LOMBARDIA: UNA RIFORMA FALLITA

medicina dem

In Lombardia il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha assunto il nome di Servizio Sanitario Lombardo (SSL). Non è solo una questione nominalistica poiché la regione la Regione Lombardia ha voluto distinguersi con una propria peculiarità e una propria organizzazione. Ad esempio oltre il 30% degli ospedali convenzionati sono privati. Alla fine del 2017 e nel 2018 sono state adottate alcune delibere della Giunta Regionale che mutano sostanzialmente lʼorganizzazione ed anche il significato della medicina generale o medicina di base. Ci sono delle parole chiave; “presa in carico” (PIC), ”malati cronici”, e soprattutto “gestore”. Ora, quasi alla fine del 2018 la Regione subissata di critiche ha deciso di fare delle modifiche al suo sistema, rendendosi conto, pur senza dirlo, che quanto messo in atto, non funzionava.

MA CHE COSA HA STABILITO?

La Regione Lombardia ha diffuso agli inizi del 2018 un volantino per spiegare che cosa significa “un nuovo modello di presa in carico per i cittadini affetti da patologie croniche”. Lo fa dopo diversi mesi da quando ha deliberato tale modello (DGR 6164 del30/01/2017 e DGR 6551 del 04/05/2017). Non si può dire che ciò sia lʼinformazione capillare di cui parlano le delibere. Ha predisposto un volantino che si presenta come molto accattivante, ma più che altro è ingannevole. I cittadini devono scegliere se aderire o no a tale disposizione. I medici di base o medici di medicina generale (MMG) hanno già dovuto scegliere. In gran parte parte non hanno aderito. Del resto la decisione è stata presa senza averli coinvolti e tanto meno sono stati interessati i cittadini. Il centro del sistema che è stato adottato – ci informa la regione – inizierà velocemente. Ci sarà “un gestore” che potrà prendere in carico fino a 200.000 cittadini affetti da una o più malattie croniche: il gestore è un ente giuridico (una cooperativa, una società); sarà un medico solo nel caso in cui un gruppo di medici di base si sarà aggregato e avrà costituito una cooperativa, altrimenti il medico “della presa in carico” verrà assunto e nominato dal gestore. E quindi il paziente non sceglierà il medico, ma sarà il gestore a farlo: il paziente sarà sottoposto al gestore per la sua malattia cronica, non per le altre eventuali malattie; dovrà sottoscrivere un “patto di cura” per la durata di un anno e gli verrà proposto un PAI (Piano Assistenziale Individuale). Il paziente che rifiuterà il gestore e non aderirà alla proposta della Regione rimarrà in carico al suo medico curante. Si consideri che i pazienti malati cronici più gravi – i non autosufficienti – sono tagliati fuori dal sistema: se ricoverati in ospedale vengono dimessi al più presto senza la dovuta “continuità terapeutica” e socio sanitaria. Al di là delle leggi, la presa in carico è dei famigliari che dovranno arrangiarsi a trovare i servizi domiciliari (sempre per tempi limitati), oppure dovranno pagare una badante se avranno i denari sufficienti. Se poi la persona cronica non autosufficiente avrà la necessità di un ricovero residenziale definitivo dovrà cercare a fatica una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) a pagamento i cui costi medi sono di circa di 2500 euro al mese (… e non sarà semplice, come stabilisce un apposito decreto, ottenere lʼintegrazione da parte del comune…). Nel volantino si dice che “il medico scelto dal paziente” si occuperà delle prenotazioni di visite ed esami. Ciò non significa che le liste di attesa verranno superate e che non si creino discriminazioni.

Medicina Democratica ed altri 4 Sindacati medici hanno promosso un ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) per incostituzionalità delle delibere in quanto si tratta di atti amministrativi e non di leggi e in più e soprattutto contrastano con la legge di Riforma Sanitaria (n. 833 del 1978), con la legge Balduzzi (n. 189/2012, con lʼAccordo Collettivo Nazionale (ACN del 2009) dei medici di medicina generale, nonché direttamente con gli articoli 32, 41 e 117 comma 2 lettera m della Costituzione). Successivamente è seguito un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato, appellando la mancata sospensiva del TAR. Il Consiglio di Stato ha accolto in parte lʼappello stabilendo che il TAR deve fissare velocemente lʼudienza di merito per il giudizio definitivo. Sembra evidente che la Regione non possa proseguire nel suo intento senza attendere la sentenza del TAR: lʼudienza è stata stabilita per il 28 di questo mese.

