Lo stato delle relazioni UE-Cina: c’è ancora modo di evitare una nuova guerra fredda?

La Cina promette all’Unione Europea una partnership basata su pace e prosperità economica attraverso l’implementazione dell’Accordo globale in materia di investimenti siglato il 30 dicembre 2020, ma rimasto bloccato da allora. Esorta l’UE ad esercitare la sua “autonomia strategica” rispetto agli USA che da tempo hanno identificato la Cina come loro “rivale strategico”. Ora si tratta di vedere se le classi dirigenti europee decideranno di perseguire gli interessi economici e politici europei riconoscendo l’ascesa pacifica della Cina allo status di grande potenza. Oppure se, come già avvenuto nei confronti della Russia ancor prima dell’aggressione criminale di Putin all’Ucraina, si allineeranno, in qualità di junior partners, ai desideri della potenza americana ormai in declino, ma ancora con formidabili capacità economiche, tecnologiche e militari, che vuole combattere una nuova Guerra Fredda per il contenimento della Cina, accelerando così la deglobalizzazione e la regionalizzazione del mondo in blocchi economico-militari contrapposti guidati da Stati Uniti e Cina.

Venerdì 1° aprile i leader dell’UE – Ursula von der Leyen e Charles Michel, presidenti della Commissione Europea e del Consiglio Europeo – hanno incontrato online i leader cinesi – Xi Jinpig e Li Keqiang, il presidente e il premier della Cina. E’ stato il primo incontro formale tra i leader delle due parti dal 30 dicembre 2020. Un vertice bilaterale (il 23°) virtuale durato circa un’ora e descritto da un diplomatico dell’UE come “difficile“, avvenuto all’inizio del secondo mese di guerra in Ucrania, con grandi pressioni, soprattutto dagli USA, affinché gli europei rinnovassero gli avvertimenti ai leader cinesi di non indebolire le sanzioni contro la Russia1.

In effetti, uno dei messaggi di von der Leyen e Michel è stata la velata minaccia che le aziende europee potrebbero ritirarsi dagli affari con la Cina se Pechino si schiererà troppo a stretto contatto con Mosca (soprattutto, inviando un supporto militare). “Contiamo sul sostegno della Cina per raggiungere un cessate il fuoco duraturo, porre fine a questa guerra ingiustificabile e affrontare la drammatica crisi umanitaria che ha generato“, ha detto Michel. Nella conferenza stampa, von der Leyen ha detto che le due parti avevano semplicemente “punti di vista opposti” riguardo alla crisi ucraina: per gli europei (come per gli americani) è una crisi internazionale – per cui “l’invasione russa dell’Ucraina rappresenta un momento di svolta non solo per il nostro continente, ma anche per le nostre relazioni con il resto del mondo; è un momento decisivo perché niente sarà più come prima della guerra” -, mentre per XI è una crisi europea, ossia regionale. “La crisi ucraina deve essere gestita correttamente… e non si può vincolare il mondo intero alla questione, tanto meno facendo pagare un prezzo pesante ai cittadini di tutti i Paesi a causa di ciò“, ha detto Xi. “Se la situazione peggiora, potrebbero essere necessari anni, un decennio o decenni per riprendere [la normalità] in seguito”. Sebbene non sia del tutto chiaro se il governo cinese consideri la guerra in Ucraina positiva o negativa, è assai probabile che nel complesso la consideri più come negativa perché è un disturbo generale per i flussi economici globali e le importazioni cinesi di grano, olio di girasole, fertilizzanti ed altre materie prime dall’Ucraina e dalla Russia.

Il timore dei leader europei (ed americani) è che Pechino faccia qualcosa per aiutare la Russia a eludere le sanzioni occidentali, sebbene finora le abbia rispettate (ad esempio, rifiutandosi di fornire componenti per aerei). “Ci aspettiamo che la Cina, se non sostiene le sanzioni, almeno faccia di tutto per non interferire in alcun modo“, ha affermato von der Leyen. “Nessun cittadino europeo comprenderebbe qualsiasi sostegno alla capacità della Russia di trainare la guerra. Inoltre, comporterebbe un grave danno reputazionale per la Cina qui in Europa: i rischi reputazionali sono anche le forze trainanti dell’esodo delle compagnie internazionali dalla Russia“.

La dirigenza cinese ha offerto all’Unione Europea assicurazioni che sta cercando di sostenere una trattativa di pace in Ucraina, ma alle condizioni decise dalla Cina (“a modo suo“), rifiutando la pressione per una posizione più dura nei confronti della Russia2. Dal punto di vista cinese, Cina e Russia sviluppano legami basati sul reciproco vantaggio e non c’è niente di sbagliato che due membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) conducano normali scambi commerciali. Le relazioni tra Cina e Russia dovrebbero essere decise dai due Paesi piuttosto che dall’UE, dagli USA e dalla NATO (che nel giugno 2021 ha inserito la Cina tra le grandi sfide sistemiche della sicurezza globale, a fianco del tradizionale rivale, la Russia3.

La presidente della Commissione Europea ha aggiunto che il settore imprenditoriale europeo “sta seguendo da vicino gli eventi e valutando come si stanno posizionando i Paesi. Questa è una questione di fiducia, di affidabilità e, naturalmente, di decisioni sugli investimenti a lungo termine. Mi permetto di ricordare che ogni giorno Cina e Unione Europea scambiano beni e servizi per un valore di quasi 2 miliardi di euro e, in confronto, il commercio tra Cina e Russia è solo di circa 300 milioni di euro al giorno“. La Cina è il più grande partner commerciale della UE4 e anche il principale investitore. I legami economici e commerciali rimangono stretti e continuano ad espandersi con una forte complementarità. Il commercio della Cina con l’UE nel 2021 è stato di 828,1 miliardi di dollari, con un aumento del 27,5% su base annua, e la Cina è stata il secondo destinatario delle esportazioni di beni dell’UE e la principale fonte di importazioni di beni dell’UE. Nei primi due mesi del 2022, l’UE ha superato l’ASEAN come principale partner commerciale della Cina dopo aver perso la posizione nel 2021, poiché il commercio tra Cina e UE è aumentato del 14,8% su base annua a 137,16 miliardi di dollari.

