Mattadraghismo

Mattadraghismo

La settimana parlamentare quirinalizia induce ad alcune riflessioni che hanno valenza strategica per l’incidenza sugli assetti istituzionali e sociali italiani. La rielezione del presidente Mattarella ha generato un ampio sospiro si sollievo da parte di chi fremeva di fronte ad un mediocre spettacolo di ingovernabilità. Analizziamo, però, alcuni rilevanti problemi aperti. Partiamo, innanzitutto, dalla lettera dell’articolo 85 della Costituzione: ” il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni”. La Costituzione non prevede, quindi, anche se non esclude, un secondo mandato. Anche il costituzionalista Mattarella ha sempre sostenuto questa tesi. Aveva, infatti, in una prima fase ripetutamente rifiutato la proposta di rielezione; accettata, poi, per una superiore “ragion di Stato”. I costituzionalisti si sono divisi sulla conformità alla Costituzione del secondo mandato. Al contrario di Pallante e, parzialmente, di Azzariti, il presidente del Comitato Difesa Costituzione Massimo Villone scrive testualmente:” la Costituzione non pone alcun divieto e sarebbe sbagliato pensare che la mancata previsione sia una disattenzione dei costituenti. Fu una scelta voluta. Lo dimostra la inclusione nel testo originario dell’articolo 88 del semestre bianco, che aveva senso solo assumendo la rielezione come possibile. E non c’è uno “spirito” dei costituenti che indichi il contrario”.

Io ritengo, comunque, che, nell’impianto del sistema costituzionale italiano, quattordici anni di mandato siano eccessivi, sono un inedito istituzionale. Dobbiamo considerare la rielezione di Mattarella una eccezione, quindi. Corriamo il rischio che, dopo l’episodio Napolitano, l’eccezione diventi infausta regola? Credo che occorra vigilanza democratica affinché questo no avvenga. Lo stesso Mattarella aveva parlato di un ulteriore settennato come di una “sgrammaticatura costituzionale”; il presidente della Repubblica non deve diventare un oligarca democratico. Un aspetto di queste elezioni da ricordare è il ruolo più attivo, rispetto al recente passato , assunto dai singoli parlamentari; spesso in contrasto con i dirigenti dei propri partiti. Un positivo sussulto di dignità. Anche se parziale e fievole. Pensiamo al fatto che sono state sconfitte le due autocandidature, che hanno per giorni bloccato il Parlamento: quella grottesca ed improbabile di Berlusconi; e quella di Draghi, che ho sempre contrastato per motivi politici ma anche profondamente costituzionali.

L’elezione di Draghi ci avrebbe fatto scivolare, in maniera confusa e surrettizia, verso una forma di quinta repubblica gollista. Draghi pretendeva, a mio avviso, che le regole costituzionali si adattassero alle sue ambizioni presidenziali. Se fosse stato eletto presidente della Repubblica avrebbe preteso che un altro “tecnico”(di fatto da lui nominato) diventasse presidente del Consiglio. Un governo tecnocratico/oligarchico che avrebbe distrutto la dialettica politica e avrebbe reso la politica ancella dei poteri economici e finanziari. Draghi avrebbe realizzato un iperpresidenzialismo di fatto senza regole, controlli, bilanciamenti. Vi è, poi, un dato fondamentale. L’articolo 87 della Costituzione recita:” Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”. Draghi sarebbe stato, invece, capo di una coalizione, cioè di una maggioranza; un presidente di parte. Aggiungo una osservazione che sembra collaterale ma che, invece, è centrale in una società mediatica e tecnologica in cui la velocità dell’informazione diventa formazione di senso comune e di immaginario collettivo.

