Medici di medicina generale e medicina di territorio: un sistema al collasso

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In questo intervento trascurerò volutamente la medicina del territorio per concentrarmi sulla medicina generale. Naturalmente lo farò dal mio punto di vista che è quello di un medico di medicina generale (da ora MMG) che opera in una medicina di gruppo, nello stesso studio, con due colleghe, in un quartiere semicentrale di Milano.
Come premessa consideriamo il fatto che l’assoluta mancanza di controllo dimostrata dalla Regione sulla materia sia la prova del suo disinteresse per la salute dei propri cittadini.
Quando si analizza una categoria di lavoratori, qualsiasi essa sia, troviamo chi opera bene, o per lo meno prova a farlo, e chi no; noi ci occuperemo dei primi.
E’ opinione diffusa e condivisa che la medicina generale debba essere il fulcro del servizio sanitario: il suo carattere di universalità, capillarità, gratuità le assegnano questo privilegio.

Stiamo assistendo però a una progressiva crisi di ruolo e, recentemente, anche di numero, dei MMG.

La crisi di ruolo viene da molto lontano. Senza risalire alla notte dei tempi possiamo però pensare che due fenomeni abbiano contribuito in maniera determinante a questa crisi: il progressivo impoverimento dei servizi territoriali e il cambiamento in atto nella società.

I servizi sociosanitari sui quali il MMG poteva contare per la gestione dei propri assistiti, come consultori, servizi psichiatrici, servizi sociali, medicina scolastica e del lavoro, igiene ambientale, si sono progressivamente svuotati: di personale, di competenze e, in ultimo, di funzione. Dove ancora esistono questi servizi si sono ridotti al lumicino e la medicina specialistica, sotterrata dai tempi biblici delle liste d’attesa, è incapace di dare risposte ai pazienti e di effettuare neanche una parvenza di presa in carico. Gli ospedali d’altronde non se la passano meglio.
Cosicchè il MMG si trova ad operare in un deserto che lo rende sempre meno in grado di rispondere alle esigenze di salute della popolazione. Un deserto in cui, è giusto rimarcarlo, buona parte della categoria si è arroccata, venendo meno allo spirito di servizio che dovrebbe comunque guidare la nostra professione e sottraendosi anche, talvolta, ai compiti minimi richiesti. In tal modo l’intera categoria ha perso quel prestigio e quell’affetto di cui ha lungamente goduto tra la popolazione. Spirito di servizio naturalmente non vuol dire accettare ogni cosa ma non dimenticare che il MMG è medico di sanità pubblica e che prendersi “cura”, nell’antica accezione latina, sta ad indicare sollecitudine, premura, interesse per qualcuno.

E’ riflessione condivisa che la medicina generale non abbia saputo evolversi e stare al passo con i cambiamenti che sono in atto nella società. Certamente.
Però noi non possiamo tacere la natura di questi cambiamenti e in che modo si stiano determinando.
L’incertezza nel futuro, la precarietà del lavoro, l’instabilità economica di un numero sempre maggiore di persone fanno della salute un bene ancor più prezioso di quanto forse non sia stato in un recente passato. Questo bisogno di salute viene però indirizzato su false strade.
Non dimentichiamo che il capitale finanziario privato che opera in sanità si porta a casa in una regione come la Lombardia circa la metà dei fondi destinati al servizio sanitario, a cui si aggiungono le entrate provenienti dalle prestazioni fornite a quelle persone che direttamente, o tramite polizze assicurative, si rivolgono al privato.

Questi enti privati che gestiscono buona parte della sanità hanno un effetto pervasivo nell’indirizzare consumi e creare bisogni, cosicchè il cittadino diventa sempre più spesso un cliente che rischia di confondere il diritto alla salute con il diritto alla prestazione.
A questo si aggiunga la miglior percezione del proprio stato di salute e la naturale e positiva aspettativa di benessere che spesso rifiuta di fare i conti con l’invecchiamento e la morte. Due termini rimossi dal vocabolario collettivo.