Nel 2019 Xi ha definito Putin il suo “migliore amico e collega” e nel corso dell’incontro tra Putin e Xi Jinping a Pechino lo scorso 4 febbraio sono stati firmati nuovi accordi economici nell’ambito di quella che Xi ha definito una “cooperazione senza limiti” tra Cina e Russia, una partnership che i media occidentali mainstream hanno subito bollato “asse autoritario” (sulle relazioni economiche e politiche tra Cina e Russia vedi il nostro articolo), che sarebbe deciso ad estinguere l’architettura della sicurezza globale che da decenni salvaguarda la pace e la democrazia5. Sul piano delle relazioni internazionali, Cina e Russia appaiono allineate sulla maggior parte delle questioni più contrastanti con gli USA – Iran, Corea del Nord, Venezuela, Siria, Taiwan6 – e condividono l’ostilità degli Stati Uniti. Mosca sta combattendo una guerra in Ucraina con il dichiarato obiettivo di contrastare l’espansionismo di Washington realizzato attraverso la NATO, mentre Pechino è alle prese con la guerra politico-commerciale-finanziaria scatenata da Trump e continuata da Biden all’interno di un approccio da nuova guerra fredda (su questo tema vedi il nostro articolo). Cina e Russia si oppongono a qualsiasi ulteriore allargamento della NATO e hanno invitato il blocco ad abbandonare “gli approcci ideologizzati da guerra fredda”, che si basano sulla logica manichea “amico o nemico7.

Ci sono, però, anche profonde differenze tra gli interessi, le motivazioni e le visioni russe e cinesi per l’ordine interno e globale. La Cina e la Russia hanno sistemi politici molto diversi ed economie molto diverse, con andamenti molto diversi: la Cina è la “fabbrica del mondo” ancora in crescita che crea ricchezza per la propria popolazione e per l’economia mondiale, la Russia è un esportatore di materie prime in declino, senza una vera forza economica autonoma. La Cina è uno Stato comunista in cui il Partito Comunista – che ha circa 105 milioni di membri e circa 81 milioni iscritti alla Lega Giovanile – governa per conto del popolo ed è impegnato a realizzare il “sogno cinese di rinascimento nazionale” (dopo il cosiddetto “secolo dell’umiliazione nazionale” durante la dinastia Qing, il periodo tra il 1839 e il 1949, dalla prima Guerra dell’Oppio alla vittoria dei comunisti di Mao Zedong sui nazionalisti di Chiang Kai-shek), una nuova era di “prosperità armoniosa” con una società xiakang, “moderatamente prospera” all’interno di un “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”. Un modello politico che ha l’ambizione di combinare insieme elementi di capitalismo e socialismo – dalla proprietà delle imprese ai processi di pianificazione multilivello, dai diritti di utilizzo della terra di proprietà pubblica alle imprese statali, dalle riforme del welfare state (con un decisivo impegno per eradicare la povertà economica ed educativa) ai valori culturali politici incorporati in una combinazione di marxismo-leninismo, capitalismo e confucianesimo in cui la collettività viene prima dell’individuo. La Russia è una dittatura nazionalista conservatrice personalizzata che si maschera da democrazia, e con un’economia improntata ad un capitalismo oligarchico di stampo predatorio neoliberista. Entrambe le economie sono molto controllate dai governi (anche se una ricerca del think-tank europeo Bruegel sulle strutture proprietarie delle più grandi aziende rileva che il settore privato è avanzato nell’era di Xi Jinping), per cui tutto diventa politico, ma ciò non garantisce alcuna commensurabilità. Inoltre, si aggiungono profonde differenze culturali. Xi si muove all’interno della millenaria cultura cinese rinnovata dall’incontro con il marxismo (da cui il “socialismo con caratteristiche cinesi”). Putin, nonostante identifichi la Russia come una potenza euroasiatica, ha più volte specificato di inserirla all’interno del contesto culturale occidentale cristiano e antimodernista (non certo quello del socialismo o della liberal-democrazia che Putin ha detto essere “diventata obsoleta”). Come ha notato Simone Pieranni: “Per questo per Putin la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (alla Clausewitz). Xi è cinese. È Sun Tsu a indicare la strada e la guerra migliore è quella che si vince senza combattere.

Soprattutto, sebbene i leader di Russia e Cina condividano una serie comune di rimostranze sulla sicurezza contro il blocco di forze guidato dagli Stati Uniti, temendo sia la sovversione interna sia le limitazioni esterne alle loro aspirazioni regionali, l’obiettivo di Putin è semplicemente quello di distruggere queste minacce con una politica aggressiva, anche di tipo militare, mentre Xi si muove in modo più felpato, pur non disdegnando di usare l’economia come strumento per portare gli equilibri internazionali dalla propria parte, e soprattutto ha articolato un’ambiziosa visione positiva per il mondo che va oltre il desiderio di acquisire per la Cina lo status di grande potenza regionale e che intreccia gli interessi del popolo cinese con il perseguimento del bene comune globale. Il fulcro di questa visione è la Belt and Road Initiative (BRI), un programma composto da una miriade di investimenti, prestiti e progetti infrastrutturali che hanno portato all’investimento di quasi due trilioni di miliardi di dollari nei Paesi emergenti e poveri sotto forma di infrastrutture, attività produttive, servizi logistici e sanitari e connettività digitale. Investimenti essenziali che sono stati trascurati per decenni dagli investitori occidentali e dalle agenzie di sviluppo, e che quindi sono stati accolti favorevolmente nel Sud del mondo8. Lungi dall’imporre un nuovo ordine globale, la Cina invita l’Occidente a lavorare insieme per riformare lo status quo9, una proposta che purtroppo viene sistematicamente rifiutata dagli USA10.

Finora la Cina ha mantenuto una linea bilanciata e prudente, cercando di navigare con attenzione, reagendo in tempo reale11. Non ha approvato l’invasione russa dell’Ucraina, anche perché uno dei cardini della politica internazionale cinese dal 1949 è l’opposizione a qualsiasi atto che violi la sovranità ed integrità territoriale di uno Stato, come previsto dalla Carta dell’ONU. Inoltre, Xi vuole dimostrare la capacità della Cina di essere pronta ad operare come una “potenza mondiale responsabile“. Nonostante i grandi accordi economici con la Russia (a cominciare dalle forniture di petrolio e gas), Xi e il governo cinese hanno ripetutamente invitato “le parti ad esercitare moderazione e a evitare che la situazione vada fuori controllo”. La Cina si muove con grande cautela, non ha nessuna intenzione di farsi trascinare nella crisi, di prendere parte, almeno per ora, soprattutto non vuole rischiare di antagonizzare l’Unione Europea – il suo principale mercato di esportazione -, come non ha alcun interesse che quest’ultima rimanga allineata al volere degli USA12.

Non a caso, riguardo al vertice Cine-UE la stampa cinese ha evidenziato soprattutto l’invito di Xi all’Europa a sviluppare la propria politica “autonoma” dagli USA nei confronti della Cina13 e a “stare dalla parte giusta della storia”, prendendo il controllo del proprio destino e agendo per la sua sicurezza14.

