Lo studio della popolazione LGBT+ in Italia e nel mondo. La statistica al servizio della lotta alla discriminazione
Interiorizzare i concetti di orientamento sessuale e identità di genere nell’analisi quantitativa
La statistica, la demografia e la ricerca sociale sono chiamate ad essere sempre più attente ai concetti di orientamento sessuale e identità di genere che circoscrivono la popolazione LGBT+. È facile comprendere come questi concetti possano essere difficili da trasporre nel contesto quantitativo di un’indagine sociodemografica. Misurare i fenomeni, soprattutto quelli discriminatori, sulla popolazione LGBT+ è un problema metodologico affrontato, negli ultimi vent’anni, in molti modi diversi, da vari istituti nazionali di statistica, ministeri ed istituti di ricerca privati. Ciò che accomuna tutti questi studi è l’inclusione delle domande sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere in indagini massive sulla popolazione. Diversi paesi, ad esempio, hanno riconosciuto le coppie dello stesso sesso nel loro censimento nazionale. Tuttavia, questo tipo di riconoscimento del fenomeno è solo parziale perché esclude tutte quelle persone LGBT+ che non sono in una relazione ufficialmente riconosciuta.
Le esperienze internazionali nell’ambito delle indagini statistiche su LGBT+
Ogni esperienza quantitativa internazionale sui temi legati alle persone LGBT+ ha avuto i suoi punti di forza e di debolezza, ed ha contribuito allo sviluppo dello studio quantitativo di questa popolazione. Nella tabella seguente sono riassunte le esperienze di indagine sulla popolazione LGBT+ più significative condotte in diversi paesi extra-europei.
La statistica ufficiale ha risposto positivamente all’emergente richiesta di dati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere della popolazione, e lo ha fatto grazie all’utilizzo dei concetti sociologici, tipici degli studi di genere e dei queer studies, che hanno aiutato a concettualizzare le domande e i fenomeni rilevati.
Quante persone sono non-eterosessuali in Europa? Una domanda che sta perdendo importanza
In Europa, la Commissione Europea, sottolineò già nel 2011, l’importanza di disporre di “più e migliori dati, in particolare a livello istituzionale, per trarre conclusioni definitive sugli esiti distributivi delle riforme della protezione sociale”. Tuttavia, se l’Unione Europea, e molte delle sue istituzioni satelliti, hanno compiuto notevoli sforzi che hanno portato a un aumento del volume e della qualità dei dati LGBT+, d’altra parte, i singoli paesi europei stanno ancora lavorando alacremente ad alcune di queste questioni: le indagini nazionali faticano a indagare in modo esaustivo l’identità di genere e l’orientamento sessuale, e problemi di riservatezza hanno spesso ostacolato il lavoro di istituti di statistica e di altri centri di ricerca quantitativa.
In questo contesto, i singoli paesi europei hanno progressivamente abbandonato l’idea di stimare la percentuale di persone LGBT+ sulla popolazione complessiva, per concentrarsi sull’entità degli atteggiamenti dell’opinione pubblica nei confronti della comunità LGBT+: la magnitudo degli atteggiamenti virtuosi di inclusività, e di quelli negativi d’omofobia, sono diventati più interessanti, sia per i policy maker che per gli istituti nazionali di statistica, di quanto non lo sia il numero assoluto delle persone non eterosessuali e/o non cis-gender.
A livello nazionale, l’Istat ha condotto una serie di indagini, rivolte a individui ed imprese, collaborando con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni (UNAR) con lo scopo di fornire un quadro conoscitivo sulle persone LGBT+ ed una misura dell’entità dei fenomeni di discriminazione nei loro confronti. Emerge una realtà in cui gli strumenti di diversity management per le persone LGBT+ sono ancora poco utilizzati dalle imprese italiane, in cui anche il coinvolgimento in iniziative sui temi LGBT+ rivolti all’esterno dell’impresa è ancora molto ridotto: i dati di Istat e UNAR, pubblicati nel 2020, dicono che solo il 15,4% delle imprese con almeno 50 dipendenti ha formalizzato in uno o più documenti interni (codice etico, la carta dei valori, documenti di policy) l’adesione ai principi di non discriminazione e inclusione dei lavoratori LGBT+, con una percentuale che arriva al 34,1% per le imprese più grandi, con più di 500 dipendenti. Inoltre, solo l’1,9% delle imprese ha previsto una figura professionale di diversity e/o inclusion management, che si occupi anche di inclusione e contrasto alla discriminazione lavorativa per le persone LGBT+. La dimensione d’impresa si conferma un fattore rilevante: si passa dall’1,3% per le imprese tra 50 e 499 dipendenti al 10,6% per quelle con almeno 500 dipendenti.
La strada da compiere per una piena comprensione delle dinamiche sociali che riguardano le persone LGBT+ è ancora lunga, ma quella fatta finora risulta fortemente incoraggiante, e sembra confermare come solo una più completa conoscenza dei fenomeni, possa facilitare le istituzioni a promuovere politiche sociali efficaci, inclusive e di fermo contrasto alla discriminazione per motivi legati all’identità di genere o all’orientamento sessuale degli individui.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore, e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza
Per saperne di più
DE ROSA E., INGLESE F. 2018. Diseguaglianze e discriminazioni nei confronti delle persone LGBT: quale contributo dalla statistica ufficiale?. Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica . 72 (4). 77-88.
TERRIBILI M. D. 2022. Surveying the LGBTQ population(s) through social media. AG About Gender-Rivista internazionale di studi di genere, 2022, 11.21.
UNAR-ISTAT. 2020. Il diversity management per le diversità lgbt+ e le azioni per rendere gli ambienti di lavoro più inclusivi.
UNECE. 2019. Measuring gender identity. Unece working paper. 5.
Marco Terribili
10/2/2023 https://www.neodemos.info/
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