Malattie professionali, operatori sanitari e covid

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Ha suscitato un positivo interesse (una buona notizia dall’Europa) il fatto che nel Comitato consultivo della UE per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro (CCSS), è stato raggiunto un accordo sulla necessità di riconoscere la COVID-19 come malattia professionale nei settori dell’assistenza socio-sanitaria e dell’assistenza a domicilio nonché, in un contesto pandemico, nei settori in cui sono maggiori le attività con un rischio accertato di infezione.
Un fatto importante perché su questa base la Commissione aggiornerà la sua ultima raccomandazione sulle malattie professionali al fine di promuovere il riconoscimento della COVID-19 come malattia professionale da parte di tutti gli Stati membri.

La rilevanza della novitá dovrebbe essere in quello che in Italia conosciamo come “inversione dell’onere della prova” e cioé nella presunzione legale che il personale sanitario ( e non solo) é professionalmente esposto a rischio di contagio e non ha necessitá di dimostrare il nesso eziologico tra lavoro e malattia. Una evocazione delle tabelle delle malattie professionali che in Italia il Sindacato ( CGIL, tramite INCA) ha tanto contestato riuscendo a scardinare (sentenza n. 179/1988 Corte Costituzionale, riconoscimento delle malattie non tabellate) la logica selettiva che lega, nella tipicizzazione della presunzione legale, lavorazione e malattia.

Infatti, non in tutti gli Stati membri esiste una omogeneitá normativa di definizione e trattazione delle tutele dei rischi professionali come malattie professionali: in Italia il contagio da Covid 19 in occasione di lavoro è infortunio sul lavoro e non malattia professionale, nel solco di una consolidata impostazione medico-legale che valuta/equipara alla causa violenta (tipica dell’infortunio) la carica virulenta che aggredisce il fisico, come giá nel passato la puntura delle zanzare veniva equiparata come causa violenta per i lavoratori che bonificavano le paludi e contraevano la malaria.

Da questo punto di vista l’aggiornamento della Direttiva UE non sembra coinvolgere il sistema di tutela antinfortunistica italiano che applica ed ha applicato per i lavoratori della sanitá , e non solo, il principio della “presunzione semplice” di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio sono state ricondotte anche altre attività lavorative che comportano elevate probabilitá di esposizione al contagio come il costante contatto con il pubblico/utenza.

Per esempio i lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, il personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari. Parimenti, per completezza, va ricordato che in forza del D.L. 17/3/2020 n. 18, il governo per le imprese ha escluso gli eventi infortunistici per Covid 19 dalla contabilizzazione del bonus/malus per il premio assicurativo Inail, al pari dell’infortunio in itinere.

Quindi, se appare che il sistema di “riconoscimento professionale” in Italia non debba attendere la nuova Direttiva EU, resta il problema della valutazione dei postumi da esposizione a distanza di tempo. Infatti, se la carica virulenta (causa violenta) non ha nella sintomatologia tempi di latenza tipiche delle malattie professionali, gli effetti dannosi sull’organismo si possono presentare in una fase successiva, cioé superata la fase acuta di immediata tutela antinfortunistica ( e relativa terapia)?

Esiste una elevata o meno probabilitá che il virus si “cronicizzi” in una specifica patologia delle vie respiratorie e per casi assolutamente asintomatici e, quindi, anche per eventi infortunistici mai denunciati?

Da questo punto di vista, la risposta, potrebbe essere un aggiornamento, anche in Italia, delle tabelle delle malattie professionali, così come auspicato dal Comitato consultivo dell’per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro (CCSS).
Ma l’esposizione a corona virus, non compare per la prima volta e solo per il riconoscimento come malattia professionale. La direttiva n. 2019/1833/UE della Commissione del 24 ottobre 2019, aveva indicato e richiesto l’aggiornamento degli Agenti Biologici ( i Virus) che é stata recepita in Italia dopo due anni con il Decreto Interministeriale del 27/12/2021 che ha modificato il TU Sicurezza negli allegati XLIV,XLVI

  • Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus – virus SARS; e Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (Sars – Cov – 2); Sindrome respiratoria medio-orientale da coronavirus (virus MERS) –XLVII.