Al tempo stesso, la Cina non approva le sanzioni per risolvere i conflitti internazionali. Per cui non ha aderito direttamente (come tanti altri Paesi asiatici, mediorientali, africani e sudamericani) alle misure a carico della Russia dopo l’invasione. La Cina si è sempre opposta a sanzioni unilaterali al di sopra del diritto internazionale (e senza un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU), ritenendo che oltre a creare gravi problemi economici per entrambe le parti, determinino nuovi problemi critici per l’economia globale (nel commercio e crescita economica, nella finanza15, nell’energia16, nella sicurezza alimentare e nelle catene industriali e di approvvigionamento) e non aiutino la risoluzione dei conflitti. La preoccupazione cinese deriva dal timore che troppe sanzioni possono comportare stagnazione economica, inflazione galoppante senza crescita (stagflazione) e persino una crisi del debito per l’Europa e tanti Paesi emergenti e poveri. Inoltre, la leadership cinese teme che gli USA (come hanno fatto in altre occasioni) amplieranno il campo di applicazione e creeranno “sanzioni secondarie” (che penalizzano società o Paesi non americani per aver fatto affari con l’obiettivo delle sanzioni primarie, in questo caso la Russia), che potranno portare ad un tiro alla fune sul sostegno alla Russia da parte della Cina e a colpire il suo ampio ruolo nel commercio globale17.

Da questo punto di vista, il summit virtuale tra Cina e UE ha rappresentato un tentativo, almeno da parte cinese, di attenuare le crescenti tensioni tra le due parti e migliorare la cooperazione. Negli ultimi mesi le relazioni si sono complicate, l’accordo di investimento (CAI), fortemente voluto da Germania (per il cui apparato industriale di esportazione la Cina rappresenta un mercato cruciale) e Francia, era stato concluso con la Cina dopo sette anni di negoziati il 30 dicembre 2020, ma è stato bloccato lo scorso maggio dopo che Bruxelles ha imposto sanzioni a quattro funzionari cinesi coinvolti nella politica di Pechino nello Xinjiang per il mancato rispetto dei diritti umani e Pechino ha imposto controsanzioni su alcuni membri del Parlamento Europeo, altre istituzioni UE e soggetti individuali che erano intervenuti sulla questione della repressione contro la minoranza uigura nello Xinjiang18. E’ sorta anche  una controversia economica tra Cina e Lituania quando quest’ultima ha consentito a Taiwan di aprire un’ambasciata de facto a Vilnius. Anche l’adesione della Cina agli standard dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) è ancora un punto critico (soprattutto, per quanto riguarda la ratifica e l’attuazione delle convenzioni n. 29 e n. 105 sul lavoro forzato).

Da alcuni anni ormai l’UE guarda alla Cina in una prospettiva di “cooperazione, competizione e rivalità“. Nel 2019, l’UE è improvvisamente passata da un linguaggio diplomatico morbido ad etichettare la Cina come “rivale sistemico19. Oggi, la UE considera la Cina un rivale in alcuni campi, ma un partner in settori come la lotta al cambiamento climatico (in vista della convenzione COP 27 di Sharm el-Sheikh), la transizione energetica, la salvaguardia della biodiversità (in vista della Convenzione COP 15 di Kunming), e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU. La UE vuole anche coinvolgere la Cina nella sua spinta a riformare le regole commerciali presso il WTO20. Inoltre, Cina e UE lavorano insieme per salvaguardare il multilateralismo, affrontare congiuntamente la pandemia di CoVid-19 (con la Cina che continua ad adottare una politica zero-CoVid-19, con chiusure di intere città e regioni per bloccare i contagi della variante Omicron, assestando duri colpi all’economia cinese), assicurare la sicurezza alimentare, e promuovere la risoluzione di questioni calde come la questione nucleare iraniana Entrambe le parti hanno convenuto che il vertice del 1° aprile è stato caratterizzato da una discussione sincera e approfondita e hanno deciso di intensificare la comunicazione e di mantenere il coordinamento e la cooperazione. Per i leader cinesi ciò che è più importante è che non ci sono né conflitti geopolitici fondamentali tra  Cina e UE, né conflitti di interessi inconciliabili21.

Ad oggi il principale beneficiario del conflitto in Ucraina sarebbe la Cina e il secondo beneficiario sarebbero gli USA (che hanno rilanciato la NATO come organizzazione militare sotto il loro pieno controllo), mentre il più grande perdente sarebbe l’UE, sia dal punto di vista economico (con la rinuncia al flusso di gas ed altre materie prime a basso prezzo della Russia) sia da quello politico (la mancanza di un meccanismo di sicurezza equilibrato, efficace e sostenibile in Europa), insieme alla distruzione dell’Ucraina e alla trasformazione della Russia in uno Stato paria, in gran parte tenuto fuori dall’economia continentale. L’Europa stessa sarà divisa lungo una nuova “cortina di ferro”, con le forze militari avversarie armate di missili nucleari e pronte a impegnarsi in ogni momento.

Ma, né l’UE né la Cina sperano di vedere il mondo muoversi verso la divisione in blocchi e la deglobalizzazione22. Entrambe le parti, almeno ufficialmente, si oppongono a una nuova Guerra Fredda o a qualsiasi forma di Guerra Fredda che divida in blocchi l’economia globale, con ciascun blocco impegnato ad isolarsi dall’altro e a diminuire l’influenza dell’altro.

Da questo punto di vista, la Cina esprime preoccupazione per l’impatto sulle imprese cinesi di una serie di politiche economiche e commerciali di tipo protezionista avviate dall’UE negli ultimi anni. I leader cinesi esortano l’UE a mantenere aperti il commercio e gli investimenti e, in particolare, ad astenersi dal creare nuove barriere23. Non pensano che gli scambi bilaterali, il normale commercio dovrebbe essere influenzato da politiche protezioniste o da politiche orientate a promuovere una nuova Guerra Fredda tra il blocco occidentale e la Cina.

Un approccio che promuove una nuova Guerra Fredda attraverso il riarmo e la retorica nazionalista (spesso articolata come difesa dei valori della democrazia e della libertà, come nel caso dell’eccezionalismo americano) incoraggia la Cina a creare un proprio blocco economico e militare per garantire la sua continua crescita economica e sicurezza militare. Rafforza anche gli impulsi nazionalisti nella politica interna cinese che probabilmente hanno portato all’incontro Putin-Xi del 4 febbraio. I leader cinesi temono di non avere altra scelta che rafforzare le relazioni Cina-Russia perché credono che un blocco economico e militare guidato dagli Stati Uniti stia già cercando di minare l’ascesa della Cina, il che sembra lasciare loro solo due opzioni: affrontare la grande potenza dell’alleanza tra Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone e altri Paesi occidentali da soli, o al fianco della Russia, come grande potenza alleata, una eventuale decisione che intensifica le tensioni della Cina con gli Stati Uniti e i suoi alleati europei ed oceanici. Se la spirale crescente di confronto, riarmo, insicurezza, nazionalismo e formazione di blocchi contrapposti continua incontrollata, minaccia di scatenare un conflitto globale che minerà i valori liberali di entrambe le parti molto più sicuramente degli attuali timori sul presunto “asse autoritario“.

