Ma cosa sono queste Case di comunità?

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di Edoardo Turi

I lettori di “Lavoro e Salute” hanno già avuto modo di leggere alcuni miei precedenti articoli sulla sanità del territorio (Anno 37 n.11 novembre 2021; Anno 38 n. 1 gennaio 2022 e n. 2 febbraio 2022),ma la recente pubblicazione del Decreto Ministeriale n. 77/2022,comporta un nuovo sforzo di analisi del tema,riprendendo tuttavia il filo conduttore di quegli articoli.
Per capire cosa dovrebbero essere le Case di Comunità (CdC) previste dal Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) è necessario approfondire una tematica poco conosciuta: il rapporto tra ospedale-territorio.

Si deve partire da un assunto, sconosciuto ai più:l’ospedale, è una istituzione millenaria,già esistente (templi greci ,infermerie militari romane,opedali dei regni romano-barbarici) prima delle Crociate,che con esse si consolida,come luogo di ricovero e ospitalità per pellegrini,viandanti,commercianti e soldati che andavano e venivano per il Medio Oriente tra l’XI e il XIII secolo (1096-1270). Luogo di cura,intesa come assistenza,riposo,igiene,alimentazione,sicurezza più che medicina che nel suo significato moderno che muoverà lentamente i primi passi tre secoli dopo con la rivoluzione scientifica (1543) e con cui si coniugherà solo nel XVIII secolo.
La gestione anche da parte di ordini monastico-religiosi-militari spiega la permanenza ancora oggi di una terminologia e una estetica militari:reparti di medicina,chirurgia,ecc.,divisioni uomini-donne,divise di medici e infermieri, medico di guardia, una forte gerarchia (primario,caposala).

L’ospedale moderno con grandi investimenti edilizi e tecnologici è oggi un importante luogo della narrazione e dell’immaginario collettivo,dove si trova sempre una qualche risposta ai problemi di salute,celebrato in serie televisive e momento identitario degli operatori che vi lavorano.

Il territorio invece non è una istituzione,tanto meno sanitaria,ma un concetto biologico,geografico, urbanistico, politico e giuridico che non ha immediatamente un rapporto con la salute. Per trovare qualche traccia in tal senso bisogna pensare alle istituzioni civili nate con i commerci delle repubbliche marinare (Venezia) e le Signorie (Milano,Firenze) che istituirono gli “Uffici di sanità” e i “lazzaretti” durante la pestilenza del 1347 e nelle numerose epidemie successive.Tali uffici non avevano nessuna cognizione scientifica del problema, ma avevano collegato la diffusione della malattia ai commerci via nave,ai ratti,ai cadaveri e agli oggetti. Essi emettevano ordinanze e norme: da questi primordi la forte connotazione “amministrativa” della “medicina territoriale” che ancora oggi stenta ad avere una fisionomia definita, specifica e scientifica, permanendo invece una immagine burocratica e autoritaria di “polizia sanitaria”.

Rimanendo all’Italia bisogna arrivare a dopo l’Unità (1861) per avere una prima sistematizzazione delle norme sanitarie sul territorio con la Legge Crispi-Pagliani (1888), il Testo unico delle Leggi sanitarie (1901), rafforzato durante il fascismo (1934) e l’istituzione del medico e dell’ostetrica condotti ,antesignani del medico della mutua prima e di famiglia/di base o generale oggi e del consultorio,nonché di una “sanità per i poveri”, il medico provinciale e l’ufficiale sanitario. E infine le mutue, sistematizzate dal fascismo nel 1943.
Certamente l’istituzione ospedale e la medicina territoriale rimangono ben separate fino ad oggi nostante la medesima formazione universitaria degli operatori o forse proprio a causa di essa. Ancora oggi il permanere del numero chiuso, l’assenza di materie come sociologia,economia e psicologia dal corso di laurea in medicina o la loro parziale presenza nei corsi di laurea delle professioni sanitarie,la mancanza di periodi di formazione sul territorio soprattutto per i medici, l’assenza di una specializzazione universitaria per i medici di famiglia sostituita da corsi di formazione triennali in medicina generale affidati alle Regioni e da queste ai sindacati dei medici di medicina generale.
Ma soprattutto inzia nel passato della storia italiana la forte dicotomia tra potere centrale: Governo, Prefetto, Medico provinciale e livello locale (Medico condotto, Ufficiale sanitario, Sindaco). Il Ministero della sanità venne istitito solo nel 1958 e fino ad allora la “sanità pubblica” era gestita dal Ministero dell’interno come un problema di ordine pubblico. Da qui l’impostazione “questurina” che la sanità territoriale tende ad assumere nell’immaginario collettivo (vigili sanitari, ispezioni, sportelli, code, liste di attesa,pratiche amminisitrative, uffici che non ripondono,ecc.).

