Marmolada, il climate change fa strage di escursionisti
Sei morti, otto feriti di cui uno grave e una decina di dispersi è il bilancio provvisorio delle vittime del crollo di un enorme seracco sulla Marmolada. La situazione è in evoluzione. «Abbiamo sentito un rumore forte, tipico di una frana, poi abbiamo visto scendere a forte velocità a valle una specie di valanga composta da neve e ghiaccio e da lì ho capito che qualcosa di grave era successo. Col binocolo da qui si vede la rottura del serracco, è probabile che si stacchi ancora qualcosa». Lo ha detto l’ANSA uno dei responsabili del Rifugio Castiglioni Marmolada, testimone del crollo.
«Il boato, che si è sentito distintamente intorno alle nostre montagne, ci ha fatto capire subito che era successo qualcosa di grave, tant’è che sono subito corso a chiamare i soccorsi», aggiunge la guida alpina.
«Dalla zona del seracco io disto circa 3 km – spiega – e ho visto tutto in diretta. Noi conosciamo bene quella parte di montagna perché come rifugio abbiamo anche una nostra capanna proprio in vetta. Questa tragedia ci colpisce, ma non abbiamo avuto paura per la nostra incolumità perché il rifugio è sicuro». «Detto questo, ripeto mi aspetto che un’altra parte del seracco venga giù per lo scioglimento continuo del ghiacciaio».
Il seracco di ghiaccio che si è staccato dalla cima della Marmolada ha travolto più cordate di escursionisti che stavano salendo in vetta. Secondo una prima ricostruzione del soccorso alpino, il distacco è avvenuto dalla calotta sommitale del ghiacciaio della Marmolada, sotto Punta Rocca, una valanga di neve, ghiaccio e roccia che ha travolto nel suo passaggio anche la via normale dove stavano salendo gli alpinisti. La situazione sulla montagna è ancora a rischio e per evitare nuovi distacchi l’elicottero del Soccorso Alpino di Trento sta provvedendo alla bonifica dell’area con la ‘Daisy Bell’ (un sistema elitrasportato per il distacco programmato delle valanghe, ndr) e scongiurare così il più possibile il pericolo per gli operatori. Sul posto anche gli elicotteri del Suem di Pieve di Cadore, di Dolomiti Emergency di Cortina, di Trento, della Protezione civile della Regione Veneto, dell’Air service center e le stazioni del Soccorso alpino bellunese e trentino. Degli otto feriti al momento recuperati, 2 sono stati trasportati all’ospedale di Belluno, uno, il più grave, in quello di Treviso e 5 in quello di Trento.
Proprio ieri sulla Marmolada era stato raggiunto il record delle temperature, con circa 10 gradi in vetta. Già due anni fa, durante la Carovana dei ghiacciai, Legambiente aveva avvertito di una riduzione del volume maggiore dell’85% avvenuta tra il 1905 ed il 2010 e uno spessore della fronte, passato dai quasi cinquanta metri dell’inizio del secolo scorso ai pochi metri di oggi, segnali che il ghiacciaio della Marmolada sta morendo e lasciano presagire la sua definitiva scomparsa tra 20/30 anni.
La particolare natura di ghiacciaio di pendio fa sì che il corpo glaciale reagisca con estrema rapidità alle piccole mutazioni climatiche, tanto da essere utilizzato come termometro naturale, anche rispetto alle più piccole variazioni di temperatura e precipitazioni.
«I cambiamenti climatici hanno reso più instabile l’alta montagna e i ghiacciai non sono più in equilibrio», dice all’ANSA il glaciologo Massimo Frezzotti, dell’Università Roma Tre. «I seracchi sono il risultato di un processo naturale, ma quando la temperatura diventa troppo elevata il rischio di crolli può aumentare», osserva. Per esempio, il 2 luglio sulla Marmolada era stato raggiunto il record della temperatura più alta, con circa 10 gradi in vetta, e in genere la temperatura media è intorno a 7 gradi. A fornire un indizio importante è inoltre l’isoterma zero, ossia l’altitudine minima nella quale la temperatura raggiunge zero gradi: «attualmente l’isoterma zero sulla Marmolada si trova circa mille metri più in alto rispetto alla vetta più elevata», che è a circa 3.300 metri. Vale a dire che il punto di congelamento è molto più in alto del ghiacciaio. Di conseguenza «la fusione dei ghiacci è significativa, come sta avvenendo su tutte le Alpi», rileva l’esperto. «È chiaro che i crolli avvengono quando i processi di fusione sono più alti e, se pensiamo ai ghiacciai come a fiumi congelati che scendono verso valle, è chiaro che in queste condizioni fare delle escursioni in ambienti simili non è prudente». Il crollo di un seracco, prosegue Frezzotti, «è un pericolo oggettivo che in montagna può sempre accadere, ma ci sono momenti in cui il pericolo aumenta e, con esso, la probabilità di un crollo.
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Una tragedia, dunque, largamente annunciata senza che il tran tran degli amministratori locali e regionali avesse alcun ripensamento: «Sulle Alpi noi osserviamo una perdita enorme di superficie quindi di ghiaccio dei ghiacciai – ha detto Vanda Bonardo, di Legambiente, al termine della Carovana del Cigno verde dello scorso anno, intervistata dai “nostri” Massimo Lauria e Checchino Antonini per conto della tv svizzera RSI.
Aveva spiegato che i calcoli sono stati fatti tra il 1850, cioè alla fine della “piccola glaciazione”, e questi ultimi anni. Tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai hanno perso metà non solo della superficie ma del volume dopodiché le cose non sono migliorate e, tra il ‘75 e il 2000 hanno perso un ulteriore 25% e ancora in questi ultimi anni si parla di una perdita del 10-15% su tutto l’arco alpino in media.
«E’ un trend di lunga durata, coincide con l’inizio della Rivoluzione Industriale, gli effetti li stiamo osservando solo a distanza di alcune decine di anni per cui noi adesso osserviamo quello che è il risultato di quanto è stato immesso in atmosfera 20-30 anni fa – ha avvertito Bonardo – il trend, ahimé, è spaventoso nel senso che si sta osservando un’accelerazione mostruosa di questi fenomeni». Per le montagne, in particolare per le Alpi, l’aumento di temperatura è esattamente il doppio di quello che si registra in altre zone: «abbiamo un aumento di temperatura che è all’incirca di un grado, un grado virgola qualcosa, nelle zone di pianura in media sul pianeta, sulle Alpi siamo sui 2 gradi abbondanti, tutto questo comporta chiaramente la fusione del ghiaccio». Senza contate quella sorta di feedback, una retroazione positiva, che avviene se rimangono libere delle superfici che un tempo erano coperte da ghiaccio, queste superfici rocciose ancora di più si riscaldano velocemente per l’ “effetto albedo”, la capacità di una qualsiasi superficie di riflettere le radiazioni solari e di conseguenza si accelera questo fenomeno di fusione.
C’è anche un altro grande problema di instabilità dell’alta montagna, il permafrost, quel terreno perennemente ghiacciato per cui adesso, spostandosi il limite delle nevi perenni sempre più in alto, questo permafrost si sta ritirando sempre più in alto e questa sorta di collante, questo ghiaccio che teneva unite le rocce, i detriti, diventa acqua per cui abbiamo un aumento dei crolli e delle frane. Una stima del CNR, del luglio scorso, ci racconta di 508 frane tra frane e crolli della montagna che stanno completamente modificando il paesaggio delle nostre cime, delle quote più alte.
Ercole Olmi
3/7/2022 https://www.popoffquotidiano.it
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