Ma, non è troppo tardi per scegliere una strada diversa. La cooperazione tra Cina e Unione Europea (così come tra Cina e USA), unita all’accettazione dell’ascesa pacifica della Cina allo status di grande potenza, farebbe aumentare per la Cina la sensazione di avere più opzioni e di poter correre dei rischi in linea con altre priorità occidentali (come il controllo della proliferazione delle armi nucleari e dei missili balistici ipersonici). E ciò potrebbe senz’altro includere l’applicazione di pressioni per limitare l’aggressione russa all’Ucraina e ad altri Paesi nel mondo. Una maggiore cooperazione Cina-UE andrebbe a vantaggio di entrambe le parti e indicherebbe un’alternativa giusta, sostenibile e pacifica all’escalation su vasta scala della rivalità tra grandi potenze.

Nell’accordo UE-Cina sugli investimenti – Comprehensive Agreement on Investment (CAI) – raggiunto il 30 dicembre 2020 e che secondo gli impegni presi dovrebbe essere ratificato nel 2022, c’è l’impegno politico cinese a garantire un “accesso al mercato sostanzialmente migliorato” per le aziende europee “con l’eliminazione di requisiti e pratiche discriminatorie e la creazione di un quadro di protezione degli investimenti equilibrato”. C’è anche la promessa cinese di garantire “reciprocità” nell’accesso degli appalti pubblici e di risolvere la contesa sulle indicazioni geografiche per i prodotti agroalimentari. Inoltre, viene manifestata l’intenzione di “rafforzare le regole internazionali sui sussidi industriali” nell’ambito della riforma del WTO. Infine, ci sono una serie di clausole sul diritto del lavoro (ma non contro il lavoro forzato, come era stato richiesto dal Parlamento Europeo in riferimento alla minoranza uigura), con la Cina che si è impegnata a ratificare diverse convenzioni OIL.

In sostanza, il CAI, se ratificato, è destinato a rendere ancor più interdipendenti i due blocchi economici e rende l’Unione Europea un attore indipendente nei suoi rapporti con la Cina e soprattutto con gli Stati Uniti. Gli impatti economici della pandemia da CoVid-19 hanno reso le istituzioni europee consapevoli che l’economia cinese è quella destinata a crescere maggiormente in futuro e, di conseguenza, pragmaticamente hanno dato priorità a fare in modo che l’economia europea tragga più benefici possibili dalla crescita cinese (come dopo la crisi del 2008/2009). L’accordo fornisce un unico ordinamento legale agli investimenti tra le due parti, andando a sostituire i 26 accordi bilaterali esistenti, e prevede un migliore accesso al mercato per le imprese europee in molte parti dell’economia cinese. I loro investimenti saranno trattati “non meno favorevolmente” rispetto alle iniziative cinesi negli stessi settori. Ma, restrizioni rimangono in settori chiave come l’automotive (ma apertura sui veicoli elettrici), il trasporto aereo, l’assistenza sanitaria (apertura ad ospedali privati solo in alcune città) e Internet, ma anche nelle industrie dell’energia, delle lavorazioni metallurgiche e del sale. I settori economici considerati sensibili dal governo cinese, come ricerca e sviluppo, ricerche di mercato e molte forme di mappatura e rilevazione, rimangono rigorosamente vietate. Inoltre, mentre le porte in molte aree del settore finanziario cinese – dal settore bancario, ai prestiti non bancari e alla fornitura di dati finanziari – saranno aperte, ci saranno ancora alcune barriere nel settore della gestione patrimoniale e assicurativa e alcuni servizi di gestione dei fondi saranno vietati agli operatori UE. Infine, entrambe le parti potranno esercitare i poteri nell’ambito dei rispettivi meccanismi di controllo degli investimenti esteri nel momento in cui dovessero mettere in discussione la sicurezza nazionale, anche con il nuovo accordo in vigore. Ciò significa che la Cina – che ha promulgato una legge sulla sicurezza nazionale sugli investimenti esteri – potrebbe bloccare qualsiasi piano aziendale della UE e viceversa.

L’Unione Europea ha ottenuto concessioni chiave sul trasferimento forzato di tecnologia e sulla trasparenza sulle sovvenzioni statali per il settore dei servizi cinese (ossia per settori come immobiliare, telecomunicazioni, banche e costruzioni), con Pechino obbligata a pubblicare ogni anno un elenco di sussidi forniti ai settori designati (ma non per i settori industriali). In cambio, la Cina continuerà a ricevere un accesso relativamente libero al mercato UE (a cominciare dal settore delle energie rinnovabili). “In quanto due potenze leader del mondo, due civiltà, Cina ed Europa dovrebbero mostrare impegno, agire in modo proattivo, rafforzare il dialogo, approfondire la fiducia, gestire adeguatamente le differenze, unire le mani per coltivare nuove opportunità e inaugurare una nuova era“, aveva affermato Xi nel corso del video-incontro con le controparti europee del 30 dicembre 2020.