Il tardivo compimento della rivoluzione industriale italiana del dopoguerra,il “boom economico”, l’industrializzazione,l’urbanizzazione,le migrazioni Sud-Nord, l’inquinamento lavorativo e ambientale,ma al tempo stesso il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (reddito, casa, istruzione, alimentazione, svaghi) e la consegunte spinta ai consumi, mandarono in crisi il sistema sanitario preesistente,con l’esplosione di nuovi quadri epidemiologici:la riduzione delle malattie infettive e l’aumento delle malattie cronico-degenerative (cardiovascolari,diabete,tumori,bronchiti croniche),nuovi rischi per la salute (ambientali, lavorativi,sociali,stili di vita,solo apparentemente individuali,ma in relatà fortemente conessi ad aspetti sociali collettivi) e l’esplosione delle lotte operaie e studentesche degli anni ‘60 e ‘70. La società capitalistica ebbe da sempre un grande interesse a combattere le malattie infettive perchè interferivano pesantemente con il circuito produzione-consumo (come si è visto anche con l’epidemia da Covid),mentre le malattie cronico degenerative sono non solo compatibili con lavoro e consumi,in quanto tardivamente invalidanti e mortali,ma anzi occasione di nuovi profitti tramite diagnostica,farmaceutica e assistenza convenzionata/accreditata.

Questi processi sociali trovarono sbocco in normative locali e nazionali che fecero da preludio alla Riforma sanitaria realizzata con la L. n. 833/1978 con cui il territorio assunse con difficoltà una sua fisionomia: l’Unità Sanitaria Locale (USL ) e il Distretto trovarono una prima raffigurazione in un articolo di G.A.Maccaro nel 1972 “L’unità sanitaria locale come sistema”.e qui compare per la prima volta il termine “Casa della salute” come articolazione del Distretto in cui avviene la partecipazione (G.A. Maccaro,Per una medcina da rinnovare.Scritti 1966-1976.Feltrinelli.1979).
Il sociologo di area cattolica A. Ardigò già nel 1986 li definisce un “esperimento sociologico”,il che testimonia l’attenzione non da oggi del mondo cattolico democratico a questo tema (La ricerca sociale 34.I Distretti socio-sanitari. Franco Angeli,1986).

Ma come sul Ministero della sanità gravò il passaggio ad esso di funzionari del Ministero dell’Interno,peraltro non epurati da elementi e cultura sabaudo-fascitsa (come d’altronde in altri settori quali magistratura e polizia),così le USL furono formate da funzionari provenienti dagli Uffici del medico provinciale e dalle mutue disciolte,rallentando e ostacolando il processo di riforma. Così,tranne le regioni “rosse” (Emilia-Romagna,Toscana, Umbria),il pocesso di realizzazione dei Distretti e di una sanità del territorio fu lenta e contraddittoria.

La L. n.833/1978 non definiva i Distretti se non come una articolazione della USL di massimo 200.000 abitanti e “quali strutture tecnico- funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento”.
Le uniche culture sociosanitarie nuove sul territorio erano la medicina del lavoro,la psichiatria e l’attività consultoriale,figle del lungo Sessantotto italiano, che muovevano i primi passi con la costituzione dei corrispondenti servizi. L’ospedale rimaneva nella USL ma sempre come entità separata.I Medici di famiglia con l’art 25 rimanevano convenzionati esterni al SSN (anche se lo stesso articolo prevede la possibilità della dipendenza dal SSN),come d’altronde le strutture sanitarie convenzionate e riabilititive (artt. 26,42).La Leggi regionali avrebbero poi definito in modo diverso tra le varie Regioni i Distretti,che per molto tempo saranno prevalentemente dei poliambulatori.

Il successivo D.Lgs. n.502/1992 prevede i Distretti per un minimo 60.000 abitanti e con questa normativa,adottata da un ministro del Partito Liberale Italiano (PLI),unico partito a non aver votato per la Riforma sanitaria del 1978,e poi arrestato per corruzione durante Tangentopoli, inzia il gigantismo di Aziende Sanitarie (AS) Locali (ASL) e Distretti,contrario ad ogni forma di prossimità e decentramento amministrativo propri della cultura politica della sinistra.

Le ASL accorpano le vecchie USL sino a diventare provinciali e anche regionali, coprendo ampi territori,se non come popolazione,senz’altro come estensione geografica, bacini orografici,collegamenti ma anche culture e caratteristiche sociali.

