Metalmeccanici a Roma il 18 ottobre, per salvare l’industria dell’auto

I tre sindacati di categoria hanno deciso di tornare a scioperare insieme. Per i segretari di Fiom, Fim e Uilm la posta in gioco oggi è troppo importante. Intanto la crisi di Stellantis si approfondisce e sono sempre più pesanti gli effetti della crisi Volkswagen sulla componentistica delle regioni del Nord

I sindacati dei metalmeccanici, Fiom, Fim e Uilm, hanno preso una decisione storica: tornare a scioperare insieme. L’obiettivo è quello di tentare di contrastare la crisi del settore dell’auto e dei veicoli industriali. La data è stata annunciata durante una conferenza stampa dei tre segretari generali, Michele De Palma (Fiom Cgil), Ferdinando Uliano (Fim Cisl) e Rocco Palombella (Uilm). Dopo anni di divisioni e di accordi separati, e di una sorta di guerra fratricida durante tutto il lungo periodo berlusconiano, ora i sindacati dei metalmeccanici tornano a lottare insieme. La crisi è troppo grave e troppo forti sono le forze che si oppongono alla difesa dei diritti dei lavoratori. L’unica strada è stare insieme.

È stato questo il messaggio dei tre dirigenti sindacali durante l’incontro con i giornalisti che si è svolto in una sede storica, quella di corso Trieste a Roma, negli stessi uffici che avevano ospitato una delle esperienze più importanti del sindacalismo italiano: la Flm unitaria, la Federazione lavoratori metalmeccanici, che fu capace di rappresentare tutti gli operai e gli impiegati sotto un’unica bandiera. Un modello di sindacato che non si è più ripetuto dopo quei “gloriosi” anni Settanta. La Flm nacque nel 1973, ma l’unità dei tre sindacati era stata già costruita negli anni Sessanta, con le lotte che avevano dato vita a quello che fu definito “l’autunno caldo” del 1969 e che determinò la conquista dello Statuto dei lavoratori e di molte riforme in grado di allargare i diritti in vari settori, a partire dalla sanità pubblica. Poi ci fu la marcia dei quadri Fiat, negli anni Ottanta, con cui cominciava un’altra storia. I tre sindacati dei metalmeccanici organizzarono il loro ultimo sciopero unitario nel febbraio del 1994. Da allora più nessuna iniziativa unitaria. Per questo assume un’importanza particolare la data dello sciopero unitario: il 18 ottobre, otto ore di blocco della produzione e manifestazione nazionale a Roma, in piazza del Popolo.

Le grandi trasformazioni economiche e politiche hanno cambiato totalmente il quadro durante una crisi che molti storici fanno risalire proprio alla famosa marcia dei quarantamila a Torino contro gli scioperi e le lotte operaie. La suggestione è forte, perché la marcia dei quadri della Fiat a Torino venne organizzata il 14 ottobre 1980. Ora i sindacati metalmeccanici chiamano i lavoratori alla mobilitazione e organizzano pullman e treni per arrivare a Roma, il 18 ottobre prossimo. “È il momento dell’unione, insieme alle lavoratrici e ai lavoratori, scioperiamo per difendere il lavoro e il nostro futuro – dichiara Michele Palma, segretario generale della Fiom –, l’Europa, il governo e Stellantis devono darci delle risposte. A Bruxelles e a Roma chiediamo un pacchetto straordinario di risorse per sostenere la transizione del settore attraverso investimenti in ricerca, sviluppo, progettazione, ammortizzatori sociali, formazione, riduzione dell’orario di lavoro, batterie e infrastrutture di ricarica. Questi investimenti pubblici devono vedere la partecipazione dei privati e dovranno essere concessi esclusivamente alle aziende che garantiscono l’occupazione e il futuro degli stabilimenti. Questa è la politica industriale che chiediamo”.

Non sappiamo che cosa potrà produrre sulle controparti indicate da De Palma la mobilitazione nazionale unitaria di ottobre. Ma è certa la gravità della situazione. Il settore dell’automotive italiano deve affrontare una doppia crisi. Da una parte, c’è l’azienda produttrice più importante, erede della Fiat, Stellantis, che non riesce a vendere i suoi modelli in Italia, Europa e Stati Uniti: non sembra infatti avere le capacità tecnologiche per affrontare la grande transizione, e continua a far registrare un crollo delle immatricolazioni; dall’altra, ci sono gli effetti a cascata della crisi del settore automobilistico tedesco, a partire dalla Volkswagen, con cui l’industria italiana della componentistica ha un legame strettissimo. “Noi non abbiamo ancora dati precisi sugli effetti in Italia della crisi delle industrie automobilistiche tedesche. Ci sono analisi che circolano, ma noi non vogliamo diffondere dati non certificati (alcuni quotidiani hanno parlato di settantamila posti a rischio, ndr) – ci spiega Samuele Lodi, responsabile del settore automotive della Fiom Cgil –, abbiamo però una notizia certa ed è quella che riguarda l’aumento delle ore di cassa integrazione in tutte le aziende italiane che lavorano per quelle tedesche. Le richieste di Cig stanno aumentando continuamente, e questo è un chiaro segnale dei vari stop delle fabbriche in Germania. Ovviamente, le regioni che sono più interessate sono quelle che hanno rapporti diretti con la Germania: la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna”.

La battaglia dei sindacati è dunque molto difficile proprio perché c’è la necessità di contrastare e superare questa doppia crisi, e perché è necessario avere una interlocuzione diretta con l’Europa. Non a caso i sindacati invocano una politica industriale europea, anche perché dagli altri due soggetti, Stellantis e il governo, pare che ci sia per ora solo una certa confusione sul futuro e un conflitto sulle strategie da adottare. Si era parlato di riportare la produzione di automobili a un milione di veicoli l’anno, mentre gli ultimi dati parlano di una produzione di trecentomila unità scarse.

Il problema poi si complica perché non si tratta di replicare (e non sarebbe neppure possibile) vecchi schemi del passato. Non si tratta solo di numeri. In gioco c’è la transizione, ovvero una trasformazione radicale del modo di costruzione di modelli che superino il motore tradizionale. Ma è proprio sull’elettrico che i ritardi delle industrie italiane ed europee si fanno palesi. “Noi appoggiamo la transizione ecologica”, ribadiscono Fiom, Fim e Uilm. “Non si può tornare indietro con l’elettrico, perché gli investimenti dei grandi gruppi sono già stati fatti e il contraccolpo sarebbe uguale – ha spiegato il segretario della Fim, Uliano –, serve invece trovare un equilibrio fra obiettivi della neutralità tecnologica sulle emissioni di Co2 e i contraccolpi sociali sul calo delle produzioni”. Anche per la Uilm la situazione è drammatica. Il segretario generale Rocco Palombella ha parlato di “uno scontro tra governo e Stellantis e si va verso un disastro all’interno degli stabilimenti”.

Paolo Andruccioli

27/9/2024 https://www.terzogiornale.it/

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