CUI PRODEST?- CHE SIGNIFICATO HA TUTTO CIOʼ

Siamo in una regione che ha dato ampio spazio agli ospedali privati, agli istituti privati di riabilitazione, nonché agli istituti privatistici per malati cronici non autosufficienti. Ora con il gestore si privatizza anche la medicina generale. Ci mancava! E a che scopo? A tuttʼoggi (novembre 2018) hanno scelto di aderire al gestore meno del 50% dei medici di medicina generale convenzionati e meno del 10% dei pazienti. Qualsiasi persona, dotata di intelligenza media, direbbe che, almeno per ora, il sistema messo in atto è fallito. Anche la regione, come inizialmente si diceva, ne ha preso atto e ha cercato di correre ai ripari. Occorre sapere che gli Ospedali pubblici erano stati costretti a diventare gestori, ed avevano dovuto organizzarsi con apposite strutture per adempiere a quanto previsto. Ma anche questo “invito/decisione non ha funzionato. Pur obbligati gli ospedali non hanno potuto che “arruolare” pochi pazienti, di fatto chiedendo alla regione di cambiare linea. La Regione dopo un accordo con i alcuni sindacati medici (FIMMG e SNAMI) ha pensato bene di rientrare nellʼalveo della medicina di base, dando ai medici che avevano aderito ad un gestore il titolo di “clinical manager”, a partire dalla compilazione del PAI (piano assistenziale individuale) a fronte di un obolo di 10 euro lordi per ciascun piano. Ma non è solo questo che potrà promuovere un convincimento generalizzato per i medici e di converso per i pazienti ad aderire, nel giro di tutta la legislatura – siamo solo al secondo anno – al sistema del gestore. La Regione punta, ci sembra di capire, alle cooperative di MMG: alcune di queste si sono formate aggregando diverse centinaia di medici, che avrebbero si dei contributi consistenti, anche se non sono stati chiariti nella loro precisa entità, per i servizi e le strutture che metterebbero (in parte hanno già messo) in piedi per fare fronte alle richieste.

CʼERA UNA VOLTA IL MEDICO DI FAMIGLIA

Ed è qui che la nostra critica si fa più serrata di fronte ad una sorta di industria della medicina generale che nel tempo potrebbe coinvolgere, quasi costringendoli nei fatti, la gran parte dei medici, facendoli rinunciare al principio di fondo – di ippocratica memoria – su cui era fondata la loro opera: dal rapporto di fiducia e di conoscenza del paziente nella sua condizione complessiva ad una sorta di burocratica e spersonalizzata relazione. Ciò potrebbe avvenire anche per la mancanza di medici di cui già oggi si comincia a soffrire e che continueranno ed essere sempre meno gravando i pochi che restano (sempre più anziani) di un numero di pazienti impossibile da supportare. In questa prossima fase non resterà che il cd “secondo pilastro” ovvero il passaggio ad una assicurazione privata in cui sempre di più contano le prestazioni tanto più se sofisticate, al posto della relazione medico-paziente. Questa è la risposta alla domanda che è stata posta inizialmente: la sanità come affare e la salute come merce passa anche attraverso le nuove misure messe in atto dal servizio sanitario lombardo.

CʼEʼ UNʼALTERNATIVA?

Pur nella condizione di enorme difficoltà in cui la sanità pubblica si trova costretta (con i tagli economici, con le riduzione di personale, con le aggregazioni di ospedali, con lo svilimento dei servizi territoriali) pensiamo che si possa perseguire unʼaltra strada. Essa parte per primo dal respingere la medicina non più generale, ma la medicina del gestore. Essa passa, come abbiamo iniziato, da un grande sforzo di informazione nei confronti della popolazione, spiegando le delibere della regione in decine di assemblee nei comuni e in diverse strutture sanitarie, diffondendo migliaia di volantini, raccontando come sia possibile unʼaltra medicina generale, territoriale e di base, con la nascita di Case della Salute. Ovvero limiate aggregazioni di MMG non distanti da alcuni servizi territoriali fondamentali come il Centro di Salute Mentale, il Consultorio, il Servizio contro le tossicodipendenze e soprattutto un Comitato di partecipazione rappresentativo di quelle associazioni che hanno scelto di battersi per il diritto alla salute garantito, come fondamentale, dalla Costituzione e fondato sulla legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, vecchia di quarantʼanni (1978), ma tuttora valida e indispensabile.

Fulvio Aurora

Medicina Democratica – Milano

Novembre 2018 www.medicinademocratica.org

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