Solo con il D.Lgs. 229/1999,caduto il Pirmo Governo Prodi, ma con il successivo Governo D’Alema,ministro della salute R. Bindi, il Distretto ebbe per la prima volta una sua configurazione precisa all’interno delle ASL,individuando funzioni e attività,l’assegnazione di specifiche risorse,definendo il ruolo del Direttore di Distretto.Questo declinato poi a livello regionale,sempre attraverso l’autonomia legislativa regionale,a questo punto rafforzata dalla modifica del titolo V della Costituzione,introdotta dal Governo G. Amato nel 2001,che ha aperto la strada ai 21 Servizi Sanitari Regionali che si venivano configurando,anticipando l’Autonomia regionale differenziata.

Sia l’Università Cattolica che L’ Università Bocconi con il suo CERGAS,da molti anni ormai dimostrano,non a caso, un grande interesse per i Distretti del SSN con particolare riferimento alla gestione delle risorse (Il budget e la medicina generale con E. Vendramini, McGraw-Hill, 2001), a dimostrazione della vera operazione di gemonia culturale in corso da venti anni da parte di queste due centrali del pensiero unico dominante neo liberale.

Per una panoramica della situazione dei Distretti del SSN si rimanda all’unica pubblicazione ufficiale (8° Supplemento al n. 27 di Monitor 2011) dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari- AGENAS (Agenzia gestita dal Ministero della salute e dalle Regioni),Ministero della salute, Università Cattolica e CARD (Associazione dei Distretti):
”Il Distretto ha subito nel corso degli anni un’evoluzione che lo ha portato ad essere configurato come un “sistema integrato di unità organizzative che interagiscono per realizzare le finalità dell’assistenza primaria” – recita l’introduzione – “Tale evoluzione nasce dalla necessità di offrire una risposta più adeguata a un bisogno di salute in una fase di profonda trasformazione, in cui il baricentro del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si va spostando sempre più dall’ospedale al territorio. Con il D. Lgs. n. 229/1999, il Distretto ha assunto il ruolo di struttura operativa dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) deputata a contribuire alla garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) riferibili al sistema della primary health care, che si traduce principalmente nella proposizione, attuazione e verifica del processo organizzativo di presa in carico istituzionale e nella realizzazione della continuità assistenziale per pazienti cronici e con bisogni assistenziali complessi”.

Al fine di comprendere meglio l’evoluzione del Distretto e in seguito all’indagine svolta negli anni 2005-2006, l’Agenas nel 2010 ha effettuato – in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, la Confederazione delle Associazioni Regionali di Distretto (CARD) e i referenti di ciascuna Regione e Provincia Autonoma – una nuova indagine, con l’obiettivo di ottenere una fotografia aggiornata della rete distrettuale, affrontando alcuni aspetti organizzativi connessi ad un’organizzazione complessa formata da un’articolata rete di professionisti e servizi.
681 Distretti sanitari sul totale dei 711 attivati al 31.12.2009 nelle Regioni e Province Autonome hanno partecipato alla rilevazione, con un’adesione quasi totale (96%), consentendo di ottenere informazioni su:
. caratteristiche generali dei Distretti (contesto territoriale e caratteristiche organizzative);
. programmazione e integrazione sociosanitaria nel Distretto;
. centralità del cittadino e della comunità nel Distretto
. funzioni del Distretto nell’accesso dei cittadini ai servizi e attori fondamentali dell’assistenza primaria;
. analisi delle relazioni tra alcuni aspetti salienti dell’indagine.

Lo strumento adottato per la ricognizione di tipo censuario è stato un questionario elaborato con la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, successivamente validato da un team di esperti in materia di assistenza territoriale. Le domande del questionario sono state strutturate sulla base di quattro indicatori di collaborazione tra professionisti all’interno di organizzazioni sanitarie, secondo il modello D’Amour et al (BMC Health Service Research 2008; 8:188): governance, rapporti formali, obiettivi condivisi e vision, rapporti interni.
I risultati sono stati presentati in occasione del Convegno “La rete dei Distretti sanitari in Italia” tenutosi a Roma il 30 marzo 2011, e sono stati pubblicati in un numero monografico di Monitor (op. cit).contenente, oltre al report finale dell’Indagine, anche contributi di esperti e di referenti regionali”.