Ho visto in azione una perfida campagna mediatica, di stampo tecnocratico/liberista, tesa a screditare , con strumentale disprezzo, l’istituto stesso della democrazia parlamentare. Utilizzando strumentalmente la reale debolezza del sistema politico ( per lo meno trentennale, generato spesso dal sistema elettorale maggioritario) e la profonda crisi della rappresentanza politica, la stampa e i mass media, quasi unanimi, hanno presentato come un vile mercato la ricerca parlamentare del nuovo Presidente della Repubblica. Si è finto, da parte di mass media liberisti, di non comprendere che la democrazia è anche lentezza, è arricchita da confronti, scontri, mediazioni. E’ la legalità costituzionale italiana. Dopo quante elezioni, chiedo provocatoriamente, è stato eletto Pertini, un presidente amatissimo dalle Italiane e Italiani?

Questa campagna mediatica, a mio avviso, tende al fondo a convincere l’opinione pubblica, gli umori profondi della nazione, che è urgente un mutamento radicale della Costituzione. A partire dall’introduzione dell’elezione diretta popolare del Presidente della Repubblica. Sarebbe uno stravolgimento anche di tutta la prima parte della Costituzione, cioè gli articoli che determinano i fondamenti della nostra formazione sociale, dei valori nati dalla Resistenza. A nessuno, infatti, sfugge quali e quanti sarebbero i poteri, anche esecutivi, di un presidente eletto dal popolo. Non agito uno spettro vacuo o solo eventuale. Già le destre, compatte(ma anche settori del centrosinistra e, soprattutto, settori confindustriali), hanno approntato e presentato proposte di legge costituzionali. La Meloni e le destre fonderanno su questo progetto la propria campagna elettorale. Non mi pare che, nel centrosinistra, vi siano antidoti sufficienti, convinzioni forti per opporsi alle destre. La settimana delle elezioni quirinalizie ha evidenziato la profonda crisi del sistema politico. Dovuta certamente all’egemonia esercitata dall’economia, dai processi di accumulazione, dalla formazione delle catene del valore all’interno delle tragiche convulsioni della globalizzazione liberista, che fanno emergere conflitti molto aspri intorno alla competitività: tra aziende, tra macroterritori, tra Stati.

Questo contesto, come protesi istituzionale, ha creato trenta anni di bipolarismo e di sistema maggioritario che hanno dissolto la rappresentanza politica. Non a caso sono entrate in crisi coalizioni formate da forze eterogenee e tra loro competitive, che si sono messe insieme solo per governare o per ragioni di potere. Coalizioni costruitesi solo per accaparrare voti. Questa settimana è stata una lezione severa per i partiti. Occorre, ora, un profondo cambiamento di rotta. Credo sia essenziale discutere molto presto, in Parlamento, una legge proporzionale; una legge che faccia eleggere i parlamentari dalle cittadine e dai cittadini. Prima delle prossime elezioni ; soprattutto dopo la pessima riduzione lineare del numero dei parlamentari.

Solo la proporzionale è, infatti, lo “specchio del paese”, come la chiamava Togliatti. Senza premi di maggioranza, leggi “truffa”, voti “utili”. Dobbiamo ritornare al principio fondativo “una testa, un voto”. Solo la democrazia proporzionale permetterà ai partiti di affrontare la propria crisi. Sollevo un ultimo punto di prospettiva: bisogna approvare, finalmente, la legge attuativa dell’articolo 49 della Costituzione (” tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale “. E occorrerà rivedere la normativa sul finanziamento pubblico dei partiti, distrutto goffamente dal populismo reazionario che ha accentuato gli aspetti predatori e privatistici di partiti di cartapesta.

La democrazia rappresentativa può essere rilanciata solo da una dialettica forte con la democrazia diretta , con l’autogoverno, con l’autorappresentazione popolare. La rielezione di Mattarella, in definitiva, non mi sembra porterà stabilità. Rischia, invece, di portare conservazione. Credo che, per paradosso, vivremo mesi di grande instabilità, scomposizioni e ricomposizioni partitiche. Anche, forse, scissioni di partiti. A me non dispiace l’instabilità. A patto che cresca , nella società, un movimento di massa che dia vita anche ad una nuova forza di sinistra anticapitalista, unitaria e plurale.

Giovanni Russo Spena

resp. PRC Democrazia, Diritti, Istituzioni

3/2/2022 http://www.rifondazione.it

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