Lotteria vincente per le Utility: niente di cui festeggiare!
A 7 anni dalla vittoria del referendum per l’acqua pubblica, al decimo anno di crisi economica, torna con forza la retorica del “privato è bello”, la difesa delle multiutility e soprattutto la favola della positività delle quotazioni in borsa delle aziende che gestiscono il servizio.
Il 14 aprile, il quotidiano nazionale La Repubblica pubblicava un articolo dal titolo ingannevole “Utility, il tesoretto da un miliardo che fa felici i Comuni”.
Si evince che le tre maggiori utility A2a, Hera, Iren che si dividono la gestione dei servizi pubblici locali di quasi tutto il nord Italia hanno visto i propri utili crescere rispettivamente del 26%, del 21% e del 32%.
L’articolo pone però l’accento su un altro dato, ossia i grandi benefici che questi risultati porteranno ai soci pubblici: i Comuni che incasseranno circa 340 milioni di euro, un terzo della cifra anticipata nel titolo.
Allora perché non “brindare” negli enti locali? Innanzitutto, perché con pareggio di bilancio e spending review, questi dividendi difficilmente potranno essere reinvestiti nel servizio; ma soprattutto perché quello che ci dicono questi dati è che i cittadini pagano a caro prezzo un servizio finanziato ormai quasi solo sulle tariffe, e nel frattempo le Utility incassano 660 milioni di euro di dividendi.
Si esalta palesemente il concetto di remunerazione del capitale investito, bocciato dal secondo quesito referendario del 2011 dal 95,8% dei votanti, ben 27 milioni di cittadini e cittadine.
Gli enti locali oggi dovrebbero brindare perché le multiutility stavolta hanno vinto alla grande lotteria, giocando in borsa con i servizi essenziali. Si dimentica che in passato, le stesse dinamiche sono costate care agli utenti del servizio. Nel 2000, quando la romana Acea, appena quotata in borsa investì insieme a Fiat nella telefonia mobile in Spagna, senza che la decisione passasse dal socio pubblico – il Comune di Roma – perse gran parte del capitale investito, generando perdite nell’azienda e ovvie ripercussioni sugli investimenti e le tariffe del servizio pubblico locale romano.
Insomma, le utility si concedono il lusso di scommettere con i soldi dei cittadini, di incassare dividendi quando va bene e di far pagare gli errori su chi usufruisce del servizio quando va male.
Secondo “La Repubblica”, dovremmo anche esultare per l’imminente quotazione in borsa di Estra, la prossima utility in rampa di lancio per la quotazione. Nata nel 2009 dall’alleanza tra le aziende di Siena, Prato e Arezzo, dalla fine dell’anno scorso si è allargata ad Ancona e Macerata, ed entro l’estate, non appena avrà il via libera da Consob, debutterà a Piazza Affari.
Intanto le cifre ci dicono che tra il 2012 e il 2017, le famiglie hanno sopportato un aumento medio del costo dei servizi pubblici locali vicino al 17%. Nelle case non c’è motivo di brindare, e ci sarebbe da tornare con forza a gridare che la gestione di acqua, energia, trasporti e rifiuti deve essere messa fuori dal mercato.
Non si può accettare l’esaltazione di chi specula e gioca con servizi che sono diritti fondamentali.
Raphael Pepe
16/4/2018 www.italia.attac.org
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