L’orrore svelato? Sì, del giornalismo. Capitano Romoli e la “foibologia”
Capitano di complemento dell’Esercito, nonché giornalista Rai, Andrea Romoli ha nel suo curriculum un servizio dall’Ucraina (febbraio 2022) nel quale inviava immagini di un presunto bombardamento di Kiev operato dai russi, immagini che però erano tratte da un videogioco. È stato anche richiamato all’ordine dal suo direttore Sangiuliano, oggi Ministro della Cultura, per avere commentato con parole vergognose ed irripetibili sulla sua pagina Facebook la vicenda del sacerdote comasco Don Malgesini ucciso da un immigrato tunisino squilibrato.
Romoli ha inoltre curato la pubblicazione di un libro contenente le memorie di un agente dei servizi italiani, Sergio Cionci, che rimase a Pola dopo l’annessione della città alla Jugoslavia e vi operò, quale “spia” del Sifar, fino al 1952 con buona pace di coloro, Romoli in primis, che sostengono che tutti gli italiani furono cacciati da Pola con la violenza all’incirca nel 1946.
Romoli è da anni l’inviato di Rai2 nelle foibe. Letteralmente ci si cala dentro con caschetto, ma senza guanti, a vedere le immagini. Nel 2020 realizzò un servizio a proposito della “foiba di Gargaro” (Grgar, a una decina di chilometri da Gorizia) dove, con voce rotta (si presume per la discesa acrobatica con l’imbragatura, dato che la circostanza non lo richiedeva) ha parlato di 80 goriziani ivi infoibati, di cui riconosciuti 4, indicando una granata ben posta sulla parete rocciosa come residuo delle bombe gettate dai perfidi “partigiani titini” per distruggere le prove dei loro crimini, oltre ad un cerchio di filo spinato del diametro di circa 40 centimetri che sarebbe servito a legare i polsi degli “infoibati”.
La cavità, così come filmata, risulta del tutto vuota a parte la granata e il filo spinato, quindi si presume che se avesse contenuto cadaveri nel 1945 essi sono stati riesumati. La domanda sorge spontanea: portati dove? Non si sa, dato che non risultano recuperi da tale foiba. Nonostante ciò per diffonder il suo dossier scrisse su Facebook: “Quasi un milione di telespettatori hanno seguito il mio Dossier dedicato alla guerra segreta che Esuli istriani ed uomini della resistenza democratica hanno combattuto al confine orientale per fermare i piani di Invasione di Stalin e della Jugoslavia di Tito. Una piccola soddisfazione personale ma anche un grande doveroso omaggio a Paola Del Din e Sergio Cionci, gli ultimi due protagonisti di quella epocale battaglia per la democrazia e la libertà. Qui vi propongo la versione integrale del documentario e vi chiedo di diffonderla e condividerla perchè una storia cancellata dalla storia possa essere conosciuta da più italiani sia possibile. Pai nestris fogolârs! Grazie.” In realtà Romoli sa benissimo che la vera “storia cancellata dalla storia” è quella dei campi di concentramento fascisti nelle terre slave, l’italianizzazione fascista delle terre slave durante il ventennio e il fatto che gli uccisi nelle foibe del 1943 furono o persone compromesse col regime fascista e collaborazionisti dei nazisti, oppure vittime di vendette personali che non possono essere imputate al movimento partigiano o all’esercito di liberazione jugoslavo. Questa è la vera amnesia di Stato.
Ritornando al dossier di Romoli, Gorizia ritorna sempre nei suoi servizi forse perché sua città natale e figlio di Ettore Romoli, precedentemente esponente di spicco del MSI, poi parlamentare di Forza Italia e in seguito più volte sindaco di Gorizia che in tale veste nel 2010 portò il saluto istituzionale ad uno dei convegni di mistificazione della storia organizzato dalla Silentes loquimur di Marco Pirina.
Il collegamento con Gorizia viene fatto anche nel più recente servizio, trasmesso lunedì scorso, nonostante le cavità esplorate si trovino ben distanti da Gorizia, nell’Istria slovena a sud-est del confine di Villa Decani. Tale collegamento è espresso anche dallo speleologo goriziano Maurizio Tavagnutti, che ha spiegato di avere partecipato a questa spedizione perché in anni passati, esplorando grotte nella zona di Gorizia, aveva trovato dei resti umani e quindi gli era rimasta la curiosità di sapere perché quei resti erano in quei luoghi. Come motivazione per andare ad esplorare grotte nel comune di Capodistria ci sembra quantomeno curiosa, ma chi siamo noi per giudicare. L’altro speleologo che ha accompagnato Romoli è il capodistriano Franc Malečkar, che ha già al suo attivo diverse esplorazioni fatte in Slovenia con la Commissione che si è occupata negli ultimi trent’anni di recuperare i resti umani dalle grotte e dalle “foibe”.