Alessandro Scassellati Stampa PDF

  1. Joe Biden ha provato a dissuadere Xi Jinping dal sostenere la guerra della Russia contro l’Ucraina nel corso dell’incontro virtuale di due ore del 18 marzo. Biden “ha descritto le implicazioni e le conseguenze se la Cina fornisce supporto materiale alla Russia mentre conduce attacchi brutali contro città e civili ucraini“.[]
  2. Soprattutto, Xi Jinping pensa che spetta a “chi ha messo un sonaglio al collo di una terribile tigre toglierlo”, volendo intendere che essendo gli USA responsabili di aver provocato la reazione russa, dopo molteplici tentativi di inutili mediazioni, espandendo sempre più a est le basi e gli armamenti della NATO in Europa, essi stessi debbono farsi carico di risolvere questo grave conflitto nel cuore dell’Europa.[]
  3. Nel rapporto “NATO 2030: uniti per una nuova era”, redatto alla fine del 2020 da un gruppo di 10 esperti (tra i quali l’italiana Marta Dassù) scelti dal Segretario Generale, si sostiene che: “Sarà un mondo di grandi potenze in competizione, in cui Stati autoritari assertivi con programmi di politica estera revisionisti cercheranno di espandere il loro potere e la loro influenza, e in cui gli alleati della NATO dovranno affrontare ancora una volta una sfida sistemica che attraversa i domini della sicurezza e dell’economia.” Pertanto, la NATO dovrà continuare ad adattarsi. “In un mondo di sfidanti sistemici e minacce proliferanti, l’Alleanza, in complementarità con l’adattamento militare globale che ha subito, deve consolidare la sua capacità di agire come il principale forum politico per le sfide strategiche e geopolitiche che la comunità transatlantica deve affrontare. L’adempimento di questo ruolo richiederà una coesione ancora maggiore di quella che la NATO ha posseduto negli ultimi anni. Come sin dalla fondazione della NATO, la coesione risiede nella capacità e nella volontà di agire collettivamente contro le minacce condivise. Questa è la linfa vitale che assicura la vitalità, la credibilità e la durata dell’Alleanza; diventa ancora più importante in un ambiente sempre più competitivo che richiede collaborazione e reti efficaci per far fronte alle crescenti minacce.” Ovviamente, le “sfide sistemiche” sono identificate, oltre che nella Russia “persistentemente aggressiva”, nell’ascesa della Cina che, a differenza della Russia, “ha un’agenda strategica sempre più globale, supportata dal suo peso economico e militare”. Pertanto, “La NATO deve dedicare molto più tempo, risorse politiche e azione alle sfide alla sicurezza poste dalla Cina, sulla base di una valutazione delle sue capacità nazionali, del peso economico e degli obiettivi ideologici dichiarati dai suoi leader. Ha bisogno di sviluppare una strategia politica per avvicinarsi a un mondo in cui la Cina avrà un’importanza crescente fino al 2030. L’Alleanza dovrebbe infondere la sfida cinese in tutte le strutture esistenti e considerare l’istituzione di un organo consultivo per discutere tutti gli aspetti degli interessi di sicurezza degli Alleati nei confronti della Cina. Deve ampliare gli sforzi per valutare le implicazioni dello sviluppo tecnologico cinese e monitorare e difendersi da qualsiasi attività cinese che potrebbe avere un impatto sulla difesa collettiva, la prontezza militare o la resilienza nell’area di responsabilità del Comandante Supremo Alleato in Europa (SACEUR).”[]
  4. In particolare, durante gli anni di governo di Angela Merkel, la Cina è diventata il più grande partner commerciale della Germania. La Volkswagen (ma anche le altre grandi industrie automobilistiche tedesche) è diventata così dipendente dal mercato cinese che difficilmente può farne a meno. La Cina rappresenta oltre il 40% delle vendite globali di auto Volkswagen.[]
  5. Secondo il primo ministro australiano, Scott Morrison, “un nuovo arco di autocrazia si sta istintivamente allineando per sfidare e ripristinare l’ordine mondiale a propria immagine“. Ursula von der Leyen aveva definito il comunicato congiunto uscito dall’incontro Putin-Xi volto a stabilire “lo stato del più forte [sopra] lo stato di diritto, l’intimidazione invece dell’autodeterminazione, la coercizione invece della cooperazione”.[]
  6. La Russia sostiene il principio di “una Cina”, riconoscendo che Taiwan è una parte inalienabile della Cina, per cui si oppone a qualsiasi forma di “indipendenza di Taiwan“. La Cina ritiene che non ci sia un’equivalenza tra Ucraina e Taiwan: il primo è uno Stato sovrano (che ha aderito alla Belt and Road Initiative e che ha Pechino come principale partner commerciale, importando grano, mais, altre materie prime ed equipaggiamenti militari) e il secondo non è un membro a pieno titolo dell’ONU, ma parte di un sistema politico unico cinese, per cui viene visto da Pechino come un problema “interno”, parte del rapporto tra il governo e una provincia insulare rinnegata che fa già parte dello Stato cinese. In ogni caso, la Cina sta studiando attentamente la volontà e la determinazione dell’Occidente di rispondere alla situazione in Ucraina, che potrebbe servire in seguito come riferimento sulla questione Taiwan. Questo mentre gli USA continuano ad armare Taiwan (come hanno fatto con l’Ucraina dal 2014).[]
  7. Durante la visita di Putin a Pechino in occasione dell’inaugurazione dei giochi olimpici invernali, Xi Jinping e Putin hanno firmato un documento in cui si affermava che “Russia e Cina si oppongono ai tentativi di forze esterne di minare la sicurezza e la stabilità nelle loro regioni adiacenti comuni, intendono contrastare l’interferenza di forze esterne negli affari interni dei Paesi sovrani con qualsiasi pretesto, opporsi alle rivoluzioni colorate e concordano di aumentare la cooperazione nelle aree summenzionate”. Nel gennaio 2022, la Cina ha pubblicamente sostenuto l’intervento della Russia in Kazakistan per contrastare una “rivoluzione colorata” nel cortile comune dei due Paesi. Nell’incontro del 30 marzo con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, il suo omologo cinese Wang Yi ha affermato che i due Paesi “hanno resistito alla nuova prova dell’evoluzione del panorama internazionale, sono rimasti sulla strada giusta e hanno mostrato uno slancio di sviluppo resiliente“. Ma, finora il rapporto tra Mosca e Pechino è stato più simbolico che pratico. Solo a livello di retorica, simbolismo e visioni condivise del mondo (come la critica generale del mondo occidentale, soprattutto degli USA), sembra esserci una certa congruenza.[]
  8. Secondo il governo cinese, la BRI è motivata dal diritto universale allo sviluppo e dallo slogan di Xi di costruire una “comunità umana con un futuro condiviso“, in cui i Paesi poveri acquisirebbero una maggiore voce in capitolo nella governance globale e la comunità internazionale garantirebbe la fornitura di beni pubblici globali come il vaccino contro il CoVid-19. Certo, l’impulso alla base della BRI non c’è l’umanitarismo, ma ci sono concreti interessi economici: eccedenze di capitale cinesi che cercano sbocchi produttivi e profitti, aziende cinesi che cercano nuovi mercati e produttori cinesi che cercano forniture sicure di materie prime. La corruzione e le violazioni dei diritti dei lavoratori sono comuni in questi progetti e le conseguenze ambientali sono state talvolta negative. Ma, gli istituti di credito cinesi si stanno adattando, stabilendo standard più elevati. “Rendere più ecologica la BRI” è ora una priorità centrale. Sebbene sia necessario molto lavoro per migliorare la BRI, è importante riconoscere la coincidenza degli interessi cinesi con quelli del mondo in via di sviluppo e come qualcosa che distingue la Cina dalla Russia.[]
