Lotta di classe, oggi. Cominciare dalla logistica
Warren Buffett, uno dei più famosi miliardari americani, dichiarò qualche anno fa che la lotta di classe non era affatto finita e che semplicemente la stavano conducendo e vincendo i grandi capitalisti come lui, contro i lavoratori e le altre classi meno agiate.
Ma come fanno i capitalisti grandissimi, grandi, medi e piccoli a condurre la lotta di classe in loro favore? Sono la classe dirigente di questa società a livello globale e quindi possono utilizzare strumenti globali di potere come le borse, i grandi centri finanziari, le organizzazioni istituzionali internazionali, ma anche quelli nazionali, come gli stati, i governi, le istituzioni parlamentari, locali; e soprattutto hanno le loro imprese che possono gestire cercando di massimizzare i loro profitti e ridurre i costi, a partire da quello del lavoro. È ovvio, no? Ed è anche più evidente oggi, dopo la crisi finanziaria, ambientale e sanitaria che ha colpito questa società negli ultimi dieci anni: perché, si sa, i momenti di crisi sono proprio quelli nei quali la lotta di classe si intensifica.
Basta guardarsi intorno anche solo nella piccola Italia per verificare queste ovvietà: aumenta la povertà, aumenta la disoccupazione, si annunciano licenziamenti di massa, si fa crescere il meccanismo degli appalti e subappalti per ridurre i salari, cresce il precariato, si riducono i meccanismi di tutela dagli infortuni (e così aumentano i morti sul lavoro), si cerca di colpire gli ammortizzatori sociali (come il reddito di cittadinanza) per avere più manodopera disponibile a lavori precari e sottopagati, si tagliano i ritmi di lavoro, si aumenta la pressione fisica sui lavoratori in lotta, come quelli della logistica, fino ad arrivare ai gravi episodi di queste ultime settimane.
E allo stesso tempo, tutti sappiamo che i capitalisti più ricchi, ma forse non solo loro, stanno accrescendo velocemente il loro reddito e il loro patrimonio; che il governo non aumenterà le tasse per questi ceti più fortunati, che nessun provvedimento colpirà in modo significativo l’evasione fiscale, che gli interessi privati saranno sempre tutelati (come è successo per la famiglia Benetton) a scapito del bilancio pubblico, che il prossimo annunciato aumento dell’inflazione sarà per molti capitalisti grandi e piccoli un’occasione ghiotta per aumentare in modo più che proporzionale i prezzi dei beni e dei servizi e fare maggiori guadagni.
Lo sappiamo bene: è tutto ovvio e scontato.
Invece quelli che stanno dall’altra parte, lavoratori occupati e disoccupati, donne e uomini, giovani e vecchi, attivi e pensionati, nativi e migranti, dipendenti e falsi autonomi, pubblici e privati come devono fare la lotta di classe? In questo caso le idee sono molto più confuse, incerte, fumose e si tende a “buttarla in politica”: si leggono dichiarazioni severe e roboanti di qualche dirigente sindacale, di qualche politico (persino quelle improbabili di Draghi) e poi si scrivono articoli di indignazione, si fanno presidi e flash mob con le immancabili bandiere di qualche frazione della sinistra politica e/o sindacale, davanti alle solite sedi istituzionali: ministeri, prefetture, sedi regionali. Tutto lì: chi partecipa a qualunque titolo si sente la coscienza a posto.
Ma la lotta di classe non è quella: cerchiamo di imparare dai capitalisti che hanno ben chiaro chi vogliono colpire e come farlo. Perché nella lotta di classe ci deve essere un avversario ben individuato socialmente e non un generico sistema e perché la lotta di classe serve anche, e in questo momento soprattutto, per dividere il fronte avverso e costruire nuove alleanze. I lavoratori della logistica sono sicuramente oggi in Italia protagonisti della lotta di classe: i loro nemici sociali sono i padroni internazionali e locali delle aziende che li sfruttano, speculando sulla loro composizione, fatta prevalentemente da immigrati che, se perdono il lavoro, rischiano di perdere anche il permesso di soggiorno e di sprofondare nella clandestinità. Se vogliamo manifestare concretamente solidarietà a questi lavoratori, dobbiamo farlo davanti ai supermercati che si riforniscono da quei magazzini logistici, come ha fatto giustamente il movimento NO TAV a Susa. È lì davanti a quei supermercati che bisogna cercare la solidarietà degli altri lavoratori che, in qualità di consumatori, possono contrastare la politica padronale di sfruttamento, facendo i loro acquisti nei piccoli negozi invece che nella grande distribuzione. Se vogliamo essere solidali con quei lavoratori, dobbiamo anche portare dentro i sindacati confederali la discussione sulle scelte contrattuali che questi hanno fatto, perché rischiano di indebolire ulteriormente il fronte dei lavoratori del settore e, quindi, i rapporti di forza sindacali in generale.
Ma la lotta di classe attraversa tutta la società e spesso non si esprime a livello aperto e pubblico.
Prendiamo, ad esempio, il tema della sanità, oggi così sentito a causa della pandemia: a parole tutti sono d’accordo che occorra potenziare la prevenzione a livello territoriale. Eppure è evidente che nulla si muove in questa direzione: se la pandemia verrà sconfitta o almeno contenuta con la campagna di vaccinazione, tutto resterà come prima, perché è interesse delle grandi società farmaceutiche che non si investa nella prevenzione, perché è interesse della sanità privata che si concentri la cura negli ospedali, perché è interesse di una parte consistente dei medici di famiglia limitarsi a svolgere il compito burocratico di rilasciare enormi quantità di ricette per farmaci e analisi di laboratorio.
Naturalmente anche nella sanità ci sono settori progressisti che possono sostenere posizioni più avanzate e schierarsi contro la logica speculativa, che oggi prevale; ma bisogna in qualche modo stanarli con proposte e (perché no?) provocazioni che li obblighino a schierarsi, a uscire da un comodo rifugio corporativo.
Riccardo Barbero
21/6/2021 https://volerelaluna.it
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