Abbiamo già avuto modo di parlare della “aggressione” – in realtà un vandalismo – subito dalle tre auto della “troupe della Rai” che accompagnava Romoli, mentre la quarta auto, quella con targa slovena di Franc Malečkar era rimasta “indenne”. In effetti, a vedere il servizio in cui Romoli, i due speleologi che lo accompagnavano e una quarta persona venivano filmati dall’alto, presumibilmente da un drone e non da una persona volante, ci si domanda il motivo di andare con quattro macchine per così poca gente. Rimane sempre la domanda su come il guidatore sia riuscito a rientrare in Italia con il parabrezza fracassato e gli specchietti divelti, senza incorrere al confine nei controlli istituiti dalle recenti leggi “emergenziali” e presentando denuncia in Italia anziché in Slovenia. E non possiamo che stigmatizzare l’uscita di pessimo gusto del soldato-giornalista nell’intervista a Radio Capodistria, cioè che dopo avere scoperto l’atto vandalico “è stato un po’ come se ci avessero ributtato dentro”, inteso cioè nella foiba. Considerando che nella “foiba” ci erano entrati con le loro gambe e con le stesse ne erano usciti, dichiarare una cosa del genere significa non avere alcun rispetto per chi nelle foibe ci è finito dentro veramente.
Si diceva che nel servizio si vedono le esplorazioni di due cavità, ambedue nei pressi di Podpeč (la prima viene indicata in Bremce, la seconda in Vilevica, di ambedue postiamo le schede tratte dal catasto speleologico sloveno). Nella prima, Malečkar ha asserito che quando lui era giovane (più tardi si è riferito agli anni ’80) i suoi colleghi speleologi avrebbero trovato diversi teschi umani: avvisata la polizia, i teschi umani sarebbero stati prelevati (non le altre ossa) e sostituiti da teschi animali (che avrebbero coperto le ossa umane), operazione che lo speleologo attribuisce alla polizia che voleva celare le prove del massacro. Le ossa umane si troverebbero ancora sotto il pietrisco che costituisce il fondo della grotta: quanto tutto questo sia credibile, non sta a noi giudicare.
Mentre assistiamo a questa narrazione non sembra tanto di vedere un documentario, quanto una brutta sceneggiatura teatrale, oltretutto interpretata male dall’attore Romoli nelle sue ansanti parole traboccanti di enfasi: “qua sotto (pausa) hanno trovato la morte (pausa) decine forse centinaia di persone (pausa) cammini (pausa) su un tappeto di pietre (pausa) sai che qua sotto ancora ci sono (pausa) i resti di esseri umani (pausa) questa grotta senti (pausa) l’odore (pausa) della morte (pausa) e del terrore”.
La terza foto è il fermo immagine dei teschi animali che secondo i nostri esploratori ricoprirebbero i resti umani sui quali hanno camminato. Sembra un po’ difficile che centinaia di persone possano essere state gettate in una grotta che ha un’imboccatura come quella che si vede nel servizio.
Così come ci sembra ardita la spiegazione di Malečkar sul fatto che si sia trovato un pezzo di stivale (un tacco che Romoli sostiene che sia appartenuto ad “una persona buttata sotto”): la gente è caduta – dice lo speleologo – è rotolata, e perciò i corpi sono stati coperti dalle pietre che sono franate loro addosso mentre ai lati sono rimaste le cinture e le scarpe. Come se le pietre avessero operato una svestizione dei cadaveri e una misteriosa forza centripeta provocata dalla caduta avesse gettato ai lati gli abiti. Vien da chiedere dove abbia studiato fisica ‘sta gente.
Poi c’è la scena delle croci: ad un certo punto, fuori dalla grotta, Malečkar dice di aspettarlo, si allontana e ritorna con una grossa croce di legno in spalla: croce che, a suo dire, sarebbe stata posta a segnalare l’ingresso della grotta appena esplorata e che veniva gettata via per cattiveria umana, quindi i tre esploratori pietosi decidono di porre di nuovo la croce al suo posto: nel fermo immagine leggiamo la targhetta della croce che si riferisce alla grotta di Vilenica (a noi sembrava si fosse a Bremce…), ma non si riesce a leggere il motivo per cui quella croce sarebbe stata posta in quel luogo. Un’altra croce appare subito dopo, ma questa, dice Malečkar, sarebbe quella di Vilenica (le due grotte sono un po’ distanti, in quanto la prima si trova a nord di Brezovica, la seconda ad est di Podpec), e non sappiamo se l’abbiano messa a posto. Dunque, che ci faceva la croce con la targhetta Vilenica alla grotta di Bremce? Quantomeno questo è quanto appare nel filmato.
Aggiungiamo che nell’intervista al Piccolo (edizione di Gorizia 19/1/24) Tavagnutti aveva parlato di un “crocifisso” presso la foiba vicino alla quale era avvenuto l’atto vandalico – quindi Vilenica – e che a Radio Capodistria (intervista del 19/1/24) Romoli aveva detto che “Sopra la foiba erano state collocate due grandi croci che segnavano il luogo e commemoravano i morti, poste dal governo sloveno ovviamente, ma entrambe le croci erano state abbattute. Noi ne abbiamo tirata su una, l’altra era in un dirupo e non siamo riusciti a recuperarla. Tirare giù una croce è un atto pesante: è la croce di un cimitero, perché la gente è ancora là sotto”. Come se le croci si trovassero ambedue presso la grotta di Vilenica.
