L’odissea dei Rohingya
Nelle ultime settimane i Rohingya sono tornati sulle pagine di alcuni giornali “grazie” al triste destino di varie centinaia di loro. Disperati che hanno tentato di raggiungere la Malesia su inaffidabili imbarcazioni. Non si sa quanti siano annegati e quanti, su barconi che nessuno lascia attraccare, siano alla deriva nell’Oceano Indiano. Si stima che siano fra 500 e 700.[1,2]
L’odissea senza lieto fine del 2014 – 2015
Già nel 2014 e nel 2015 migliaia di Rohingya si avventurarono su sgangherate imbarcazioni tentando di sfuggire alle atrocità del Myanmar e di raggiungere la Malesia, paese musulmano dove speravano di trovare solidarietà. Speranza infondata. Secondo l’UNHCR tentarono la sorte in circa 100.000. Centinaia di loro morirono per mano dei trafficanti, sulle navi o in campi di concentramento in Tailandia e Malesia. Nel maggio del 2015 almeno 7.000 Rohingya rimasero bloccati in mare per settimane, respinti da Bangladesh, India, Malesia e Tailandia. Le loro bare galleggianti vennero rifornite di acqua e viveri ma, per settimane, nessuno ebbe il permesso di sbarcare. Alla fine, il 20 maggio 2015, Indonesia, Malesia e Tailandia, accettarono di spartirsi quei naufraghi per “ragioni umanitarie”. Quei 7.000 raggiunsero altri 99.000 Rohingya già presenti in campi di detenzione nei tre paesi[3].
Oggi la storia si ripete anche se con numeri più contenuti.
CONTINUA SU https://www.saluteinternazionale.info/2020/06/lodissea-dei-rohingya/
Maurizio Murru
3/6/2020
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