  9. Il 28 febbraio, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha chiesto una maggiore cooperazione USA-Cina per aumentare l’accesso globale ai vaccini, coordinare la politica economica e affrontare la crisi climatica. In particolare, ha invitato la partecipazione degli Stati Uniti alla BRI e si è offerto di coordinarsi con l’iniziativa Build Back Better World (B3W) guidata dagli Stati Uniti (ma l’offerta è stata respinta, anche perché l’amministrazione Biden sta posizionando B3W come un’alternativa “di alta qualità” alla BRI, seppure è improbabile che, dati i livelli di finanziamento molto più bassi, si impegni in progetti simili). Di recente, la Francia ha firmato un accordo con la Cina per cooperare su sette progetti di infrastrutture ed energia rinnovabile, la maggior parte situati in Africa, per un valore di oltre 1,7 miliardi di dollari.[]
  10. L’amministrazione Biden (come già quella di Trump) continua a denunciare i progetti cinesi all’estero come parte di una cospirazione tesa a creare una “trappola del debito” che avrebbe l’obiettivo di prendere il controllo su asset strategici. Un’affermazione che è stata più volte smentita dai fatti. Lo US Innovation and Competition Act (USICA), che è passato facilmente al Senato l’anno scorso, descrive la BRI come parte di un attacco di vasta portata contro gli Stati Uniti e “la futura pace, prosperità e libertà della comunità internazionale“. Comprende una disposizione che richiede alla Banca Interamericana di Sviluppo (IDB), una banca multilaterale di sviluppo incentrata sull’America Latina e sui Caraibi, di impedire ai destinatari dei suoi prestiti di contrarre prestiti da istituzioni cinesi.[]
  11. Prudenti sono stati finora anche altri importanti Paesi emergenti, tra cui India, Pakistan, Brasile e Argentina, che non hanno semplicemente seguito la condanna USA della Russia, ma hanno emesso voci razionali e pragmatiche. Queste voci rappresentano le opinioni di una parte significativa della comunità internazionale, come dimostrato dalle astensioni alle votazioni dell’Assemblea Generale dell’ONU sulla questione della guerra Russia-Ucraina o dal rifiuto di isolare sul piano diplomatico e applicare sanzioni contro la Russia – oltre alla Cina, India, Iran, Turchia, Indonesia, Pakistan, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita (che sta trattando con la Cina la vendita del petrolio in cambio di yuan, invece di dollari) e altri Paesi arabi, Sud Africa, Egitto ed altri Paesi africani (solo 28 dei 54 paesi africani, poco più del 51%, rappresentati all’ONU hanno votato a favore della risoluzione americana contro la Russia), parte dell’America Latina come Bolivia, Messico e Brasile -. Opinioni che sono state semplicemente ignorate dalla gran parte dei media occidentali, ma che dimostrano che al momento ci sono tanti Paesi emergenti e poveri, soprattutto in Medio Oriente, che ricordano i crimini commessi dall’Occidente (le intrusioni violente e le guerre in Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Libia, etc.) e che non hanno alcuna intenzione di schierarsi con un blocco od un altro. Il primo ministro delle Barbados, Mia Motley, ha affermato che il suo Paese spera di essere “amico di tutti e satellite di nessuno“, disponibile a dare il benvenuto a qualsiasi investimento estero – cinese, americano, etc. – che serva ai bisogni del suo popolo. Si sta formando un fronte di Paesi non allineati – simile a quello nato con la Conferenza di Bandung in Indonesia nel 1955 che aveva rifiutato di prendere una posizione formale a favore o contro ciascuno dei due contendenti della Guerra Fredda – favorevole alla creazione di un nuovo ordine multipolare internazionale. Le imprese asiatiche sono rimaste in Russia anche se le loro controparti occidentali sono andate via in massa. Inoltre, la Cina, insieme ad India e Emirati Arabi Uniti, ha deciso di astenersi anche nella votazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla mozione americana di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Gli organi di stampa ufficiali in lingua inglese, il China Daily e il Global Times hanno pubblicato diversi articoli per riaffermare la posizione di neutralità della Cina sulla questione della guerra tra Russia e Ucraina.[]
  12. E’ bene ricordare che in una parte rilevante dell’establishment americano (sia di destra sia liberal) si è ormai consolidata l’idea che gli Stati Uniti devono opporsi alla spinta della Cina per l’egemonia regionale. Ritengono che la Cina voglia sostituire gli Stati Uniti come attore più potente in Asia e nel Pacifico, dopodiché perseguirà il dominio in Eurasia e nelle istituzioni internazionali e minerà le democrazie ovunque. Una convinzione che ha le sue radici nel cupo scenario geopolitico elaborato dall’imperialista reazionario Sir Halford Mackinder (professore di geografia dell’Univesità di Oxford) all’inizio del XX secolo che prevede che se un singolo potere dominasse il “cuore” dell’Eurasia (definita come “l’isola del mondo“), ossia l’Europa Centro-Orientale, potrebbe raggiungere l’egemonia globale. Le idee di Mackinder erano condivise da Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere della sicurezza di Carter dal 1977 al 1981, che nel 1994 sosteneva che “l’Eurasia è il supercontinente assiale … È imperativo che in questa regione non emerga uno sfidante in grado di dominarla e quindi di sfidare l’America”. Per questo Brzezinski suggeriva di occupare “la potenzialmente destabilizzante sul piano geopolitico terra di nessuno tra Russia e Unione Europea” perché “l’Eurasia è il terreno sul quale si giocherà il futuro del mondo”. La Segretaria di Stato di Bill Clinton, Madeline Albright, (che definiva “indispensabili” gli USA) condivideva la posizione di Brzezinski (del quale era stata allieva alla Columbia University) e ha pianificato la trasformazione della NATO nella pietra angolare di una vasta espansione geostrategica verso Est.[]
  13. Ovviamente, l’UE dovrebbe accrescere la propria “autonomia strategica” anche verso la Cina, ad esempio prestando attenzione alla propria sovranità digitale e tecnologica e, quindi, investendo nell’innovazione e nella ricerca e sviluppando una strategia industriale competitiva e sovrana in settori quali, ad esempio, la produzione di microchip e semiconduttori, l’estrazione di terre rare, il cloud computing e la tecnologia delle telecomunicazioni, al fine di diminuire la dipendenza dell’UE dalla Cina.[]
