinquantenario del Sessantotto, l’anno che incarna la quintessenza dei fenomeni socioculturali che, a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, espressero un potenziale critico inedito nei confronti della vita politica, sociale ed economica di innumerevoli paesi. Tra gli elementi che segnarono nel modo più profondo la cultura di quel periodo va ricordata senza dubbio la psichiatria radicale tanto che lo storico inglese John Foot non esita a definire L’istituzione negata – opera che illustra e insieme incarna il radicale sovvertimento del mandato psichiatrico avviato a Gorizia da Franco Basaglia – una delle ‘bibbie’ del ’68.

Pensare la psichiatria attraverso la società

Il pensiero e le pratiche elaborate dallo psichiatra veneziano renderanno possibile l’approvazione della legge 180 del 1978 (nota appunto come legge Basaglia), riforma che avvierà un tentativo di superamento, lungo e pieno di ostacoli, della situazione psichiatrica precedente, regolata ancora da norme risalenti ai primissimi anni del Novecento. Si celebrano anche i quarant’anni della legge 180 e del testo fondamentale, L’istituzione negata, che segnò l’immaginario e le lotte di un’intera generazione, spesso fuori dai confini nazionali. Si celebrano o meglio si sarebbero dovuti celebrare dato che, salvo contenute eccezioni, il mondo della politica e delle istituzioni sembra perlopiù indifferente alle figure dei Basaglia (Franca Ongaro Basaglia, che fu anche senatrice della Sinistra Indipendente, ebbe un ruolo tanto centrale quanto sottovalutato) e dei tanti che militarono per restituire ai matti lo statuto di persone. L’importanza di uno dei più noti pensatori e sovvertitori della realtà dell’istituzione sembra disinnescata da una tenace indifferenza. Ma è proprio così? Tra i pochi che hanno menzionato – seppur indirettamente – la figura di Franco Basaglia sorprenderà sicuramente di trovare il nome di Matteo Salvini.

Il primo luglio 2018 dal proprio profilo Twitter, il ministro dell’Interno proclamava: «Noi stiamo lavorando per un’Italia più buona. Penso alla assurda riforma che ha lasciato nella miseria migliaia di famiglie con parenti malati psichiatrici. Due giorni dopo,intervistato su La7, l’ipermediatico leader della Lega denunciava: «C’è quest’anno un’esplosione di aggressioni per colpa di malati psichiatrici e qua non è colpa del mio ministero, però evidentemente c’è da rivedere il fatto che sia stato abbandonato il tema della psichiatria e lasciato solo sulle spalle delle famiglie italiane chiudendo tutte le strutture di cura per i malati psichiatrici». Come sempre, le dichiarazioni di Salvini mescolano provocazioni e fatti approssimativi quando non deliberatamente falsi, volti a suscitare sdegno e rancore e predisporre a scelte manichee e apparentemente radicali. Esse hanno anche un ruolo performativo, ammiccano a determinate forze e tendenze politiche sdoganando e rendendo accettabili e legittimate le loro proposte.

