L’Unione Europea alla sfida dei beni comuni
In vista delle prossime elezioni, la Sinistra Europea fa il punto su uno dei temi cardine del proprio impegno politico, specie in una fase di turbo-liberismo e mercificazione sfrenata di servizi un tempo pubblici, come capita sempre più spesso a ciò che afferisce ai ‘beni comuni’.
Con un forum organizzato il mese scorso al Parlamento Europeo di Bruxelles dalle delegazioni italiana, portoghese ed irlandese del GUE/NGL ci si è confrontati sulle sfide per l’UE e le istituzioni locali, rappresentate dalla crescente necessità di giustizia sociale ed ambientale.
Dopo l’introduzione di Eleonora Forenza dell’Altra Europa con Tsipras, i tre panel hanno registrato contributi importanti, fra i quali quelli di Riccardo Petrella – dell’Università dei Beni Comuni-, Lanka Horstink, Renato di Nicola e Gil Penha Lopes fra gli altri.
Al centro degli interventi la rilevanza dei beni comuni, a livello locale come a livello continentale, confrontando le priorità espresse dai vari movimenti – come ad esempio dal Forum per l’Acqua Pubblica – con gli strumenti di partecipazione dei cittadini, sul genere dell’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) e sulla loro dubbia efficacia.
Da una definizione ampiamente accreditata che sancisce per ‘beni comuni’ quelle ‘risorse o servizi funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona’ si è cercato di approfondire la connessione fra questi e la tutela dei diritti alla sopravvivenza, all’incolumità e alla salute.
Beni ‘universali’ – come ambiente, istruzione, salute, giustizia o cultura – così come beni ‘essenziali’ – quali acqua e ambiente – hanno progressivamente subito una limitazione, a causa delle politiche adottate dagli anni ’90, orientate alla speculazione commerciale a favore dell’espansione del settore privato, L’operazione è stata quella di trasformare i beni comuni da ‘commons’a ‘commodities’, cioè a prodotti mercificabili.
I segni tangibili di questa svolta sono ravvisabili in molti ambiti, come l’ascesa della previdenza assicurativa complementare, la diffusione dello strumento di ‘arbitrato’ per la soluzione di controversie, la presenza di multinazionali nella gestione idrica, fino alla combinazione delle misure di austerità sui servizi pubblici, e quindi all’arretramento dello stato sociale.
Una simile chiave di lettura si ritrova anche nella svolta intergovernativa dell’UE in seguito al trattato di Maastricht, quando – parallelamente allo smantellamento dei sistemi di welfare – si è proceduto a politiche di coordinamento a trazione finanziario-commerciale, sancendo così l’abbandono di vere e proprie politiche comunitarie, in favore di provvedimenti orientati alla competitività del mercato unico, alla privatizzazione e alla deregolamentazione.
Con l’intento di definire un quadro legislativo continentale dei beni comuni da parte della Sinistra Europea, si è resa inevitabile una panoramica del lungo processo di espropriazione privatistica, a scapito appunto di giustizia sociale ed equità.
Già l’appello ad un’Europa di Diritti e Beni Comuni lanciato nel 2014 aveva registrato un niente di fatto rispetto all’introduzione nel Trattato dell’Unione Europea della definizione di beni come ‘patrimonio dell’umanità con regime giuridico distinto dai ‘servizi di interesse generale’, mediante la redazione di una Carta dei Beni Comuni.
Il successo della campagna ‘Right2Water’ in quello stesso anno ha portato poi alla nascita di un inter-gruppo del Parlamento Europeo focalizzato su ‘Beni Comuni e Servizi Pubblici’.
In questo ambito sono state affrontate alcune delle criticità maggiori dell’UE rispetto alla questione, rappresentate in particolare dalla governance divisa fra più livelli, dal deficit democratico delle istituzioni, dallo sviluppo asimmetrico di paesi del mercato unico così come dell’area Euro, infine dalla mancanza di una strategia coerente di salvaguardia delle classi popolari dalle iniquità del mercato globale.
Più in generale è il rapporto fra vertice e base, fra decisori sovranazionali e comunità territoriali che può essere rimesso in discussione, con la centralità di un modello rispettoso dei beni comuni.
Perciò alforum sono stati chiamati in causa insieme alle istituzioni anche gli attori sociali, per comprenderne meglio il ruolo mediante una mappatura e definire così strategie condivise in networkcontinentale.
Le perplessità di fondo riguardano soprattutto l’interconnessione fra approcci movimentisti e quadro europeo dei trattati, fortemente improntati sul mercato unico e sulla concorrenza.
La vera sfida però non riguarda la capacità politica di modifica del modello di integrazione dell’UE, quanto piuttosto la persistente crisi socio-economica – con conseguenti rigurgiti nazionalisti catalizzatori del malcontento dell’opinione pubblica – per riconsiderare alla base il concetto di comunità europea, investendo quindi la condivisione di certe risorse, non solo materiali, ma anche finanziarie.
Sotto questo profilo, fra le conclusioni del forum è emerso che solo la difesa dei Beni Comuni, il loro uso equo e parsimonioso, il rilancio di un ruolo proattivo della finanza pubblica possa preservare il genere umano dai conflitti e dalle guerre per l’accaparramento delle risorse residue; rappresentando per la Sinistra Europea una proposta non solo alternativa, quanto ‘alterativa’ di un sistema fallimentare; oltre a caratterizzare una sorta di identità condivisa entro un orizzonte socio-politico più inclusivo, che proprio per la natura stessa dei beni comuni si pone in modo transfrontaliero e transgenerazionale.
Tommaso Chiti
27/3/2019
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