Anche la Regione Toscana nei primi anni 2000 con le Aree Vaste accorpa a sua volta le ASL provinciali tra loro,al fine di centralizzare alcune procedure amministrative (acquisti,concorsi,ecc.),mitigando questo processo con le Società della salute: un tentativo di istituzionalizzaione formale del rapporto Distretto-Comuni nel quadro della integrazione socio-sanitaria. Ed è in questo contesto che B. Benigni,già amministratore locale del Partito Comunista Italiano (PCI),nella consapevolezza che il nuovo gigantismo delle ASL non avrebbe fatto bene alla sanità territoriale,in un convegno del Sindacato Pensionati Italiani (SPI) CGIL del 2003 “Le cure primarie,la casa della salute” propone un’ “idea sampilce”,come la definisce lui stesso,ma che dopo molti anni riprende il concetto di “Casa della salute” usato nel 1972 da G. A. Maccacaro: “il Distretto si configura,positivamente,come sede idonea per le funzioni di programmazione,ma rischia di essere,negativamente,un’area di accentramento delle prestazioni in luoghi distanti dai cittadini,vanificando il principio di prossimità e dalla agevole accessibilità alle sedi di erogazione” (B. Benigni. La casa della salute.Roma,SPI CGIL;2003) e ancora” un Distretto grande…ha bisogno di articolarsi in aree elementari ,più ristrette,sub distrettuali (da 10 a 30000 abitanti),per consentire di risolvere i problemi della integrazione operativa nell’unità di spazio e di tempo e della partecipazione diretta dei cittadini” (B. Benigni,La casa della salute:idee di progetto.Firenze,Alinea;2007).

Si consideri che le cosiddette Cure primarie (medicina e pediatria di famiglia, ovvero Medici di medicina generla e Pediatri di libera scelta convezionati,medicina specialistica di base convenzionata e dipendente, incardinati nei bilanci delle Regioni e ASL non come “personale” ma come “acquisizione di beni eservizi” al pari di qualunque esternalizzazione,e la sanità territoriale:vaccinazioni,consultori,ecc.)sono sempre state al centro dell’elaborazione toscana senza mai diventare,tuttavia ,una elaborazione ed un modello nazionale se non nella vicina e politicamente omogenea Emilia -Romagna (Le case della salute. Innovazione buone pratiche. A. Brambilla e G. Maciocco,Carocci;2016. Cure primarie servizi territoriali.Esperienze nazionali e internazionali. a cura di G. Maciocco et al. Carocci;2109).

Nel frattempo vengono a mancare su tali argomenti anche le sedi di discussione nella sinistra (partiti, sindacati, associazioni):i cosidetti corpi intermedi.
Inoltre le regioni Toscana ed Emilia Romagna negli ultimi anni hanno sempre privilegiato la difesa del proprio modello,anche nelle molte decisioni della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni,con i suoi molti tavoli tecnici e amminstrativi,e nel rapporto con Governo e Ministero della salute. In quella sede hanno continuamente concordato decisioni con le altre Regioni forti del centro-nord a scapito di quelle del centro-sud,che spesso disertano le molte riunioni della Conferenza o mandano funzionari poco esperti o senza indirizzo politico. In questo anticipando un approccio “leghista” che preludeva all’ Autonomia regionale differenziata. Si può spiegare anche così il sucesso della Lega in regioni rosse come l’Umbria o amminstrate recentemnente dal centrosinistra e oggi passate al centrodestra come le Marche.

La Casa della salute (CdS) è stata poi prevista dalla legge Finanziaria 2007 (Legge n. 296 del 2006 – Art. 1, comma 806, lett. a) (secondo Governo Prodi,Ministra della salute L. Turco) che ha indirizzato specifiche risorse, pari a 10 milioni di euro, per la sperimentazione del modello assistenziale CdS. Con il Decreto del Ministero della Salute del 10 luglio 2007 sono state poi emanate linee guida per l’accesso al cofinanziamento ai fini della sperimentazione progettuale delle CdS quali strutture polivalenti in grado di erogare in uno stesso spazio fisico prestazioni socio-sanitarie integrate ai cittadini”. Decisione tuttavia non obbligatoria demandata alle Regioni che si sono comportate molto diversamente come emerge impietosamente dal Documento della Camera dei Deputati,XVIII legislatura (Documentazione e ricerche.Case della salute e ospedali di comunità:i Presidi delle cure intermedie.Mappatura sul territorio e normativa nazionale regionale. N. 144, 1/3/2021),sintetizzata nella tabella che segue. Senza considerare che le CdS sono state spesso anche la riconversione di presidi ospedalieri chiusi con la politica di riduzione dei posti letto per tagliare la spesa sanitaria.Scelta che si è pagata durante la pandemia da Covid e che ha costretto le Regioni e le ASL a molti convenzionamenti con il privato.