  14. Riguardo alla valutazione delle origini della guerra Russia-Ucraina, Xi ha invitato gli europei a considerare che “la crisi ucraina ha origine dai conflitti di sicurezza di lunga data in Europa” e che quindi “la soluzione fondamentale è prendersi cura delle ragionevoli preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti. L’era odierna non richiede la mentalità della Guerra Fredda per costruire il quadro di sicurezza globale e regionale“. Il China Daily ha sottolineato come la crisi ucraina sia avvenuta dopo il ritiro dell’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, “il cui incarico ha visto lo sforzo dell’UE di guadagnare un suo status di potenza indipendente e responsabile, pur bilanciando bene i suoi legami con Stati Uniti, Cina e Russia”. Il ritiro della Merkel si è rivelato “un punto di svolta poiché in seguito [la UE] ha iniziato a cedere le sue iniziative, duramente guadagnate nella diplomazia, sviluppo e sicurezza, agli Stati Uniti” e “così facendo, il blocco si sta rapidamente declassando a un pezzo sacrificabile sulla scacchiera geopolitica di Washington”. Secondo la stampa cinese, le interferenze degli USA hanno spinto i legami tra UE e Cina in stallo e ad aprire un confronto a tutto tondo con la Russia, il suo più grande fornitore di gas naturale e di materie prime industriali, con la più grande guerra e crisi umanitaria in Europa dalla seconda guerra mondiale.[]
  15. Il FMI ha avvisato che le sanzioni finanziarie imposte alla Russia minacciano di diluire gradualmente il predominio del dollaro USA e potrebbero tradursi in un sistema monetario internazionale più frammentato.[]
  16. La stampa nazionalista cinese ritiene che “unendosi alle sconsiderate sanzioni degli Stati Uniti, l’UE potrebbe essersi sparata al piede”, nel senso che la UE dovrà pagare il conto della campagna economica unilaterale guidata dagli Stati Uniti contro la Russia. Il riferimento esplicito è alla possibile gravissima crisi energetica e finanziaria (riguardo al valore dell’euro) che si potrebbe creare se la Russia andasse avanti con la richiesta del pagamento in rubli della fornitura di gas naturale e se l’UE si rifiutasse o anche decidesse di ottemperare a tale richiesta. Trovare forniture alternative di gas e petrolio non è facile per i Paesi dell’UE dal momento che molti dei Paesi produttori del Sud del mondo che fanno parte del cartello formato dall’OPEC più la Russia, sono insofferenti verso quello che considerano il dominio degli USA e dell’UE sulla globalizzazione e sulle rotte di commercio. USA e UE non riescono ad imporre con facilità gli accordi dei quali hanno bisogno e i prezzi salgono rapidamente (+33% del greggio dal 1° dicembre). Anche aprire a Paesi come Iran e Venezuela, da anni sotto pesanti sanzioni ed embarghi, non è facile, per le concessioni da fare e per le reazioni politiche interne agli USA. La Casa Bianca ha dovuto decidere di rilasciare una quantità senza precedenti di riserve strategiche di greggio per cercare di calmierare i prezzi.[]
  17. La Cina è ormai la maggiore economia mondiale misurata a parità di potere d’acquisto, il maggiore esportatore e il secondo importatore del mondo, nonché il principale partner commerciale di 130 Paesi, a cominciare da tutti gli altri principali Paesi dell’Asia orientale, compresi gli alleati degli USA. L’economia cinese è ormai al centro del commercio e della finanza globali. In qualità di fornitore critico di input intermedi nel settore manifatturiero e di anello finale della catena di approvvigionamento asiatica, la Cina è letteralmente diventata la fabbrica del mondo. Come importatore, è ora più importante degli Stati Uniti in settori che vanno dalle materie prime di base ai beni di lusso europei. La Cina ha oltre 3 trilioni di dollari di riserve in valuta estera ed è uno dei principali detentori del debito del governo statunitense. I suoi risparmi e gli investimenti negli assets finanziari sono stati a lungo un importante contributo all’attuale contesto di tassi di interesse molto bassi. D’altra parte, se sul piano economico gli Stati Uniti non riescono più a mantenere il proprio potere imperiale, possono provare a farlo attraverso il protezionismo economico, emanando sanzioni, e soprattutto aumentando l’impegno militare (diretto ed indiretto), investendo massicciamente nell’intelligenza artificiale, biometria, tecnologie e “forze” spaziali che controllano satelliti, droni, automi, veicoli telecomandati, e velivoli ad alta tecnologia. Gli opinionisti conservatori americani di politica internazionale parlano ormai apertamente di deglobalizzazione e della fine del pensiero magico della globalizzazione di Davos dopo che per 40 anni hanno spiegato al mondole magnifiche e sorti progressive” del capitalismo neoliberista globale basato su libero scambio, libera circolazione dei capitali e deregolamentazione del funzionamento dei mercati, che avrebbe arricchito l’Occidente, portando anche un livello di prosperità senza precedenti nel resto del mondo. Il 18 febbraio scorso la rivista Foreign Policy ha pubblicato un articolo sul suo sito web intitolato “Washington deve prepararsi alla guerra sia con la Russia che con la Cina“. Secondo l’articolo: “Gli Stati Uniti rimangono la prima potenza mondiale con interessi globali e non possono permettersi di scegliere tra l’Europa e l’Indo-Pacifico. Invece, Washington e i suoi alleati dovrebbero sviluppare una strategia di difesa in grado di scoraggiare e, se necessario, sconfiggere contemporaneamente Russia e Cina.” Di fatto, Pechino sta misurando la sua reazione alla situazione ucraina attraverso la lente della competizione USA-Cina. Da questo punto di vista, la crisi ucraina offre due opportunità inaspettate: si tratta di una tempestiva distrazione che allontanerà gli USA dalla regione indo-pacifica, costringendoli a tornare ad occuparsi di Europa (ed in particolare ad impantanarsi nell’Europa orientale), almeno prima delle elezioni di midterm di novembre, cruciali per l’amministrazione Biden per evitare di trasformarsi una “anatra zoppa” (senza una maggioranza alla Camera e/o al Senato). Ciò offre un’inaspettata tregua alla Cina come principale rivale strategico degli USA, designato ormai da tre amministrazioni americane – Obama, Trump e Biden – che hanno cercato di orientare l’attenzione strategica di Washington contro la Cina, con Blinken che ha detto che la Cina rappresenta “il più grande test geopolitico americano del 21° secolo“. Non a caso il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, in un incontro a Roma il 14 marzo con il diplomatico cinese Yang Jiechi, ha sollevato preoccupazioni sull’allineamento della Cina con la Russia, avvertendo delle sanzioni economiche secondarie e dell’isolamento globale che Pechino dovrebbe affrontare se aiuta Mosca nella sua invasione dell’Ucraina. Le aziende cinesi che sfideranno le restrizioni statunitensi sulle esportazioni in Russia potrebbero essere tagliate fuori da componenti, tecnologie e software americani di cui hanno bisogno per realizzare i loro prodotti. La Cina è il più grande esportatore mondiale, il più grande partner commerciale dell’UE e il primo fornitore estero di merci degli Stati Uniti, per cui qualsiasi pressione sul commercio cinese potrebbe causare effetti economici negativi per USA e UE.[]
