Medici cubani in soccorso della sanità in Calabria

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REPORT di Pino Scarpelli

Segreteria nazionale di amicizia Italia-Cuba

L’Ambasciatrice di Cuba in Italia Mirta Granda Averhoff con il Presidente della Regione Calabria

Un noto adagio recita che nell’avere un successo automobilistico una metà del merito è del pilota e un’altra metà della macchina.

Lo stesso vale nell’affrontamento delle questioni relative alla salute. Nei percorsi di diagnosi e cura sono necessarie senza alcun dubbio competenze avanzate e specialistiche del personale medico e sanitario tutto, strutture adeguate e funzionali, organizzazione efficiente e ottimamente articolata.
Ma occorrono anche competenze che per i professionisti in camice bianco diventano sempre più indispensabili: le capacità relazionali. Questo è ancora più evidente in società anomiche che hanno perso il senso di comunità ed in cui le difficoltà dovute a povertà e livelli di esclusione crescenti si sommano ad alienazioni e perdite di riferimenti forti, generando inquietudine, angosce, timori.

La comunicazione e l’empatia che si riesce a creare tra il medico e l’ammalato sono fondamentali per il buon esito dell’intervento sanitario e per centrare l’obiettivo complessivo del miglioramento delle condizioni di salute individuali e collettive.

E’ assodato da decenni che ogni modalità comportamentale ha influenza su coloro con cui si entra in contatto: figuriamoci quanto l’approccio relazionale tra medico e paziente sia rilevante. Tutti gli studi più qualificati in proposito affermano chiaramente che il paziente vuole certo essere assistito bene ma parimenti vuole essere acoltato, desidera ricevere attenzione. Questa è la prima aspettativa del paziente. E nella capacità di ascolto si radica immediatamente quel rapporto di fiducia che è fondamentale in questo campo.
E se questo è vero ovunque, immaginiamoci nella nostra terra dove diventa un dato quasi antropologico.

Come diceva Corrado Alvaro, infatti, “il calabrese vuole essere parlato”. E immaginiamoci quando si è preoccupati per le proprie condizionio di salute.

L’apporto che le centinaia di medici cubani presenti in Calabria da oltre due anni sta offrendo alla disastrata sanità regionale è stato enorme. Non solo per i loro indiscussi livelli di conoscenze e professionalità (messe in discussione in maniera subdola e strumentale per appena un attimo solo da qualche mentecatto alla ricerca di visibilità o di perpetuazione del proprio potere di casta), ma pure per la loro meravigliosa capacità comunicativa e relazionale con i nostri e le nostre pazienti. Nonostante fossero in una terra distante migliaia di chilometri dalla loro, nonostante si dovesse interloquire in una lingua differente appresa con rapidità.

Sarà perché provenienti da una terra tropicale e sempre soleggiata, sarà per il loro carattere aperto e dialogante. Sarà perché i medici cubani svolgono in maniera eroica, volontaria e solidaristica missioni in tante aree del Sud del mondo, dove devono operare in condizioni spesso drammatiche sulle tragedie delle guerre, delle carestie, delle epidemie altrove facilmente curabili. Sarà perché il loro sistema pìolitico e sociale mette al primo posto le persone con i loro diritti e al lavoro si va non per fare carriere o quattrini, non per competere sgomitando con gli altri, ma per compporre collettivamente alla crescita del proprio Paese e del suo Popolo.

Del resto, l’apprezzamento in Calabria è stato ed è pressoché unanime. Dal presediente della Regione Occhiuto ai tanti amministratori locali nelle cui comunità questi medici operano alle pazienti e ai pazienti calabresi, il coro è all’unisono: stima e ringraziamento per la loro professionalità e la loro umanità e disponibilità.

Occhiuto proprio qualche giorni fa a “Mattino 5” affermava entusiasticamente “i medici cubani provengono da un sistema eccellente, tra i migliori del mondo. Devo dire che c’è stata una grande soddisfazione tra i pazienti calabresi: chi è curato da questi medici esprime sempre grande apprezzamento per la qualità del loro lavoro. Io li ringrazio”. E qulche mese fa spiegava “i medici cubani sono apprezzati da tutti i loro colleghi, con i quali lavorano in profitto da diversi mesi. E soprattutto sono apprezzati dai pazienti calabresi, così come è documentato in centinaia di inchieste giornalistiche nell’ultimo anno. … Quello che mi è sempre stato a cuore realmente è che questi medici salvassero vite. E ne hanno salvate tante, uomini, donne e anche bambini”.

Il sindaco di Polistena Michele Tripodi, molto amato dalla sua comunità, tocca l’altro aspetto centrale: “La missione dei medici cubani negli ospedali calabresi … è il segno di un ritrovato senso di umanità che la quotidianità dei tempi di vita ha fatto smarrire per strada. Elogi e apprezzamenti di ogni tipo da parte dei nostri concittadini e, al di là dell’indubbia professionalità, una parola comune a tutti: i medici cubani sono umani. La loro educazione, la grande sensibilità verso i pazienti ed il rispetto verso la persona che soffre e richiede assistenza sono qualità che tutti riconoscono, ancor di più perché troppo spesso erano passate in secondo ordine nella nostra sanità, esasperata dai mille problemi che vive“.

E proprio la direttrice sanitaria dell’ospedale di Polistena, la dottoressa Francesca Liotta, ha raccontato al prestigioso giornale inglese ‘The Guardian’, che ha realizzato qualche mese fa un lungo reportage sulla presenza dei medici cubani in Calabria: “Hanno il tipo di entusiasmo che ricordo di aver avuto quando ho iniziato la mia carriera. Lo dico sempre: ci stanno dando ossigeno“.

E loro? I famigerati cubani, cosa dicono? La dottoressa Lianne Gutierrez spiega: “Uno dei principi basilari della medicina cubana è la solidarietà. All’inizio non è statofacilissimo ma poi ci siamo ambientati, con i colleghi italiani lavoriamo bene e i pazienti ci ringraziano sempre. I calabresi sono molto simili a noi cubani”. La dottoressa Dayli Ramos, che come tanti ha appreso l’italiano e ora è alle prese con il dialetto, sorride divertita: “La mia espressione preferita è ‘focu miu’, la sentivo dire da tutti ma all’inizio non capivo il significato. Adesso ho capito che si usa come esclamazione per dire che una cosa non va bene“.

E poi i racconti di una vita in corsia, sempre impegati tra interventi di routine e momenti eccezionali. Indimenticabile, per la dottoressa Alathiel Alexander Perez, che proprio un anno fa salvava una bambina di 7 anni giunta in coma al Pronto Soccorso di Cetraro procedendo all’intubamento senza attendere l’arrivo dell’anestesista e assumendosi una responsabilità pesante: “Era l’unico modo per guadagnare il tempo e salvare la bambina“. E nei reparti nascono anche amicizie e legami tra donne, come quello tra la dottoressa in servizio a Corigliano Damarys Alvarez Zapata e una paziente che ha seguito per tutto il periodo della non facile gravidanza: al compimento dell’evento, per la dottoressa il bambino neonato è diventato immediatamente il suo nipotino italiano.

Storie belle di serietà nel dovere, di solidarietà e umanità, di amore per il proprio lavoro. Storie di quella buona sanità di cui c’è tanto bisogno e che ci piacerebbe ascoltare sempre.

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