RICORDANDO L’ASSASSINIO DI MAURO ROSTAGNO
Essere una gran camurria per la mafia non porta bene. E non solo a Trapani, Se poi sei sempre “peri-peri” e tutti i giorni, attraverso un’emittente locale privata sparli di Cosa Nostra allora non puoi dormire sonni tranquilli. Se addirittura scopri che la mafia ha in mano il potere politico ed economico, ha stretti collegamenti con “braccia potenti” dello Stato ma anche con massoneria, Licio Gelli, Gladio, politici di spicco, appalti e traffici di armi con Paesi in guerra (Libia o Somalia)… E se continui a divulgare le tue scoperte, beh te lo devi aspettare … se non sei proprio ingenuo e Mauro Rostagno politicamente non lo era. Senza dubbio credeva in qualcosa di molto più forte, di intensamente umano e per questo continuava il suo lavoro. In un certo senso incautamente eppure consapevole.
La mafia nella sua organizzazione piramidale non ha al suo interno cretini, incapaci, sprovveduti ma uomini molto astuti, spesso anche intelligenti e da qualche decennio perfino laureati con specializzazioni all’estero e master di qualità. Non porta più la coppola e il fucile a tracolla… ma se tu sei una camurria per lei, è logico che decida che la tua testa deve saltare perchè sei un pericolo per lei, per lo Stato, per la sua economia e la sua “onorabilità”.
Lo si si evince in modo chiarissimo dalle dichiarazioni processuali di Francesco Messina Denaro e di Totò Reina.
Tanto si è scritto di Mauro Rostagno. Ricordiamo l’essenziale: esponente di spicco del movimento del 68, sociologo, giornalista .. da Torino sua città natale, studia a Trento, poi si trasferisce definitivamente in Sicilia , passando per l’India. Sì, è proprio dopo il soggiorno indiano che trova una diversa dimensione spirituale e di di vita quotidiana. In Sicilia è attratto dalle mille contraddizioni di quella terra, come dal fascino del pensiero e dell’operato di Danilo Dolci. Ci rimane e fonda una comunità Saman per ragazzi fragili.
E viene ucciso.
Dopo 31 anni e diverse fasi processuali, sono arrivate (da pochi mesi) le motivazioni della sentenza: incomplete e confuse.
I familiari e gli amici hanno lottato per avere giustizia, per conoscere la verità e azzerare depistaggio delle indagini con la sottovalutazione del delitto ridotto a beghe personali o a vendette di ex militanti di Lotta Continua… escludendo assolutamente la pista politico-mafiosa.
Con l’ultimo processo è stata raggiunta una prima vittoria facendo emergere la mafia come mandante, mentre una volta si negava addirittura che esistesse. Però non ci viene detto che mafia è, cioè delle diverse Mafie esistenti che uccidono i corpi anche per rubare le parole, le idee, i pensieri, i progetti. Una dimostrazione di questo potere mafioso viene dal fatto che in ogni delitto di mafia, dopo che è saltata la testa dei camurriusi, vengono rubate le borse con documenti: vale per i giudici uccisi, per Peppino Impastato, per Rostagno e tanti altri.
Dopo innumerevoli colpi di mitra provenienti da tre punti diversi per ucciderlo, è stato rotto il vetro di un finestrino dell’auto, aperto lo sportello e portata via la borsa con tutti gli appunti e l’agenda. Soltanto una piccola parte rispetto al bottino finale consistente in almeno sei sacchi di carte che fu rastrellato nel suo studio. Del resto chi ha esperienza di perquisizioni sa benissimo come carte , manoscritti, lettere vengano requisiti come materiale prezioso in quanto pericoloso per le idee e informazioni che possono contenere.
Quale verità sul delitto Rostagno?
Non verrà fuori nelle sentenze e nelle aule dei tribunali che il giornalismo d’inchiesta è un colpo al cuore per il potere; che i cervelli pensanti e con una vita coerente sono camurriusi e dunque vanno ammzzati. Infatti, secondo la pubblica accusa, con i suoi servizi, Rostagno avrebbe «svelato il volto nuovo della mafia in città»: il passaggio da organizzazione tradizionale a struttura moderna e dinamica, gli intrecci con i poteri occulti, le nuove alleanze, il controllo del grande giro degli appalti.