  18. Washington ha osservato con favore questa evoluzione ed era difficile non scorgere nelle piroette della UE la volontà americana di tirare a sé l’alleato europeo sulla linea della guerra fredda con la Cina. Oltre alla UE, anche Canada, Regno Unito e USA hanno sanzionato funzionari cinesi per presunte violazioni dei diritti umani nella regione dello Xinjiang, spingendo Pechino a reagire con controsanzioni[]
  19. L’articolo 3 del Trattato sul funzionamento della UE prevede che l’Unione (e quindi la Commissione) abbia competenza esclusiva sulle politiche commerciali comuni e sui trattati internazionali quando incidono sulle norme comuni. Pertanto, in vista del vertice UE-Cina del 9 aprile 2019, la Commissione Europea e l’Alto rappresentante hanno approvato un documento, che è stato sottoposto al Parlamento e al Consiglio Europeo (21 marzo), che rappresenta la visione europea dei rapporti con Pechino definiti da una “competizione cooperativa”. “La Cina è allo stesso tempo un partner di cooperazione con cui l’UE ha obiettivi strettamente allineati, un partner negoziale, con cui l’UE deve trovare un equilibrio di interessi, un concorrente economico alla ricerca della leadership tecnologica e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi.” La definizione della Cina come un “rivale sistemico” era apparsa come un allineamento alle posizioni trumpiane (la Cina come “rivale strategico”). Secondo la Commissione, nei negoziati in corso con la Cina, gli europei devono restare uniti per “difendere i nostri interessi e i nostri valori” con una strategia diversificata su più livelli che prevede 10 diversi campi d’azione (diritti umani, pace, sicurezza, sviluppo, sostenibilità ambientale, reciprocità degli investimenti e parità di accesso ai mercati, riforma della WTO, rispetto della proprietà intellettuale, questione iraniana, sovvenzioni pubbliche e ruolo dello Stato nell’economia, sicurezza delle infrastrutture digitali critiche, investimenti esteri diretti), nella consapevolezza che esiste un problema di condivisione di regole e della loro applicazione concreta. Questo anche alla luce di alcuni casi negativi che si sono verificati in giro per il mondo: “Gli investimenti cinesi nei Balcani occidentali e in Africa hanno contribuito alla crescita, ma allo stesso tempo di frequente hanno avuto effetti negativi sulla sostenibilità socioeconomica e finanziaria che ha portato a un alto indebitamento e al trasferimento del controllo di infrastrutture e risorse strategiche.” (un riferimento alla teoria della “trappola del debito”).[]
  20. Le amministrazioni Trump e Biden hanno deciso di bloccare il funzionamento del WTO, organismo di cui fanno parte 164 Paesi e al quale è affidato il compito di stabilire le regole del commercio internazionale e di garantirne il rispetto. Il blocco consiste nel fatto che che le regole stabilite dal WTO sono compromesse in assenza di un organismo, il Trade Apppellate Body, che ne garantisca il rispetto. Le amministrazioni USA hanno protratto il loro veto alla sostituzione dei giudici andati in pensione, bloccandone il funzionamento. L’Unione Europea, la Cina e altri 21 Paesi hanno reagito, istituendo un proprio organo d’appello ombra ad hoc per mantenere gli standard e le procedure della WTO. Il sistema di risoluzione delle controversie della WTO non è perfetto, ma piuttosto che fare proposte costruttive su come migliorarlo, cosa che alcuni Paesi hanno provato a fare, le amministrazioni americane si sono disimpegnate, avendo scelto di seguire la strada di imporre unilateralmente dazi protezionisti, avviando guerre commerciali contro la Cina, la UE e altri Paesi. L’amministrazione Trump, all’insegna dell’America first! e del Make America Great Again!, voleva distruggere il vecchio sistema senza avere prodotto un progetto alternativo che non fosse quello della “legge della giungla” in cui prevale il più forte attraverso negoziati bilaterali. Ha anche bloccato per mesi la nomina dell’ex ministro delle Finanze nigeriano, Ngozi Okonjo-Iweala, a direttore generale del WTO, avallata poi invece dalla nuova amministrazione Biden[]
  21. Anche se la “Strategia dell’UE per la cooperazione nell’Indo-Pacifico” del 2021 riconosce che una “dimostrazione di forza” nello Stretto di Taiwan “potrebbe avere un impatto diretto sulla sicurezza e la prosperità dell’Europa” e provocherebbe anche enormi interruzioni delle catene di approvvigionamento globali, in particolare nei settori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dei semiconduttori. L’UE, in quanto autoproclamata sostenitrice globale della democrazia, dei diritti umani e dell’autodeterminazione, si sente in obbligo di proteggere lo status di Taiwan come democrazia matura di oltre 24 milioni di persone. Di conseguenza, l’UE non può più evitare la questione di Taiwan strategicamente, politicamente, economicamente e persino militarmente. Diversi governi europei hanno aumentato le loro richieste di una soluzione pacifica del conflitto. Altri, in particolare la Lituania, hanno anche rafforzato i loro legami con Taiwan, innescando una reazione politica ed economica da parte di Pechino. Ma, non è ancora chiaro cosa i Paesi europei e l’UE sarebbero disposti e in grado di portare sul tavolo in caso di una grave escalation nello Stretto di Taiwan.[]
  22. La Cina, come la Germania (che per decenni ha beneficiato delle importazioni di energia a basso costo dalla Russia e di un modello di crescita economica basato sulle esportazioni di prodotti industriali, soprattutto verso la Cina), ha beneficiato enormemente dalla globalizzazione regolata dal regime di accumulazione neoliberista, ma lo ha fatto ponendo le sue condizioni, a cominciare dal controllo degli investimenti diretti esteri e dei movimenti di capitali. Le autorità cinesi sono perfettamente consapevoli che i benefici di questa globalizzazione si stanno riducendo e, con loro, i tassi di crescita economica. Si stanno quindi rivolgendo sempre di più al loro mercato interno. Nei giorni scorsi, Larry Fink, amministratore delegato del gestore patrimoniale da 10 trilioni di dollari BlackRock, ha affermato nella lettera annuale agli azionisti che il conflitto in Ucraina ha “messo fine alla globalizzazione che abbiamo vissuto negli ultimi tre decenni“. Le aziende e i governi guarderanno attentamente alle loro dipendenze da altri Paesi e cercheranno di realizzare “più operazioni onshore o nearshore“. Sulla crisi della globalizzazione vedi gli articoli di Franco Ferrari, qui e qui, e di Marco D’Eramo qui[]
  23. Dal 2016 in poi, dall’acquisizione del costruttore tedesco di robot Kuka Robotics da parte della cinese Midea nonostante la forte contrarietà del governo Merkel, quasi tutti i governi europei hanno varato barriere fatte di norme difensive (golden power, “politiche industriali” ed altro) per proteggere le aziende considerate di interesse strategico, giustificate in base alla sicurezza nazionale, il cui primo bersaglio sono state le imprese cinesi.[]

Andrea Scassellati

6/4/2022 https://transform-italia.it

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