L’orgoglio palestinese ha demolito la ‘politica di umiliazione’ di Israele

di Ramzi Baroud 

Abbiamo più volte denunciato le pratiche abominevoli messe in atto contro i palestinesi dal colonialismo sionista, sulla scia del colonialismo storico europeo ed oltre con lo scopo di spezzarne il morale, senza riuscirci – il “pacifista” Rabin prescrisse ai soldati di spezzare le gambe e le braccia dei palestinesi durante la prima Intifada – dopo di essa ce ne sono state altre tre, e… il 7 ottobre. In questo testo che riprendiamo da The Palestinian Chronicle, Ramzi Baroud spiega efficacemente che “la politica di umiliazione israeliana si sta rivelando inefficace, perché il rapporto tra palestinesi e israeliani sta cambiando in modo radicale. Una persona viene mortificata soltanto se interiorizza l’umiliazione con un senso di vergogna e impotenza. Ma i palestinesi non provano più questo tipo di sentimenti. Al contrario, il loro “Sumud” (la fermezza) e la loro costante unità, hanno generato un orgoglio collettivo senza eguali nella storia.

Su questa fermezza e sulla speciale forza di resistenza della popolazione di Gaza, abbiamo pubblicato qualche tempo fa un magnifico poema di M. Darwish, che vi consigliamo di leggere o rileggere. (Red.)

https://pungolorosso.com/2023/10/31/la-cosa-bella-di-gaza-mahmud-darwish/embed/#?secret=vnNnkedbaq#?secret=A3tH8od5RF

L’esercito israeliano percepisce l’umiliazione dei palestinesi come espressione di dominio, potere e supremazia.

Le milizie sioniste, utilizzando armi occidentali avanzate, hanno conquistato la Palestina storica nel 1947-1948, manifestando la vittoria tramite un’intenzionale umiliazione del popolo palestinese.

Sapendo quanto, nella cultura araba, la mancanza di rispetto verso le donne arrechi disonore all’intera comunità, gran parte dell’umiliazione aveva colpito in particolare le donne. Questa strategia è rimasta in uso fino a oggi.

Il mese scorso, quando decine di donne palestinesi sono state rilasciate, durante lo scambio di prigionieri tra la Resistenza Palestinese e Israele, non sono rimasti dubbi. 

A differenza della comunità palestinese di 75 anni fa, la generazione di oggi non interiorizza più la mortificazione mirata di donne e uomini, da parte di Israele, come un atto di disonore collettivo. Molte prigioniere, appena liberate, hanno parlato apertamente, e spesso in diretta televisiva, di ogni umiliazione subita durante la detenzione nelle carceri israeliane.

L’esercito israeliano, tuttavia, continua ad agire con la stessa antica mentalità, mantenendo prioritaria l’umiliazione dei palestinesi come espressione di dominio, potere e supremazia.

Nel corso degli anni, Israele ha perfezionato la politica dell’oltraggio, un concetto basato sul potere psicologico rivolto a tutta la collettività, allo scopo di enfatizzare una relazione asimmetrica tra due gruppi di persone: in questo caso, l’occupante e l’occupato.

Questo è il motivo per cui, subito dopo l’operazione del 7 ottobre, Israele ha arrestato tutti i lavoratori palestinesi della Striscia in Israele, quelli utilizzati come manodopera a basso costo con permessi giornalieri. La disumanizzazione che hanno subito, per mano dei soldati, dimostra una crescente tendenza israeliana a offendere la dignità dei palestinesi senza alcuna ragione.

Uno degli episodi peggiori, documentato, è avvenuto il 12 ottobre, quando soldati e coloni israeliani hanno aggredito tre attivisti palestinesi in Cisgiordania. I giornali israeliani Haaretz e Times of Israel hanno descritto nel dettaglio come i tre siano stati attaccati, spogliati nudi, legati, torturati, e fotografati durante le violenze, anche mentre gli urinavano addosso.

Le immagini erano ancora vivide nella mente dei palestinesi, quando sono arrivate nuove prove dal Nord di Gaza. Foto e video, pubblicati dai media israeliani, hanno mostrato uomini spogliati quasi completamente, ed esibiti per le strade di Gaza, mentre erano circondati da soldati israeliani ben equipaggiati e con atteggiamenti minacciosi. Gli uomini sono stati ammanettati, legati insieme, costretti a chinarsi e, infine, ammucchiati sopra veicoli militari per essere deportati in una località sconosciuta. Alcuni sopravvissuti hanno raccontato episodi degni da film dell’orrore, spesso dai finali sanguinosi.