Mauro Rostagno come Impastato, De Mauro, Pippo Fava e tanti altri . Soltanto in Sicilia se ne contano nove che come Rostagno si sono accaniti a cercare la verità più scomoda.
E oggi chi può-deve praticare tale ricerca? Teoricamente tutti/e, se non sottostiamo alla consegna del silenzio, se non siamo travolti dalla paura, se riusciamo a capire che la nostra vita personale non è separata dal resto del mondo, se si vince la lotta all’indifferenza…
La pesante eredità di Mauro Rostagno ricade soprattutto sulla funzione moderna del giornalismo. Su questo bisogna riflettere e agire: sulla libertà di informazione che viene attaccata, purtroppo nel silenzio dei più, con la democrazia che silenziosamente scompare nell’ombra. Questa è la storia del presente: bisogna ricominciare da zero (o quasi), riprendersi le parole rubate dai killer della libertà, conoscere bene il territorio e decifrare la realtà.
Vivere non da supereroi ma da persone normali che ritengono il giornalismo una professione non neutra andando oltre la narrazione dei fatti: con la sensibilità e gli strumenti per leggere la società e il mondo. In Sicilia come altrove.
Di questo si sta discutendo in diverse parti, perché il giornalismo abbia, oltre all’informazione, una funzione sociale e culturale, con attenzione al potere del Web, dei social, persino dei muri delle città su cui scrivere… con una fruizione e intelligibilità immediate.
Una scritta di alcuni giovani anarchici a Bologna «l’indifferenza è complicità» mi fa pensare ai piccoli focolai antagonisti sparsi per il Paese, che ignoriamo o sui quali arrivano sbiadite informazioni. Sono realtà locali antagoniste spontanee che si stanno diffondendo (anche in Sicilia) e di cui si sa poco come le due realtà che cito di seguito, cioè ZABBARA con l’omonima radio e «Noi con le valigue di cartone».
Zabarradio è un neologismo – Zabbara è un termine arabo per indicare l’Agave – che nasce in Sicilia con la voglia di comunicare attraverso il linguaggio radiofonico. Zabbaradio dà spazio a tutte/i. «Voci contro l’Indifferenza» è lo slogan che accompagna ogni iniziativa editoriale. e ogni altra loro azione collettiva culturale e politica
«NOI CON LE VALIGIE DI CARTONE» è un gruppo di ispirazione cattolica costituito da adulti disoccupati e da giovani in cerca/attesa di lavoro, che vogliono rimanere in Sicilia e rifiutano di emigrare, simbolicamente con la valigia di cartone che rimanda agli anni 60 e 70. Scendono in piazza per avere il laoro in Sicilia.
Mi consento uno spazio per alcune considerazioni personali su Trapani (e trapanesi) attingendo all’archivio della mia memoria.
Sono nata a Trapani dove ho trascorso l’infanzia e parte della giovinezza per poi trasferirmi con la famiglia a Palermo per gli studi universitari ed emigrare dopo la laurea a Bologna (per lavoro e non solo). Della mia città natale purtroppo si parla soltanto a livello di cronaca nera, implicazioni mafiose, corruzione con un livello di superficialità notevole e ignoranza sul territorio e sugli abitanti. Fra gli stessi trapanesi molti non contrastano tale dinamica che innalza il particolare, l’elemento casuale e contingente a punto di analisi della complessità. Questa sfugge nella conoscenza e nella valutazione oscurando tutto il resto. Spero sia nota a tutti/e la “fortunata” collocazione geografica dell’isola e della città di Trapani in particolare.