Questo recepimento é giá un tassello importante per il riconoscimento futuro di una origine professionale ed é un fatto esigibile da tutti i lavoratori, dai RLS/RLST che devono chiedere l’aggiornamento del DVR, al di lá della assunzione formale dei Protocolli di Sicurezza nazionali OO.SS. Confederali – Confindustria intervenuti sul tema e mai abbastanza verificati sul campo nella effettivitá ed efficacia delle misure di prevenzione/protezione adottate.

Le MP perdute: in memoria di Carlo Smuraglia

Ma parlare di MP in questi giorni ci porta l’occasione oggi di ricordare l’impegno di Carlo Smuraglia quale Presidente della 11a Commissione permanente (bicamerale) conoscitiva su lavoro salute e sicurezza della XIIIa Legislatura, in particolare l’avere sottolineato nelle raccomandazioni finali ( Relazione luglio 1997) il problema delle “malattie professionali perdute”, coniando un termine enfatico che faceva riferimento alla mancata emersione di denunce di malattie professionali all’indomani ( anni 1989-1996) del riconoscimento delle malattie professionali non tabellate, in particolare i tumori professionali perduti.

Qui si torna sul punto, e cioé sulla capacitá del sistema sanitario di prevenzione pubblico (medici di base e servizi territoriali per la salute) di intercettare (vedi obbligo di segnalazione delle malattie di probabile origine professionale/non tabellate da parte dei medici di base ed ospedalieri ai sensi art. 139 DPR 1124/1965, TU Infortuni ) l’insorgenza di casi, ovvero se questo compito oggi non debba essere nuovamente svolto, quasi in supplenza e dal basso, dai delegati sindacali, dagli RLS, dai Patronati, dalle categorie sindacali , al fine di a) denunciare l’esistenza di rischi e malattie professionali, b) coadiuvare il lavoratore alla dimostrazione del nesso causale tra malattia e lavoro.
Quindi vecchi e nuovi rischi, vecchie e nuove malattie professionali ci mettono davanti il problema dell’attuale condizione del sistema di prevenzione di salute e sicurezza in Italia, al di lá giá dell’enorme scarto esistente tra denunce MP denunciate all’Inail e denunce MP effettivamente indennizzate (vedi tabella, fonte: Banca Dati Statistica Inail) .

anno denunciate indennizzate
2016 60218 18523
2017 57995 17412
2018 59460 17734
2019 61201 17628
2020 44948 10814

Fonte: Banca Dati Statistica, Inail

Conclusioni

Non si possono fare conclusioni ma sottolineature su “dove va il sistema di salute e prevenzione nei luoghi di lavoro” e “ruolo e peso delle figure deputate ad assolvere ruoli/obblighi/responsabilitá “; nei fatti la necessitá di indagare, a partire dalla situazione post-Covid 19, cosa é rimasto dell’impianto organizzativo/normativo disegnato dal legislatore europeo e nazionale/regionale in applicazione delle Direttive europee 1989 e del TU Sicurezza, delle sue correzioni ed implementazione e mancate attuazioni. In questo senso abbiamo la scadenza del 30 giugno 2022 per verificare le attuazioni ministeriali previste dalla L. 215/2021 ( decreti attuativi della miniriforma Dlgs.vo 81/2008 ), ma, ancor di più abbiamo la necessitá di costruire una “Agenda di impegno politico” sul tema da condividere con tutti i soggetti che si muovono nel settore della salute e sicurezza del lavoro per costruire, anche seminarialmente, appuntamenti fissi, campagne tematiche, per recuperare il tempo perduto per la costruzione di un nuovo movimento di lotta per i diritti alla salute e sicurezza di milioni di lavoratori.

Mario Pugliese

Impiegato INAIL Catania

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