Il COVID è arrivato con il suo impatto distruttivo a minare ulteriormente il rapporto medico paziente. Se da un lato il MMG è stato spesso l’unico fondamentale punto di riferimento per i malati non ospedalizzati, la pandemia ha contestualmente svuotato gli studi, frantumato le relazioni, avvalorato l’uso della posta elettronica e del telefono come mezzo privilegiato di comunicazione.

Per quanto concerne invece la crisi di numero i dati sono preoccupanti perché i MMG sono numericamente in progressivo calo, e anche questo è un fenomeno che viene da lontano e non dovrebbe sorprendere nessuno.
Questa carenza provoca una situazione di grande disagio innanzitutto nella popolazione e oggi migliaia di cittadini si vedono privati dell’assistenza sanitaria di base. Stiamo parlando di circa 150 medici in meno nell’area metropolitana milanese e di una previsione di pensionamenti su base nazionale di oltre 30.000 MMG nel prossimo quinquennio.
Le cause sono molteplici: una buona parte dei MMG in attività è in età pensionabile e di fronte a una fatica crescente nello svolgere la professione molti decidono di lasciare, anche anticipatamente. Dall’altro lato scarseggiano le nuove immissioni in ruolo, un po’ perché il lavoro di MMG è oggi considerato poco appetibile, un po’ per la scelta deliberata da parte della Regione di non mettere a bando tutti i posti disponibili.
Ricordiamo che il rapporto ottimale su cui calcolare il fabbisogno è di un MMG ogni mille assistiti e che la soluzione che oggi viene proposta è quella di arrivare a 1500 assistiti per medico e anzi di aumentare questo numero fino a 1800-2000 assistiti per coprire le carenze.
Come se la qualità del lavoro non ne potesse risentire. Dobbiamo anche ricordare che molti medici, neolaureati o ospedalieri in ritirata dalle corsie, non reggono emotivamente e fisicamente il carico di lavoro e abbandonano l’esperienza di MMG dopo pochi mesi di attività.

Ma perché i giovani medici non subentrano a questa generazione di pensionandi?
Alla base c’è un normale problema di numeri: il numero chiuso alla facoltà di medicina limita gli accessi, oltre tutto con una modalità di selezione che privilegia alcune conoscenze a discapito di motivazione e attitudine.
La formazione universitaria è quanto più lontano ci possa essere da un’idea di salute e sanità pubblica e oggi, come in passato in realtà, si privilegia un approccio alla materia scientifica squisitamente specialistica, basata sulle malattie più che sulla persona, che porta già in sè l’idea di un modello di medicina di serie A e di serie B.
La scuola di formazione in medicina generale (corso triennale) non è equiparata ad una formazione di specialistica universitaria. La borsa che viene riconosciuta agli studenti vale circa 400 euro in meno al mese rispetto a quella di chi frequenta i corsi universitari e minore è anche il prestigio.
La burocrazia, che assedia in realtà tutto il Paese, si è fatta asfissiante nei nostri studi erodendo sempre più il tempo da dedicare alla clinica.

Il pericolo derivante da questa situazione è duplice: da un lato un malcontento generalizzato tra i cittadini ai quali sarà poi gioco facile proporre soluzioni alternative, non necessariamente migliori. Dall’altro c’è il rischio concreto di andare incontro a una privatizzazione del settore, ultimo baluardo di sanità pubblica, appaltando a strutture private il servizio di medicina generale con convenzioni che non tengono in nessun conto la qualità dell’assistenza e la formazione del personale. Una specie di servizio a cottimo prestato da giovani medici con un turn over prevedibilmente altissimo e motivazioni scarse. Fenomeno peraltro già estesamente presente nelle corsie d’ospedale, nei Pronto Soccorso, nelle sale operatorie, riempite con i cosiddetti gettonisti.