Ma per capire come si passa dalle CDS alla Case della Comunità (CdC), bisogna leggere nei tipi della casa editrice Deriveapprodi ben due libri pubblicati sulle CdS,dove,in una collana di riferimento per l’area “antagonista” si ritrovano inspiegabilmente sacerdoti cattolici, la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO), la Bocconi,un ex Ministro della salute, Direttori Generali ASL, un ex Assessore e Deputato,e che, riprendendo il nome dell’ associazione “Prima la comunità”, Presieduta da Don V. Colmegna, cui partecipa L. Turco,lancia il nuovo marchio (Famiglia cristiana 31/12/2020),più ambiguo, ma consono al terzo settore no profit (Salute partecipazione democrazia.Manifesto per una autentica casa della salute.Derive Approdi.2018).

I finanziamenti del PNRR per le CdC sono solo per ristrutturazioni di strutture pubbliche,informatica e attrezzature sanitarie e senza assunzioni di personale nel SSN è molto probabile che le CdC siano oggetto di interesse del privato, dai MMG organizzati in società anche cooperative, al privato sociale.

Un caso? No di certo. La salute in CdS è un termine con una defizione chiara sia che si prenda la nota formula dell’organizzazione Modiale della Sanità (OMS) del 1948 che la più recente del 2011: la “capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alla sfide sociali, fisiche ed emotive”,evoluzione del vecchio concetto di salute del 1948 che prevedeva la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale”. Oppure quella del medico gienista A. Seppilli del 1966: “La salute è una condizione di armonico equilibrio, fisico e psichico, dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale”.

Ma la comunità? Essa è parola più complessa ed ambigua a seconda dei contesti socio,economici ,sociologici o religiosi in cui si inserisce. Ma ritornando al citato intervento su Famiglia Cristiana (2020) , sembra leggersi il tentativo ,da parte del mondo cattolico,di riprendere una egemonia persa in campo sociale e sanitario dopo la lunga egemonia della sinistra successiva al duraturo Sessantotto italiano, operaio, studentesco e femminista, per oltre due decenni.

Daltronde la sinistra negli ultimi anni,egemonizzata dal pensiero unico dominante neo-liberale, ha ceduto volentieri alla Chiesa cattolica le tematiche sociali, favorita dal pontificato Bergoglio:povertà, immigrazione, pace,ambiente. Per pagare pegno immediatemente dopo sul piano dei diritti civili (fine vita, aborto, sessualità) e, naturalmente, scuole private,sanità accreditata/convenzionata e terzo settore no profit.

Tuttavia la parola comunità ci interroga: ha la stessa origine etimologica di comunismo, comunione, comune, tutti termini cari alla sinistra, che però mai ha approfondito la identica etimologia: dal latino commùnitas ‘società, partecipazione’, derivato di commùnis ‘che compie il suo incarico insieme’, derivato di munus ‘obbligo’, ma anche ‘dono’, col prefisso cum-.un onere condiviso, splendidamente ambiguo: perché il munus è l’obbligo ma anche (e secondo alcuni è il significato più antico) il dono, il favore, l’offerta in voto.

«Le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi ed infine i loro individui hanno saputo rendere stabili i loro rapporti: donare, ricevere e infine ricambiare. Per cominciare è stato innanzitutto necessario deporre le lance. Solo allora è stato possibile scambiare i beni e le persone, non più soltanto tra clan e clan, ma anche tra tribù e tribù, nazione e nazione e, soprattutto, tra individuo e individuo
(Marcel Mauss,Saggio sul dono.1923).

In questo senso il cambio di nome appare preoccupante perchè con il “ricambiare” obbliga chi riceve. Comunità è un termine caro anche alla destra neofascista che la intende “organica” (Totalità sociale e comunità organica. Editore Gruppo di AR.1982;la casa ditrice fondata nel 193 da F. Freda neofascista già Movimento Sociale Italiano-MSI e poi fondatore del Fronte Nazionale implicato e condannato in numerose stragi n.d.r.).

Z, Bauman, mostra l’avvenuta dissoluzione delle “vere” comunità e il tormento e supplizio di dover vivere attanagliati dall’insicurezza,anelando però sempre alla comunità ideale,sognata.Ma la comunità reale può essere ben diversa:in una comunità si cerca libertà e sicurezza,ma avere entrambe non è possibile (Z. Bauman.Voglia di comunità,Laterza,2003).

Lo stesso Comune, e il Sindaco,come autorità sanitaria locale,è oggi il mediatore tra interessi che attraversano la comunità contrapponendo più comunità tra loro e al loro interno dentro quella conflittualità sociale alimento della democrazia.