Tutte queste componenti devono dunque essere tenute presenti quando si vogliono decifrare i messaggi della nuova Lega. Da un lato va notato che lo sdegno del ministro è unidirezionale e ingiustificato. Come ha obiettato la Società Italiana di Psichiatria, non vi è alcun dato per sostenere l’aumento di aggressioni ad opera di malati con patologie psichiatriche e tale messaggio «non fa altro che aumentare paure infondate sulle persone affette da disturbi psichici, etichettandole ingiustamente ed indiscriminatamente come ‘pericolose’». In oggettivo aumento sono invece le violenze mosse da odio razziale, omofobia e questioni di genere, fomentate e sminuite quotidianamente da Salvini. Va poi ricordato che, malgrado i limiti nella realizzazione della legge ispirata dall’opera di Basaglia, essa ha avuto il merito di avviare alla sostituzione dei manicomi (dove il malato era letteralmente sradicato dalla famiglia e dalla società) con centri di salute mentale (Csm), centri diurni (Cd) e altre strutture (come gli Spdc) in grado di accogliere e trattare i pazienti per periodi prolungati e in simbiosi coi nuclei famigliari. Prima, come Franco Basaglia non cessava mai di osservare, vi erano due tipi di psichiatria: la psichiatria per i ricchi – che potevano venir curati in costose cliniche private – e quella per i poveri – privati dei diritti civili e politici e internati nei manicomi dove la cura lasciava il passo a misure repressive e punitive. Bollati come «pericolosi per sé e per gli altri e di pubblico scandalo» i matti erano spesso donne che, a seguito di violenze, erano rigettate dalle famiglie, disabili, persone affette da depressione o tutti coloro che, colpiti da una qualsiasi patologia o semplicemente dalla miseria, non potevano in alcun modo essere integrati nel sistema di produzione capitalista.

Michel Foucault (che collaborò con Basaglia in Crimini di pace) aveva già dimostrato in Storia della follia nell’età classica che il manicomio era un contraltare del carcere e che la diagnosi poteva ben essere paragonata a una forma di condanna. Con la perdita dei diritti civili e politici, gli internati vedevano il loro nome sostituito da un numero, erano rasati, spogliati di ogni bene e obbligati a indossare un camiciotto a righe, legati e torturati quotidianamente. Se il loro comportamento abnorme scaturiva dall’impossibilità di integrarsi in una società fondata sul principio stesso dell’esclusione, l’ingresso nell’asilo li rendeva vulnerabili a ogni forma di violenza e di arbitrio. Evidentemente è questa la realtà di cui ha nostalgia il signor ministro.

Le parole di Matteo Salvini non sono preoccupanti solo per il tipo di società che delineano – una società fondata sul principio di esclusione – ma anche perché, nel contesto storico in cui sono pronunciate, rischiano di sembrare una soluzione per molte persone lasciate sole a farsi carico di un famigliare malato. Altro anniversario passato inosservato è infatti quello del Servizio sanitario nazionale, istituito nel 1978 dal Ministro della Sanità Tina Anselmi con la vocazione di rendere le cure e l’educazione alla salute efficaci e disponibili per tutti. Nel suo quarantesimo, la Sanità italiana appare martoriata da oltre un decennio di tagli e la sua eccellenza – costruita ormai esclusivamente sugli sforzi non sostenibili degli operatori – risulta gravemente compromessa. Come ha descritto Gloria Riva in un suo recente articolo, nel 2018 il rapporto tra spesa sanitaria e Pil è sceso a quota 6,5%, soglia sotto la quale l’Oms ritiene impossibile assicurare un’assistenza di qualità e neppure l’accesso alle cure, con una conseguente previsione di riduzione della qualità e della durata di vita dei cittadini. Tale china sembra destinata a peggiorare ulteriormente nelle previsioni fino al 2020. Nonostante il fatto che la sanità pubblica italiana, nel rapporto costi/benefici, appaia tra le più efficienti in Europa, la prassi obbliga sempre più persone a ricorrere al privato oppure – come nel caso di coloro che non possono permetterselo – a non curarsi affatto. Come in moltissimi altri casi, per comprendere la figura politica di Salvini dobbiamo capire che essa si situa al termine di un periodo di attacco accanito allo stato sociale culminato in una pauperizzazione e in una riduzione della qualità della vita di ampie fasce della società. Si pensi, se non si vuole tornare troppo indietro nel tempo, che nel corso del governo precedente il taglio di risorse pubbliche destinate al Sistema sanitario è stato proseguito senza alcuno scrupolo, come ha regolarmente denunciato il sindacato dei medici e dei dirigenti del Servizio sanitario nazionale (Anaao Assomed). Applicando politiche neoliberiste, la socialdemocrazia italiana ha contribuito a creare materialmente il popolo su cui l’estrema destra di oggi può esercitare la propria egemonia. Senza aver questo dato sotto gli occhi, lo sgomento, il disgusto e l’indignazione per le parole e l’operato di Salvini non basteranno certo per dar vita a nessuna risposta politica. Quarant’anni dopo, il crescente divario tra «la medicina dei ricchi e quella dei poveri» sembra costituire le condizioni materiali per una riforma di segno opposto a quella pensata e voluta da Basaglia.

