Migranti. Oltre il Mediterraneo
Ci sono altri mari d’Europa in cui si muore per attraversare i confini: come all’isola di Mayotte, dipartimento francese tra Mozambico e Madagascar
Mayotte è un’isola di appena 370 km² situata tra Mozambico e Madagascar, dove arriviamo senza bisogno di passaporto né di cambio valuta, essendo questo il 101esimo Dipartimento francese. Apparsa in questi giorni sulla stampa italiana a causa del violento ciclone Chido che l’ha colpita nella notte tra il 13 e il 14 dicembre, l’isola fa parte da un punto di vista storico e geografico dell’arcipelago delle Comore, ma è a tutti gli effetti suolo francese e regione ultraperiferica d’Europa. Dei 5 Dipartimenti francesi d’Oltremare (Drom), Mayotte è il più piccolo e il più povero. Qui vivono circa 320.900 persone: tra queste, un abitante su due ha meno di 18 anni e non ha la cittadinanza francese. Nel 2017, il 38% delle case dell’isola era costruito in lamiera e si trovava perlopiù nelle cosiddette bidonville, molte delle quali senza accesso diretto all’acqua e alla rete elettrica enella maggior parte dei casi abitateda migranti irregolarizzati. Questo è anche uno dei motivi per cui, al momento, è difficile contare le vittime della devastazione causata dal ciclone.
Le sue frontiere non sono a oggi riconosciute né dall’Onu né dalle Comore; quando però arriviamo sull’isola a giugno 2024, ad accoglierci in place de la République troviamo un cartello a strisce bianche rosse e blu: «Mayotte è francese e lo resterà per sempre».
I maoresi si dicono infatti orgogliosamente francesi e non africani, differenziandosi anche dai loro vicini comoriani, nonostante con essi condividano lingua, religione e storia. Da parte loro, le istituzioni negli anni hanno cavalcato l’onda di razzismo contro le persone che dal resto dell’arcipelago migrano a Mayotte, a cui si aggiungono i richiedenti asilo provenienti dall’Africa dei Grandi laghi.
Nei giorni della nostra permanenza sull’isola, in Francia, e quindi anche a Mayotte, si vota per le elezioni anticipate indette da Macron. Qui la vittoria della destra non è una sorpresa: nelle due circoscrizioni dell’isola vincono a pieni voti Estelle Youssouffa del partito Udi e Anchya Bamana del Rassemblement National, due deputate di estrema destra.
E infatti a causa dell’inasprimento delle politiche migratorie, in métropole come a Mayotte, sempre più persone si vedono costrette ad arrivare sull’isola con i kwassa-kwassa, leggere piroghe in legno non adatte alla navigazione in alto mare.
Di recente, nella notte tra il 1 e il 2 novembre 2024, almeno 25 persone, come dichiarato dall’Oim Comores, sono morte in un naufragio nel tratto di mare che separa Anjouan, la più vicina delle tre isole comoriane, e Mayotte. Secondo i cinque sopravvissuti, l’imbarcazione trasportava all’incirca trenta persone. Nei tre mesi precedenti, almeno altri due naufragi hanno avuto luogo in quel tratto di mare, lungo appena 70 chilometri. L’unico rapporto del Senato stima che in quell’area, tra il 1995 e il 2012, siano scomparse dalle 7.000 alle 12.000 persone. Da quel momento in poi non sappiamo quante persone siano morte in mare nel tentativo di arrivare a Mayotte: a differenza del Mediterraneo, non esiste alcun conteggio dei decessi o dei naufragi. Sappiamo però che nel periodo 2012-2017 sono arrivate nel dipartimento francese 32.500 persone, un numero di arrivi dieci volte più elevato rispetto al periodo 2007-2012.
Chi sopravvive alla traversata rischia comunque di subire espulsioni o rimpatri, che il più delle volte avvengono in maniera irregolare se non totalmente arbitraria. Nel 2019 sono state espulse 23.158 persone, circa il 10% della popolazione, e nel Cra (Céntre de rétention administrative) di Mayotte, l’equivalente dei nostri Cpr, erano trattenuti 26.904 individui. Nello stesso anno, i migranti trattenuti nei Cra dell’intera Francia metropolitana erano 24.149.
A. è tra questi: ha 20 anni e ha sempre vissuto a M’Gombani, quartiere nel centro di Mamoudzou. Circa tre mesi prima la Paf, la polizia di frontiera, l’ha arrestato mentre faceva la spesa, l’ha condotto al Cra e poi, senza fare alcun accertamento, l’ha deportato ad Anjouan.