La Costituzione stessa all’art. 23 parla di collettività: ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

Inoltre la CdC sembra rafforzare un’idea,già insita nell’ ospedale, che debba trovare risposta nella sanità tutto ciò che la società non riesce a risolvere altrove:vogliamo che esista il pronto soccorso,ma,come i vigili del fuoco, non vorremmo che operasse mai. Eppure vi arriva, come un matraccio, tutto ciò che la società capitalistica produce o non sa risolvere: infortuni sul lavoro,incidenti stradali e domestici,violenza di genere,overdose o crisi di astinenza da sostanze di abuso,episodi acuti evitabii di patologie croniche.

Prevenire,cioè agire sui determinanti sociali di salute, non può essere un compito della sola sanità,ma la salute come tema intersezionale e la prevenzione dovrebbero entrare in tutte le politiche istituzionali:la spesa per la salute e la prevenzione come incomprimibili e come investimenti. Invece è la spesa sanitaria che diventa incomprimibile in quanto il privato guadagna in questa mancata prevenzione,ora anche spostando gli interventi della medicina riparativa dall’ospedale sul territorio e le sue comunità,evitando i costi della prevenzione nei settori della produzione e del consumo,dove avviene la massima accumulazione di capitale.

Il “Libro azzurrro per la riforma delle cure primarie in Italia.Applicare il modello della Primary health care” (A. Panaja et al.) nel 2021 riprende e sistetimatizza le elaborazioni toscane e confessionali sopra citate,largamente riportate nella bibiografia, omettendo però ogni riferimento a G.A. Maccacaro e B. Benigni,quasi a depurarle di ogni ascendenza radicale e di sinistra e senza mai citare non caso il SSN e le ASL,se non in un link che riporta alla citazione delle principali normative e in cui la Riforma sanitaria è datata erroneamente al 1979 anziché al 1978.

Così per la prima volta nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) compare la denominazione “Case della comunità” al posto di CdS,l’ospedale di comunità e la Centrale Operativa Territoriale (COT), senza che nessuna sede scientifica,istituzionale,politica o sindacale ne avesse mai discusso prima. Come si è già scritto su Lavoro e salute:ingegneria istituzionale tecnocraticamente calata dall’alto per imporre in modo surrettizio una quarta riforma della sanità, approfittando dello shock prodotto dall’epidemia (N. Klein. Shock economy,2007) e la fretta di acquisire i finanziamenti,non certo a fondo perduto, dell’Unione Europea.

Infine il 23/5/2022 vede la luce il Decreto del Ministero (DM) della salute n. 77 di concerto,ma guarda un po’,con il Minsitero dell’economia e finanze (Gazzetta Ufficile anno 163°-Numero 144 del 22/6/2022) ,il vero Ministero che ha governato la sanità negli ultimi venti anni.
Il testo del DM è breve ma il corposo Allegato 1 riprende pedissequamente il Documento AGENAS (Agenzia cogestita da Ministero della salute e Regioni), benché sia ignoto il gruppo di lavoro che lo ha redatto,farto salvo un’anticipazione sulla rivista Monitor dell’Agenzia stessa,già noto ai lettori di Lavoro e salute.
Colpisce nelle premesse del DM il riferimento alle “mancate intese” nell’ambito della Conferenza Permanente Stato Regioni e la necessità di intervenire con delibarazione motivata da parte del Consiglio dei Ministri se l’intesa non viene raggiunta entro trenta giorni e la mancanza di ogni riferimento normativo sia alla L. n. 833/1978 che al D.Lgs. n. 229/1999.

Ma venendo al merito dell’Allegato 1,si specifica che ha solo valore descrittivo ,quindi non obbligatorio per le Regioni, sebbene si chiarisca che la sua attuazione sarà valutata nel tavolo dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA),ma soprattutto la sua attuazione dovrà avvenire “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” ad eccezione dei finanziamentii del PNRR,che però nulla prevedono per il personale.

L’Allegato 1 (Modelli e standard per l’Assistenza territoriale nel SSN) descive con dovizia di particolari come dovrà essere la CdC e cosa dovrà fare,ma senza alcun riferimento alle CdS,che così scompaiono (o convivono viste le normative regionali esistenti) con le CdC, ma sembrano in realtà la loro dettagliata evoluzione.Senza alcuna riflessione sul loro fallimento e le criticità non risolte dal modello tosco-emiliano, con una summa di tutte le pratiche che comunque sono prassi abituale consolidata in molte Regioni e nei Distretti,afflitti fondamentalmente dalla carenza di personale e dalle conseguenti esternalizzazioni e convenzionamenti/accreditameni con il privato profit e nonprofit,a partire dall’assitenza domiciliare e dalla neuropsichiatria infantile come previsto dalla stessa Conferenza Unificata Stato Regioni.