Quali le risposte possibili a questa situazione critica?

In questo preciso momento la mancanza su tutto il territorio nazionale di MMG rappresenta un’emergenza e va affrontata con provvedimenti urgenti e con misure che dovranno poi essere superate quando i cambiamenti strutturali, uniti a un’attenta programmazione, inizieranno a produrre i loro effetti.
Ecco di seguito alcune proposte che potrebbero consentire di superare in tempi ragionevoli l’emergenza attuale.

Il fabbisogno di MMG da mettere a bando deve essere calcolato su un rapporto medico assistito di 1 a 1000.
Tutti medici attualmente in formazione per diventare MMG devono essere inseriti nelle graduatorie regionali, cosa che già avviene in molte regioni, con l’obbligo di un affiancamento, all’interno di medicine di gruppo già strutturate.
Tutti i medici neolaureati motivati devono avere la possibilità di affiancare per sei/nove mesi un MMG in attività, meglio se questo avviene all’interno di una medicina di gruppo. Dopo questo periodo, se lo vorranno, secondo le necessità dettate dal numero in carenza, i giovani medici potranno proseguire con il lavoro di MMG con un massimale in progressivo aumento, iniziando con 500 assistiti. Essi saranno sempre affiancati da un MMG, all’interno di strutture pubbliche, e avranno un contratto di dipendenza. Dopo i primi sei mesi dall’assunzione, se convinti della scelta, i neoassunti confermeranno il loro incarico, aumentando il numero di assistiti. Continuando il percorso formativo i nuovi MMG firmeranno un contratto che li vincolerà per almeno altri quattro anni. In questo modo i necessari costi per la formazione sarebbero almeno in parte compensati da una reale crescita di qualità di tutto il servizio.

Naturalmente questo è un ragionamento per iniziare un percorso di riforma che deve essere fatto proprio dalla società nel suo complesso e non lasciato esclusivamente ai tecnici.
Ci sono in questa mia proposta alcuni nodi da risolvere, uno per tutti la diversa tipologia di rapporto di lavoro tra neoassunti (dipendenti) e MMG attualmente in servizio (convenzionati). Si verrebbe di fatto a configurare un trattamento normativo diverso a parità di mansione. D’altro canto imporre a tutti i MMG in attività il passaggio ad un rapporto di dipendenza si scontrerebbe in questa fase con il sentire contrario della maggior parte della categoria e aprirebbe un fronte di dissenso di cui non c’è proprio bisogno. In prospettiva il ricambio generazionale sanerà queste differenze contrattuali. Resterebbe comunque la facoltà ai singoli medici di optare per il rapporto di dipendenza.

C’è poi bisogno di aprire una riflessione per avviare in tempi brevi dei cambiamenti strutturali:
Si dovrà lavorare per superare il numero chiuso all’ingresso alla facoltà di medicina. Così concepito, avulso da qualsiasi programmazione, è stato solo di danno. Ci sono varie possibilità e non è questa la sede per esaminarle. Sicuramente la scuola e l’università hanno perso la loro funzione di riequilibrio sociale, economico e culturale e l’accesso limitato alle facoltà ne è una concausa.
Si dovrà rivedere l’aspetto formativo universitario, ridefinendo, insieme agli obiettivi, le materie d’insegnamento, per creare una nuova classe medica motivata e preparata anche sugli aspetti etici e di sanità pubblica.
Il corso di formazione in MMG deve diventare in tempi rapidi un corso di specializzazione universitaria a tutti gli effetti, come già in molti altri Paesi. Tutto questo richiede investimenti adeguati. Del resto investire in formazione dovrebbe essere uno degli obiettivi principali di qualsiasi governo di qualsiasi paese.