Lo incontriamo per strada, seduto su una vecchia poltrona, con lui una decina di ragazzi di età diverse. «Sono tornato nemmeno tre mesi fa. […] Mi hanno preso mentre ero alla boulangerie, hanno preso me, non so nemmeno perché. […] Mi hanno portato al Cra, mia mamma non ha neanche avuto il tempo di inviare la mia pratica. Ho detto loro che mia madre aveva già inviato tutto ma mi avevano già messo nella lista passeggeri. Ho protestato ma volevano picchiarmi, e allora li ho lasciati fare». E così A. si è ritrovato ad Anjouan senza telefono né soldi: «non avevo nessuno lì, non sono anjouanais», dice. Riesce a ripartire per Mayotte dopo due giorni. I «bracconieri», come li chiama, lo lasciano su un’isoletta a nord di Mayotte dove rimane altri due giorni, senza cibo né acqua: «c’erano soltanto delle arance e le ho mangiate, ho persino bevuto acqua di mare». Poi, per altri 200 euro, cifra altissima per l’isola, lo trasportano in kwassa kwassa a Mayotte. Gli altri ragazzi lo prendono in giro: «è tornato col jet privato». Lui ride, ma ha gli occhi tristi quando dice «non è normale quello che mi hanno fatto». Considerati i rischi, A. è stato fortunato. Dall’altra parte dell’isola, nel comune di Mirereni, incontriamo G., 23 anni: vive nella bidonville di Chajou.
Ci racconta di un suo amico con voce triste: «Era nato qui a Mayotte, la Paf dopo che ha finito gli studi l’ha preso e l’ha spedito alle Comore. È morto lì, per strada». Nemmeno una donna con figli piccoli è al sicuro: a Mirereni lo sdegno per un fatto accaduto poco tempo prima è ancora vivo. «Hanno preso una mamma con un figlio – ci raccontano – hanno lasciato il bambino e hanno preso la mamma. È rimasto lì per terra in mezzo alla strada, piangeva, non aveva nemmeno due mesi».
Lo stesso tratto di mare è attraversato dai richiedenti asilo provenienti dall’Africa dei grandi laghi. B. viene da Goma, in Congo. Scappato per sfuggire alla morte con la figlia di 15 anni, arriva in Tanzania dopo due settimane di cammino nella foresta. «In Tanzania facevamo qualsiasi lavoro, […] non era una vita dignitosa. Non avevamo documenti. Io lavoravo in un ristorante e ci dormivo anche. Non potevo uscire. Ma c’erano questi clienti comoriani, molti comoriani fanno i commercianti, […] fanno i loro affari lì in Tanzania e mi hanno offerto di partire, dicendo che a Mayotte sarei stato bene, perché lì parlavano francese». Così parte per Dar El Salaam e da lì si imbarca con la figlia: «quattro giorni di viaggio, senza cibo né acqua, sotto la pioggia, ma era la vita o la morte». «Arrivati vicino alle Comore, hanno gettato in acqua i kwassa-kwassa e ci hanno fatto saltare dalla barca. […] Se salti male, resti in mare. In kwassa-kwassa siamo arrivati a Mayotte. La polizia ci ha fermati in mare e poi ci ha portato in prigione per identificarci, e lì finalmente ci hanno dato da mangiare». B. è partito per salvare sé stesso e la figlia dalle violenze, senza un piano preciso: «Quando sono salito sulla barca a Dar Es Salaam mi sono ritrovato in mezzo ad altri congolesi che andavano alle Comore, ma non sapevo niente di Mayotte, non sapevo che era Francia qui». Come molti altri richiedenti asilo, si è ritrovato a dormire in strada con sua figlia, in attesa di un alloggio.
La volontà della Francia sembra essere quella di evitare che un numero crescente di migranti e di richiedenti asilo arrivi a Mayotte e in un secondo momento in Francia. A questo si devono le rigidissime politiche migratorie che impediscono di arrivare in modo sicuro sull’isola, nonché i permessi di soggiorno «territoriali» che non permettono di lasciare Mayotte e spostarsi tra i dipartimenti e in Europa; infine, la mancata applicazione del droit du sol, che costringe le persone all’irregolarità e nega loro la cittadinanza francese, anche quando nate a Mayotte. Tali politiche incoraggiano il razzismo dei maoresi verso i comoriani e consolidano un sentimento di appartenenza – «noi siamo francesi, loro africani» – che rinforza il potere coloniale e scoraggia eventuali istanze indipendentiste, sulle quali graverebbe il sostegno del governo autoritario di Assoumani, fortemente osteggiato dai maoresi, e di grandi paesi come Russia, India e Cina, il cui interesse nel contrastare il controllo francese in questo tratto di Oceano indiano è ormai noto.
Al di là dei conflitti politici su larga scala, il contesto maorese mostra in modo drammatico come la categoria di «francese/europeo» non possa che declinarsi in termini di dominio e superiorità; e come l’Europa, intenta a ridurre la libertà di movimento degli individui, si configuri in modo inevitabile come frontiera e morte.
Aura Galdieri è laureata in Italianistica e si occupa di editoria e narrativa. Collabora con diversi giornali locali in Campania. Ha iniziato a occuparsi di politica francese dopo un periodo di lavoro in Francia come insegnante in una scuola media. Marianna Ragone è dottoranda in sociologia all’Università di Roma Tre. Si occupa di produzione coloniale dello spazio, città, migrazioni e razzismo. Attualmente le sue ricerche si concentrano su un quartiere della città di Marsiglia.
21/12/2024 https://jacobinitalia.it/
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