L’Ordine degli psicologi ha detto sì ai trattamenti psicologici imposti per i minori
Nella serata di lunedì, è andata in scena un’importante votazione da parte dell’Ordine nazionale degli psicologi italiani sulle modifiche al proprio codice deontologico. Il risultato del referendum – che ha scatenato un aspro dibattito interno – è foriero di cambiamenti molto rilevanti, investendo direttamente la disciplina del rapporto psicologo-paziente e inaugurando il trattamento psicologico imposto per minori.
Nello specifico, con 9.034 favorevoli e 7.617 contrari, gli iscritti hanno deciso di modificare diversi articoli del codice, tra cui l’Art. 31, riguardante il consenso informato sanitario nei confronti di persone minorenni o incapaci. Nel nuovo testo approvato si legge infatti che “Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato, ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’autorità giudiziaria“. In sostanza, sulla base del nuovo dettato, lo psicologo potrà segnalare il trattamento sanitario (psicologico e non medico) all’autorità giudiziaria, che potrà dare il via libera anche senza il consenso informato del paziente, ma anche dei suoi genitori o delle figure responsabili. Eppure, la Carta Costituzionale all’art.32 afferma testualmente che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”. A dare l’ok, ove si tratti di minorenni o incapaci, è ovviamente chiamato chi esercita la potestà genitoriale o la tutela.
A difendere il contenuto delle nuove norme è stato il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop), secondo cui il nuovo art.31 “pone al centro del processo decisionale, in merito a una proposta di trattamento sanitario, la persona minorenne e la sua volontà in base al suo grado di maturità”. Infatti, “per la prima volta nel Codice deontologico degli psicologi viene introdotta questa novità grazie alla quale la persona minorenne (o incapace) dovrà essere ascoltata prima di coinvolgerla in un trattamento sanitario”, mentre nella sua versione precedente l’articolo era “connotato da una visione arcaica in cui è riportato ancora il termine ‘potestà genitoriale”, secondo cui i genitori potevano “imporre un trattamento sanitario al proprio figlio” senza che questi venisse “preventivamente ascoltato dallo psicologo”.
Numerose associazioni e molti professionisti hanno invece accolto con allarme le novità. Secondo gli psicologi di Progetto Medusa e il Comitato Madri Unite, “si tratterebbe di un vero e proprio Tso” – unico caso in cui, secondo il nostro ordinamento, il consenso informato può decadere, poiché concerne casi eccezionali e di reale pericolo -, facendo emergere il rischio che “i Consulenti tecnici d’ufficio (Ctu)” detengano “il potere di imporre qualsiasi trattamento psicologico ai bambini senza il consenso dei genitori”. «Se un bambino ha problemi comportamentali, e come psicologa dico che deve seguire un percorso e magari i genitori o uno dei due non danno il consenso, oggi finisce così: sono io che non sono riuscita ad agganciare la fiducia di quella famiglia, ma non mi devo imporre. Con la modifica dei due articoli cosa succede? – si chiede Bruna Rucci, psicologa, psicoterapeuta e responsabile di Progetto Medusa – Devo denunciare? Devo segnalare? E a maggior ragione se succede qualcosa come una rissa, un pugno nel cortile di scuola e ci fossero disfunzionalità in quella famiglia, cosa può succedere?». Il pericolo che consequenzialmente si corre, secondo l’esperta, è che «le persone avranno paura di venire dallo psicologo e questo peraltro è contrario in toto al principio fondante della psicoterapia, che è efficace se vi si aderisce spontaneamente e di propria iniziativa».
Altri interrogativi sorgono poi sull’universo scolastico. «Cosa succederà con lo sportello psicologico? Uno psicologo potrà far ricorso direttamente a un giudice se c’è un rifiuto di cure, non rivolgendosi ai genitori e ai servizi sociali? Mi pare una scorciatoia preoccupante», afferma l’avvocata familiarista e consulente legale Simona D’Aquilio. «Un pacchetto predisposto per entrare in maniera invasiva nella vita delle famiglie, una tendenza al controllo che non coincide con la prevenzione alla violenza». In molti, tra i contrari alla decisione, hanno già annunciato l’intenzione di presentare ricorso al Tar.
Stefano Baudino
27/9/2023 https://www.lindipendente.online/
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