Lo sapevano anche i popoli antichi che utilizzavano quella rotta per il trasporto di schiavi e merci. Qualche etno-antropologo ha sostenuto che il mar Mediterraneo è al centro del mondo e siccome la Sicilia al centro del Mediterraneo… quindi il popolo siciliano è al centro del Mondo… Per non parlare di quelli che abitano l’estrema punta di quel pezzo di terra dentro al mare che sono i TRAPANESI. Sono isolani ma non sono delle “isole”. Sono una marmellata di etnie e di culture diverse. Sono quel meticciato che sognano molti bioetnologi, in questa nostra fase storica, per rinvigorire il popolo italiano, frutto della vecchia Europa un po’ decadente. Nonostante le molte contraddizioni presenti penso che i trapanesi siano divisi al loro interno fra chi continua a vivere il ruolo di dominati – ma con il desiderio di un riscatto – e chi pensa di essere fra i dominatori.
Non ripeto quelli che sono luoghi comuni, tipo il senso dell’accoglienza, dell’amicizia, la generosità. Oltre ogni stereotipo quello che sono i migliori trapanesi lo hanno dimostrato nella solidarietà e stima per Rostagno , nelle molteplici iniziative per non dimenticarlo e per celebrarlo con pubblicazioni, targhe a Trapani e in provincia. Al mercato del pesce (ormai luogo storico, impensabile fino a qualche anno fa) è stata affissa una targa di marmo con la scritta piazza Mauro Rostagno ammazzato dalla mafia.
A Trapani sono emersi grandi studiosi del mondo latino e della grecità. Illustri traduttori di Omero, dei tragici greci, di Virgilio, Cicerone, Orazio, Catullo… Il latinista Michele Poma è stato mio docente al liceo: un vero mito, riconosciuto a livello internazionale ma quasi ignorato in Italia. Alcuni giovani, fisici o biologi – con ricerche notevoli soprattutto nell’ambito della biologia marina – sono emigrati negli Stati Uniti dove stanno raggiungendo alti livelli di ricerca e carriera. Ma tutto questo magari rimane un dettaglio mentre io mi pongo da sempre questa domanda: perché gli intellettuali trapanesi non emergono oltre lo stretto di Messina? Probabilmente la risposta va trovata altrove, in tutto quello che fuori dalla Sicilia si dice su di noi, di “lecito e illecito” comunque depistante rispetto alla realtà.
Vale ricordare Socrate: invitava a cercare la VERITA’ ed è stato condannato con l’accusa di corrompere i giovani… come le brillanti operazioni di polizia non sempre brillano di luce propria. Dall’archivio della mia memoria riaffiora la cattura del bandito Giuliano. E il banditismo fu cosa diversa dalla mafia! E’ un atto di ribellione contro il potere costituito tanto da avvolgere il bandito in un alone romantico, da leggenda, e lanciarlo nel mito.
Quando fu catturato Giuliano io avevo meno di dieci anni ma seguivo mia nonna nella lettura dei settimanali che non risparmiavano interviste, storie d’amore e svelamento dei segreti sul RE DI MONTELEPRE … Ovvio che mi ero innamorata di quell’eroe, nascosto in una grotta: raccontava ai giornalisti di «vivere i suoi amori sotto le stelle godendosi la vita con attrici miss e zitelle» e che ero molto attenta ai discorsi degli adulti su di lui. Sempre nella logica che i bambini non ascoltano,un mio zio che era comandante della squadra mobile di Trapani, esausto dopo l’operazione di caccia… raccontò a mio padre (mentre io giocavo) che Giuliano era inafferrabile perché protetto da tutta la popolazione del suo paese e che loro l’avevano fatto ammazzare da Gaspare Pisciotta suo amico fedele, per poi fare la sceneggiata di sparare in alto e fotografare il cadavere già con i segni delle pallottole per informare la stampa.
La verità sulla sua uccisione si è saputa dopo alcuni decenni, e non per merito della polizia di Stato. Verità incontrastata da sempre è invece il culto dei sostenitori del bandito, poi diventato altro… a Montelepre non fanno mai mancare i fiori freschi al suo sepolcro.
Lella Di Marco
23/9/029 www.labottegadelbarbieri.org
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