Un Documento scritto nelle chiuse stanze dell’AGENAS e del Ministero della salute senza nessun confronto con chi quei temi vive quotidianamente sul territorio tanto evocato e così diverso dal Trentino alla Sicilia:perchè dovrebbe esservi la soluzione di problemi irrisolti da decenni? La medicina di popolazione, la sanità di iniziativa, la stratificazione della popolazione e il progetto di salute sono il quadro metodologico in cui viene inserito il Documento.
Tuttavia non si fa nessun riferimento al Chronic Care Model,ampiamente descritto nella letteratura scientifica internazionale (Il Chronic Care Model-CCM è un modello di assistenza medica dei/delle pazienti affetti da malattie croniche sviluppato da Wagner e e colleghi del McColl Insitute for Healthcare Innovation, in California.Wagner HC. The role of patient care teams in chronic disease management. BMJ 2000;320:569-72.Wagner HC, Austin BT, et al. Improving chronic illness care: Translating evidence into action. Health Aff 2001; 20(6): 64-78),e alla citata esperienza toscana nochè alla sua trasferibiltà in altri contesti e per cui manca ancora una robusta valutazione di efficacia in Italia.

Mentre si introduce l’approccio olistico della “Planetary health” che con “One health” rappresenta il nuovo approccio culturale dell’OMS sucessivo alla persistente pandemia da Covid. E tuttavia la sua origine dovrebbe preoccuparci: nel 2015 la Rockefeller Foundation sulla prestigiosa rivista The Lancet,tramite un Commissione congiunta,ha lanciato questo nuovo concetto (The Lancet,VOLUME 386, ISSUE 10007, P1973-2028, NOVEMBER 14, 2015). Mentre il Governo con il PNRR lancia il Sistema Nazionale Prevenzione Salute dai rischi ambientali e climatici.

Non c’è dubbio che la sinistra in Italia,dopo essere stata ideatrice di elaborazioni e motrice di prassi originali in sanità a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento,da tempo ormai si limita ad introdurre e proporre i termini propri del mondo anglosassone dai Diagnosis Related Group (DRG delle assicurazioni USA per valutare e remunerare l’assistenza ospedaliera,alla ormai apparentemente tramontata Clinical Governance sino alla Evidenced Based Medicine (EBM,medicina basata sulle provedi efficacia).

Numerosi nel Documento i riferimenti ai modelli organizzativi previsti dagli Accordi Collettivi Nazionali (ACN) per la medicina generale (AFT, UCPP), senza alcuna valutazione sul loro reale funzionamento (introdotte in realtà più per giustificare incentivi economici),soprattutto con un numero di 1500 assistiti (oggi arrrivato a 1800) che servono ad aumentare la retribuzione basata sul numero degli assititi,per cui ? (1000) non verranno mai visti e il restante ?
(500),probabilmente anziano ed affetto da una o più patologie, non potranno mai essere seguiti proattivamente e personalizzato sia con il modello attuale che con quello proposto (Progetto di salute,Piani di Assistenza Individuale-PAI ,Piani Riabilitativi Individuali-PRI fosse anche tramite la Telemedicina).

Ma veniamo alle CdC. Una CdC Hub (mozzo) ogni 40-50.00 abitanti mentre nessuno standard n/abitanti è previsto per quelle Spoke (raggio),formate essnzialmente da MMG,1 infermiere di comunità ogni 3000 abitanti,1 Unità di Continuità Assistenziale-USC (1 medico e 1 infermiere ) ogni 100.000 abitanti.
Numeri di operatori da capogiro rispetto alle dotazioni di organico attuali di un Distretto in cui le CdC si inseriscono. Ma nessun riferimento all’esperinza della CdS.
Ma gli standard organizzativi previsti sono proprio quelle risorse umane e strumentali che i Distretti,tranne rare eccezioni, non hanno mai avuto soprattutto su quella scala per abitanti: presenza medica h. 24, 7 giorni su 7, infermieristica h. 12, 7 giorni su 7,infermiere di famiglia e di comunità, Punto Unico di Acesso (PUA), prelievi,servizi ambulatoriali specialistici (cardiologia,pneumologia,diabetologia),ambulatori infermieristici,assistenza domiciliare,Centri Unici di Prenotazione (CUP),integrazione con i servizi sociali,ecc. con obbligatorio o facoltativo/raccomandato tra CdC Hub e Spoke.
Ma non è quanto già presente in molti Distretti sotto forma di grandi poliambulatori?