Ma proseguiamo con la parte del servizio che parla dell’esplorazione della grotta Vilenica.
In questa grotta, profonda 3 metri e che si espande per 9, secondo Malečkar – nel corso di ricognizioni della Commissione incaricata dei recuperi dei resti umani nelle cavità della Slovenia – sarebbero stati trovati taccuini ed occhiali, ma questi oggetti sarebbero stati portati a Lubiana e lì fatti sparire. Non si sa se oltre agli oggetti sarebbero stati recuperati anche resti umani dato che arrivati nella grotta Malečkar dice “tutto questo terriccio sono i resti delle persone”, e poi indica due “falangi”, la seconda delle quali, provvidenzialmente rimasta bene in evidenza proprio sopra un piccolo cumulo di pietre, viene immediatamente identificata come “falange umana” dall’improvvisato patologo Romoli che aggiunge -sempre con la voce rotta di circostanza – “qui sotto hanno trovato la morte (pausa) decine (pausa) decine di esseri umani”.
Poi viene trovato un bossolo di pistola, e da buon militare esperto di armi Romoli immediatamente decreta: “probabilmente l’hanno usato per uccidere le persone”. Ed ancora, Tavagnutti trova una “collanina, un vecchio ricordo di qualcuno che è morto qui dentro”, ma subito il perito Romoli lo corregge: “no, no è un rosario guarda c’è la croce (pausa) questo l’ha tenuto in mano quando è morto (pausa) la persona lo ha tenuto in mano negli ultimi istanti di vita (pausa) terribile”. Sembra un film più che un servizio documentaristico.
Più avanti, sempre in questa grotta Romoli trova “pieno di ossa là sotto”, e Malečkar gli dice di venire avanti “non l’ho spostato fin che tu non vieni, una falange”, spiega, indicando con una mano le dita dell’altra mano per farsi capire meglio, e poi Romoli, avanzando annuncia: “abbiamo trovato (pausa) un’altra vertebra (non era una falange, n.d.r.?) umana (pausa) eccola qua (ansimando)”. Nel fermo immagine del servizio vediamo anche questa vertebra ben posata sul pietrisco, quasi in esposizione.
La Vilenica, spiega Malečkar, sarebbe l’unica grotta su cui si sarebbe espressa la Commissione di ricerca dei resti umani nelle grotte. Quindi secondo Romoli, durante un’offensiva tedesca i partigiani avevano con sé dei soldati tedeschi prigionieri, li hanno fatti entrare nella grotta, uccisi e fatto esplodere la cavità; perciò pochi resti trovati in superficie, le ossa sbalzate via dall’esplosione ed una colata di pietra avrebbe ricoperto i corpi. A parte che nella pagina con la lista delle fosse comuni in Slovenia risulta che lì non c’è stato nessun recupero né sarebbe stato fatto su eventuali salme in questa grotta (così come per la grotta Bremce).
Tutta questa descrizione male si adatta ad una grotta che, come abbiamo visto, sarebbe profonda tre metri e si sviluppa per nove. Va anche aggiunto che nulla di nuovo sotto il sole, in questo servizio, dato che già nel lontano 2000 l’allora deputato di AN Roberto Menia presentò una interrogazione parlamentare basandosi su dichiarazioni del 1999 rilasciate da Malečkar nel corso di un convegno a Ronchi, relative all’attività della Commissione slovena di cui sopra. Riportando pedissequamente la trascrizione piena di refusi, ecco l’intervento di Menia: “la grotta Vilenca presso Praproce è una grotta orizzontale lunga circa 100 m (sarebbero 3, abbiamo visto) con una fessura all’entrata. Sotto i massi, fatti esplodere per ricoprire le salme, sono stati trovati più teschi, protesi dentarie e oggetti vari (taccuini, scarpe, …)” – ed anche – “Bremce presso Crnotice è un sistema di tre pozzi di corrosione connessi tra loro, profondi 23 metri. Al fondo sono state trovate numerose ossa umane, tranne i teschi, e ossa di animali con i quali si voleva mascherare i fatti”.
Tali descrizioni, riprese dall’intervento di Malečkar, sono in palese contrasto con quanto appare nella pagina sulle fosse comuni che (dovrebbe essere aggiornata), mentre Malečkar sembra rimasto alle sue descrizioni di 25 anni fa. Di conseguenza concordiamo del tutto con quanto lo speleologo capodistriano ha dichiarato alla fine del servizio di Romoli: “se le cose storiche non sono chiarite del tutto aumenta solo l’odio nazionale”. Verissimo, e allora perché egli stesso fa di tutto per NON chiarire le “cose storiche”, come dimostra tutto il servizio di Romoli che si è basato sostanzialmente sulle sue dichiarazioni per realizzarlo? Ci vien da dire che l’unico orrore svelato è quello dell’inconsistenza del giornalismo e della “foibologia” di Romoli, che nonostante tutto continua a fare il giornalista mainstream per la Rai.
di Claudia Cernigoi
a cura di Lorenzo Poli Redazione del mensile Lavoro e salute
7 febbraio 2024
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