Lo stato di salute precaria della sanità italiana
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La pandemia da COVID-19 avrà un impatto a lungo termine sui sistemi sanitari di tutta l’Europa.
E’ quando afferma il Rapporto sullo stato della salute nell’UE redatto dall’OCSE e dall’ OEPSS (Osservatorio europeo delle politiche e dei sistemi sanitari).
La sanità italiana ed europea. I dati relativi al 2020 indicano che l’Italia è in una situazione peggiore, rispetto alla media europea, per gli aspetti demografici e socioeconomici. Il tasso di fecondità è 1.3 (media europea: 1.5); il PIL pro capite è 28 002 euro (UE 29 801); il tasso di povertà è 20.1 % (UE: 16.5 %); il tasso di disoccupazione è 9.2 (media UE: 7.1).
Anche in Italia, si registrano nell’aspettativa di vita disuguaglianze legate alla situazione socio economica: gli uomini con istruzione inferiore vivono in media 3.6 anni meno degli uomini con istruzione superiore; per le donne l’analoga differenza è di 1.5 anni. Le disuguaglianze geografiche nell’aspettativa di vita penalizzano fortemente il Sud: prima della pandemia l’aspettativa di vita nelle regioni settentrionali era di quasi tre anni superiore rispetto alle regioni meridionali.
L’epidemia da COVID-19, fino all’agosto 2021, aveva causato in Italia 129 000 morti; il tasso di mortalità dovuto a COVID-19 è stato in Italia più elevato di circa 35% rispetto alla media UE.
Sono nettamente inferiori rispetto alla media europea i valori relativi alla spesa sanitaria ed alla dotazione strutturale e di personale della sanità italiana.
Nel 2019 la spesa sanitaria in Italia ha assorbito l’8.7% del Pil, mentre la media europea è risultata 9.9%. La spesa pro capite (2 525 euro) è stata nello stesso anno del 25% inferiore rispetto alla media UE (3 523 euro). Anche la quota di spesa pubblica (74%) rispetto alla spesa sanitaria totale è stata in Italia inferiore alla media UE (80%).
In particolare, la spesa per l’assistenza residenziale e semiresidenziale in Italia è risultata nettamente inferiore alla media europea, sia come proporzione della spesa sanitaria totale, sia come spesa pro capite. Invece, la spesa destinata alla prevenzione è stata superiore alla media UE (119 euro pro capite in Italia, 102 euro in media UE). Nel decennio 2008-2019 è costantemente aumentata la differenza fra la spesa sanitaria in Italia e in UE. A causa della pandemia COVID-19, il finanziamento del SSN nel 2020 è aumentato di 3,3% e nel 2021 di 1,7%.
In Italia le famiglie sostengono direttamente il 23.2 % della spesa sanitaria, molto più rispetto alla media europea (15.4 %). La quota più elevata della spesa sanitaria direttamente sostenuta dalle famiglie è destinata all’assistenza ambulatoriale (45%), seguita dai farmaci (30%) e dall’assistenza residenziale.
Prima della pandemia, il numero di posti letto ospedalieri in Italia (3.2 per mille abitanti) era nettamente inferiore alla media europea (5.3 per mille). Nel 2019 l’assistenza ambulatoriale in Italia ha assorbito più risorse (32% della spesa sanitaria totale) rispetto all’assistenza ospedaliera (30%).
Il numero di medici in Italia (4.1 per mille abitanti) è leggermente superiore alla media UE (3.9 per mille). Si sta riducendo, tuttavia, il numero di medici che in Italia lavorano negli ospedali pubblici e nella medicina di base.
Il numero di infermieri in Italia (6.2 per mille abitanti) è inferiore del 25% alla media UE.
Secondo uno studio condotto nel marzo 2020, in Italia il 49% degli operatori sanitari ha riportato sintomi da stress post traumatico.
Squilibri territoriali: prima della pandemia l’aspettativa di vita nelle regioni settentrionali era di quasi tre anni superiore rispetto alle regioni meridionali;
- ritardi negli screening e conseguente accentuazione del “ disease burden” dovuto ai tumori;
- elevato tasso di fumatori fra gli adolescenti; la percentuale di bambini e adolescenti in sovrappeso e obesi è superiore rispetto alla media europea; sovrappeso e obesità sono più frequenti nelle famiglie in condizioni socio economiche svantaggiate;
- una quota crescente di spesa sanitaria negli ultimi anni è stata pagata dalle famiglie;
- il tasso di mortalità cumulativo in Italia dovuto al COVID-19 nell’agosto 2021 era di circa il 35% superiore alla media europea;
- la dotazione di posti letto ospedalieri, in particolare nelle terapie intensive, si è rivelata clamorosamente inadeguata;
- le carenze quantitative del personale sanitario sono drammaticamente evidenti: pochi medici in ospedale e pochissimi infermieri.
La conclusione è che la pandemia ha evidenziato a tutti il retroterra ventennale del SSN, sottofinanziato e quindi con una insufficiente dotazione di posti letto, di personale e di strutture per l’emergenza.