E allora cosa è mancato in questi decenni se non risorse adeguate che avrebbero consentito l’espandersi di nuove culture di sanità territoriale?
E’ il principio della “rana bollita” di N. Chomsky: ”Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.” (Media e potere, N. Chomsky.2014).

Poi compare la Centrale Operativa Territoriale (COT), esposta per la prima volta nel citato “Libro azzurro per la riforma delle cure primarie in Italia”,come modello organizzativo che svolge la funzione di presa in carico della persona e raccordo tra i professionisti coinvolti nei vari setting assistenziali tramite strumenti informatici (Fascicolo Sanitario Elettronico-FSE,database,software di registrazione chiamate):1 COT/100.000 abitanti con circa 5-10 operatori infermieristici e di supporto, 7 giorni su 7.
Cosa è se non un “numero verde “ del Distretto? E si capisce meglio nel raccordo previsto con la Centrale operativa 116117, il Numero Europeo Armonizzato (NEA) per le cure mediche non urgenti:servizio telefonico h.24, 7 giorni su 7, 1/1-2 milioni di abitanti.
Sullo sfondo l’Infermiere di famiglia/comunità :1/3000 abitanti (sempre numeri da capogiro), l’Assistenza Domiciliare,già ampiamente esternalizzata tramite erogatori privati e l’Opedale di Comunità (20 posti letto/100.000 abitanti,anche qui numeri da capogiro: 15 operatori tra medici,infermieri,tecnici dela riabilitazione e personale di supporto),già previsto dal DM n. 70/2015 e da intesa Stato-Regioni del 2020, ma mai realizzati come risulta nel citato Documento della Camera dei Deputati.

E infine le Cure palliative (1/100.000 abitanti) e gli Hospice :8-10 posti letto/100.000 abitanti, i Consultori (1/20.000 abitanti e 1/10.000 nelle aree rurali e interne),il Dipartimento di Prevenzione: tutte attività già prevsite ma affidate al privato o in crisi per la cronica carenza di personale.

Si chiude con la Telemedicina che,come panacea di tutti mali, consentirà a pochi operatori anche distanti di gestire dati e informazioni sanitarie e la diagnostica da remoto, portando sul territorio quanto già avviene in ospedale,che però,ricordiamo, non ha ancora una cartella clinica informatizzata unica sul territorio nazionale mentre manca un sistema di notifica in tempo relae delle malattie infettive o di registrazione nazionale delle vaccinazioni come la pandemia da Covid ha mostrato.
Senza risporse per personale pubblico tutte le funzioni del DM n. 77/2022 potranno essere svolte anche dal privato.

Che fare? E’ ovvio che i movimenti e gli attivisti per la salute,gli operatori,le organizzazioni sindacali e politiche,il volontariato e le collettività locali,i Comuni e in Municipi, dovranno impegnarsi per contrattare e controllare l’attuazione del DM n. 77/2022 attraverso una vertenzialità diffusa che veda come interlocutrici le Regioni. Ma questa vertenzialità è possibile senza una elaborazione e una piattaforma condivisa di obiettivi?

Togliere il blocco delle assunzioni nel SSN,bloccare le convenzioni/esternalizzazioni e avviare un processo di reinternalizzazioni integrato con un piano straordinario di assunzioni; prevedere un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per la sanità pubblica e privata;riportare la medicina,la pediatria di base e la specialistica convenzionata alla dipendenza dal SSN come già previsto dalla L. n. 833/1978 e ridurre il numero di assistiti per MMG/PLS tramite un modello innovativo e originale;eliminare le assicurazioni sanitarie integrative dai CCNL e abolirne gli sgravi fiscali;istituire nelle Università la formazione del medico di famiglia;avviare un processo di democratizzazione del SSN e delle AS superando la figura monocratica e anacronistica del Direttore Generale attraverso una sua contrattualizzazione nell’ambito del CCNL della sanità e un concorso unico nazionale;istituire modelli di gestione decentrate e dal basso delle decisioni con il coinvolgimento della collettività.

Ma inziare a ripensare l’opedale e la medicina territoriale e i loro operatori,in modo critico,senza una loro difesa astratta e corporativa, ma con un punto di vista alternativo che fermi la corsa ai profitti in medicin nello spirito dell’art. 32 della Costituzione.

Edoardo Turi

Medico, Direttore di Distretto ASL, attivista di Medicina Democratica e del Forum per
il Diritto alla salute.

In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio…/

In archivio http://www.lavoroesalute.org/

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