Un’eredità possibile

Ma perché l’estrema destra dovrebbe menzionare Franco Basaglia quando la sua figura non sembra certo al centro dell’attenzione mediatica? È  possibile cercare una risposta in un fatto occorso durante la campagna elettorale quando Salvini – in maniera totalmente decontestualizzata e senza elaborare in alcun modo il punto – aveva manifestato la sua volontà di riaprire le case chiuse. Tale gesto, in un periodo di tenaci rivendicazioni femministe volte a denunciare la violenza di un patriarcato che, travolto da una profonda crisi (rinvio alle interessanti osservazioni di Giacomo Gambaro), non può che mostrare il suo volto più feroce ed efferato, manifesta la volontà di determinare e normare il corpo femminilemalgrado le donne. A ciò va aggiunto il sostegno che la Lega apporta alle forze che aspirano a vanificare le più fondamentali conquiste delle donne (come la libertà di decidere del proprio corpo in caso di gravidanza) reso evidente dalle posizioni reazionarie dei vari Fontana e Pillon. È attraverso tali sparate, apparentemente casuali ed estemporanee, che Salvini ammicca ai più disparati gruppi di estrema destra costituendo gradualmente un fronte comune e rendendo via via più accettabili le loro posizioni di fronte all’opinione pubblica.

Quanto a Franco Basaglia, non possiamo fare a meno di ricordare la radicalità di un pensiero che istituiva dei nessi profondi tra piano economico, strutture sociali e discorso scientifico. Libri comeCrimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione mostrano bene come l’apparato tecnico-scientifico agisca in nome di un mandato socioeconomico ben preciso volto a rendere logica e razionale la prospettiva del capitale e delle classi dominanti. La sua opera di riforma sanitaria è quindi un’azione pervasiva nel tessuto sociale volta a smascherare e a disinnescare l’azione repressiva e di contenimento operata dalla logica capitalista attraverso l’istituzione. Le riforme avviate dalla legge 180 vanno ascritte a un preciso pensiero della società e al tentativo di sottrarre i saperi dal ruolo a cui li relega l’ideologia dominante. Il pensiero e le pratiche dell’antipsichiatria non si limitarono all’abbattimento dei muri e all’apertura dei cancelli dei manicomi; operarono un trasferimento di saperi e di pratiche dalle mani dei dominanti a quelle dei subordinati. Come ebbe a dire Franca Ongaro riflettendo su quello che era stato il principio dell’antipsichiatria, ogni rivoluzione ha inizio con un «no».  

Di fronte alla crisi della sinistra e alla sua incapacità di contrastare l’egemonia culturale e politica della nuova destra, è emblematico che Salvini contrapponga la sua visione di società a quella del femminismo e della psichiatria radicale. Forse essi incarnano un lascito del ’68 che si è rivelato più longevo di altri. E forse oggi, dinnanzi alla crisi e alla irrecuperabilità del modello socialdemocratico (dato da un equilibrio capitale-lavoro molto diverso da quello attuale) tentare di capire il potenziale sovversivo di tali pratiche ci aiuterebbe a rinnovare il nostro «no» nei confronti di chi tenta di vanificare decenni di conquiste sociali.

Alberto Fabris

 Alberto Fabris, PhD in filosofia (ENS-Lyon), attualmente fa ricerca presso la Johns Hopkins University. Vive tra la Francia e gli Stati uniti e si occupa di filosofia e teoria politica.

13/12/2018 https://jacobinitalia.it

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