Redazionale
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Sanità. Cosa vuole il governo con l’Autonomia Differenziata
1- Assunzione e trattamento del personale: non vi sarà più un unico contratto nazionale, i lavoratori avranno meno capacità di difesa e saranno sottoposti ancor più al ricatto dell’esternalizzazione dei servizi.
2- Scuole di specializzazione e selezione della dirigenza sanitaria: avremo specializzandi di serie A) – inseriti nella rete formativa con standard nazionali elevati ed uniformi – e di serie B) – specializzandi con corso regionale e standard formativi minimi per avere manodopera da impiegare velocemente. La differenziazione formativa, ridurrà qualità e uniformità delle cure.
3- Politica dei farmaci e dei dispositivi di protezione: si deciderà regionalmente sulla scelta dei farmaci equivalenti con conseguenti disuguaglianze di accesso nelle varie regioni. Chi fornirà presidi sanitari e dispositivi per la protezione individuale, la cui mancanza ha causato tantissimi morti tra il personale? Come e dove saranno procurati i vaccini che l’Italia non produce? Si tratta di produzioni strategiche che vanno recuperate e poste necessariamente sotto il controllo diretto dello Stato.
4- Tutela degli alimenti: su gli standard per la qualità e salubrità degli alimenti il controllo e le analisi saranno diversi per ciascuna regione.
5- Tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro: standard e indirizzi per il controllo di salute e sicurezza dei lavoratori saranno diversi in ciascunaregione. Lo stesso sarà per la formazione dei tecnici di vigilanza. Le leggi regionali, fin qui, hanno determinato grandi difformità di scelta, che hanno favorito l’accomodamento con le aziende piuttosto che l’adozione di impianti e tecnologie sicure, ma costose. E’ improbabile che le regioni ricostituiscano dei reali servizi di tutela del lavoro dopo averli ridotti quando non smantellati; scelta obbligata sarà oppure li affideranno ai privati.
6- Prevenzione primaria: significa protezione della salute attraverso la tutela dell’ambiente perseguendo la salubrità di aria, acqua, alimenti, dell’habitat e di tutte le attività che vi si svolgono. E’ stata sempre ostacolata finché, con il passaggio della materia, dalla sanità all’ambiente, è quasi cessata. E’ cessata perché richiedendo grossi investimenti da parte dei privati e cura/vigilanza costante da parte degli organi pubblici di controllo, comporta diminuzione dei margini di profitto e assunzione di personale da parte delle regioni.
Con questa legge, se verrà approvata, il governo cancella il Servizio Sanitario Nazionale, ora ancora improntato sulla carta ai principi di universalità, equità e solidarietà, per cui tutti i cittadini, indipendentemente da origini, residenza e censo devono essere curati allo stesso modo con oneri a carico dello Stato, mediante prelievo fiscale su base proporzionale.
Avremo 21 Servizi sanitari diversi e ogni Regione ne deciderà l’organizzazione in base alle risorse disponibili, da suddividere però con le altre materie, 23, se passassero tutte. E, poiché è prevedibile che le risorse non bastino, le regioni ricorreranno ad assicurazioni, fondi integrativi e sanità privata: la salute come merce e non più come diritto.
In questo quadro nel Sud ci sarà una deriva irreversibile, perché parte da una situazione di svantaggio per il minor gettito fiscale e perché, soprattutto negli ultimi venti anni, a questi territori sono stati scientemente sottratti finanziamenti, si parla di 62 miliardi almeno, attraverso un iniquo calcolo della spesa storica pro-capite, calcolata sull’età media, che al Sud è più bassa, e sui servizi esistenti o zero esistenti anziché su quelli necessari che ha prodotto un progressivo aumento della mobilità sanitaria, che ha comportato per un milione di ricoveri il drenaggio verso il Nord di quasi 5 miliardi: utili a ripianare i bilanci e i debiti delle aziende ospedaliere del Nord. Altri dati che confermano il grande furto al Sud.
Con la pandemia la regionalizzazione progressivamente già in atto da anni si è dimostrata del tutto inadeguata e irresponsabile nel garantire un SSN equo, universale ed uniforme su tutto il territorio nazionale, ha prodotto gravi disuguaglianze in tutte le Regioni ed in particolare tra Nord e Sud, ha facilitato le privatizzazioni e la diffusione della sanità integrativa, ha depotenziato quando non smantellato i servizi per l’assistenza territoriale e la prevenzione.
L’autonomia differenziata cancellerà ogni tentativo di ricostruire un Servizio Sanitario Nazionale unico e unitario secondo i principi stabiliti dalla L.833/78: universalità, equità e uguaglianza per la sostituzione di un assetto sanitario oggi basato sull’approccio individuale e privatizzato della malattia con un sistema basato sulla programmazione, la prevenzione, cura, riabilitazione, reinserimento sociale e coordinamento tra protezione della salute e tutela ambientale.
Loretta Mussi
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