PIù difficile appare arginare la crisi di ruolo, anche se molti buoni segnali vengono da gruppi di MMG che, al di fuori delle posizioni sindacali e ordinistiche spesso di retroguardia, hanno cominciato a incontrarsi, confrontarsi e a delineare almeno un percorso di lavoro e riflessione. Non si possono tuttavia tacere le difficoltà di questo cammino, date le inevitabili differenze di sensibilità e di posizioni all’interno della categoria.
Alcune questioni credo siano comunque condivise.
La figura del MMG che lavora da solo è ormai anacronistica.

Il lavoro del futuro, ma già del presente, è in aggregazioni più o meno numerose a seconda dei territori, con personale infermieristico e amministrativo adeguato, inserite in una rete di servizi che va ripristinata e potenziata. Il lavoro in equipe multidisciplinare è la via maestra per consentire a tutti gli operatori di confrontarsi e di migliorare.

A questo proposito le Case di Comunità possono rappresentare un’ottima opportunità, anche per l’inserimento delle nuove leve di MMG. Per il momento i fondi destinati dal PNRR sembrano inghiottiti tutti dalla partita edilizia e, senza una vera partecipazione di operatori e cittadini alla loro progettazione, le Case di Comunità rischiano di restare l’ennesima scatola vuota.
Si impongono una drastica riduzione della burocrazia e una semplificazione delle procedure, innanzi tutto per i cittadini. A questo proposito, bisogna incentivare il sistema dell’autocertificazione, a cominciare dai primi giorni di assenza dal lavoro per malattia.

Servono sistemi informatici agili, che comunichino tra di loro e che siano di sgravio e non di sovraccarico al sistema.
I MMG da parte loro dovranno recuperare quelle funzioni di presa in carico e accompagnamento, senza le quali anche le migliori tecniche diagnostiche e terapeutiche rimangono in qualche misura monche e inefficaci. Funzionale a questo è una riduzione significativa del numero massimo di assistiti per medico e non già un aumento come proposto oggi per arginare la carenza di medici. Chi fa il MMG sa che con questi carichi di lavoro è impossibile prendersi cura in maniera adeguata di 1500 persone. L’idea di aumentare questo numero è insensata e il numero di assistiti massimo per MMG va ridefinito e abbassato progressivamente, riconducendolo gradatamente non sopra le 1300 persone.
Chi opera con scienza e coscienza, come si è abituati a dire, sa anche che il criterio orario minimo di apertura degli studi fissato dalla convenzione in un’ora settimanale ogni 100 assistiti è ridicolo e non è sostenibile neanche sulla carta.

Non dobbiamo poi dimenticare che siamo all’interno di una realtà nella quale il privato la fa da padrone, culturalmente prima ancora che economicamente.
Si dovrà far comprendere ai cittadini che la sanità pubblica, a differenza della sanità privata, rappresenta per tutti la possibilità di ricevere, nel momento del bisogno, cure anche molto costose (pensiamo per esempio alle recenti innovazioni delle terapie antitumorali) che poche tasche potrebbero permettersi e di fare una vera prevenzione che copra tutti gli ambiti di vita e di lavoro.

Il sistema assicurativo è la negazione di tutto ciò: è un sistema rivolto fondamentalmente alle persone sane (persone anziane e malate vengono progressivamente scaricate) che produce falsa prevenzione inducendo inutili richieste di prestazioni, allungando le liste d’attesa per visite ed esami. E’un sistema che assurdamente riceve finanziamenti pubblici attraverso la detassazione e gli sgravi fiscali e che è evidentemente di ostacolo alla piena realizzazione di un servizio sanitario efficiente ed efficace per tutti.

Gli interessi della popolazione, degli operatori sanitari e della sanità pubblica sono palesemente convergenti nel garantire a tutti un buono stato di salute.
E’ compito di ognuno adoperarsi per rimuovere quegli ostacoli, organizzativi, economici, culturali che sono di impedimento alla loro realizzazione.

Maurizio Bardi

Medico di medicina generale Milano

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