Perché Israele fa questo?

Nel corso della sua storia, dalla nascita all’equivalente esistenza violenta, Israele ha deliberatamente mortificato i palestinesi per compiacersi del suo sproporzionato potere militare contro una popolazione svantaggiata, confinata e resa profuga nella maggior parte dei casi.

Questa tattica è stata utilizzata maggiormente in determinati periodi storici, quando i palestinesi si sentivano forti, per provare spezzare il loro spirito comunitario.

La Prima Intifada, dal 1987 al 1993, ha rappresentato l’apice del progetto di avvilimento collettivo. Ragazzi e uomini, di età compresa tra i 15 e i 55 anni, venivano trascinati nei cortili delle scuole, denudati, costretti a inginocchiarsi per interminabili ore, picchiati e insultati dagli altoparlanti dei soldati israeliani. Gli insulti erano diretti a tutto ciò che i palestinesi hanno di più caro: la religione, Dio, le loro madri, i loro luoghi santi e altro.

Ragazzi e uomini erano stati obbligati a compiere atti auto-degradanti, come sputarsi in faccia a vicenda, insultarsi o schiaffeggiarsi. Chi rifiutava veniva immediatamente picchiato e arrestato.

Questi metodi continuano a essere applicati nelle carceri israeliane, durante gli scioperi della fame, e durante gli interrogatori. In quest’ultimo caso, agli uomini viene minacciato lo stupro delle loro mogli o sorelle, e alle donne di subire violenza sessuale.

Questi episodi rappresentano una sfida collettiva palestinese, che alimenta la Resistenza.

L’immagine del combattente palestinese, vestito con una divisa militare mentre impugna un fucile automatico, e cammina con orgoglio per le strade di Nablus, Jenin o Gaza, non ha uno scopo militare. Si tratta di una risposta diretta all’impatto psicologico delle umiliazioni inflitte alla società palestinese dall’esercito di occupazione.

Qual è la funzione di una parata militare palestinese? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo esaminare la sequenza degli eventi.

Quando gli israeliani arrestano attivisti palestinesi, vogliono creare l’immagine perfetta di una comunità umiliata e sconfitta: il terrore che prova la gente quando iniziano le incursioni notturne, i pestaggi dei familiari, dei detenuti, le ingiurie, insieme ad altre scene strumentalizzate dentro una coreografia orribile.

Poche ore dopo, i ragazzi palestinesi escono nelle strade dei loro quartieri, sfilando orgogliosamente con le armi, tra le urla delle donne e gli sguardi eccitati dei bambini. Questo è il modo in cui i palestinesi rispondono all’umiliazione.

La Resistenza Armata Palestinese è diventata molto più forte negli ultimi anni, e Gaza ne rappresenta attualmente un esempio perfetto. L’esercito israeliano non riesce a rioccupare Gaza e sottomettere la popolazione, quindi l’utilizzo della politica di umiliazione su vasta scala è semplicemente impossibile. Al contrario, sono gli israeliani a sentirsi umiliati, e non solo per quanto accaduto il 7 ottobre, ma per tutto quel che è successo da allora.

L’esercito israeliano, incapace di operare liberamente nel cuore di Gaza, Khan Yunis, Rafah o qualsiasi altro centro abitato della Striscia, è costretto a mortificare i palestinesi in altri contesti, come Beit Lahia ad esempio.

Frustrati dal fallimento militare della promessa di sottomissione degli abitanti di Gaza, molti civili israeliani si sono aggrappati ai social media per schernire i palestinesi.

Le donne israeliane, spesso insieme ai propri bambini, si sono abbigliate in modo da trasmettere una rappresentazione razzista delle donne arabe, mentre piangono sui corpi dei loro figli morti. Questa derisione da social media sembra giungere dall’immaginazione di alcuni tratti della società israeliana, che ancora insiste sul senso di superiorità, nonostante stiano tutti pagando il prezzo della loro violenza e arroganza politica.

Questa volta, però, la politica di umiliazione israeliana si sta rivelando inefficace, perché il rapporto tra loro e i palestinesi e israeliani sta cambiando in modo radicale.

Una persona viene mortificata soltanto se interiorizza l’umiliazione con un senso di vergogna e impotenza. Ma i palestinesi non provano più questo tipo di sentimenti. Al contrario, il loro “Sumud” (la fermezza) e la loro costante unità, hanno generato un orgoglio collettivo senza eguali nella storia.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

– Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

Postato il 23/12/2023 su https://pungolorosso.wordpress.com

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