Migranti: Presentato un esposto che accusa l’Unione europea e gli Stati membri di «crimini contro l’umanità»
Lo scorso mese di giugno è stato presentato alla Corte penale internazionale (Cpi) un esposto che accusa l’Unione europea e gli Stati membri di «crimini contro l’umanità» per le politiche migratorie che hanno causato migliaia di morti in mare e respingimenti in Libia.
La responsabilità europea nelle morti è dimostrata in un documento di 242 pagine che analizza ogni scelta, decisione, dichiarazione pubblica dei funzionari e dei politici dei Paesi membri e delle istituzioni comunitarie. Al cuore della denuncia, che prende in esame il periodo dal 2014 ad oggi, la consapevolezza delle autorità italiane e europee nella creazione di quella che è la «rotta migratoria più mortale del mondo» e delle conseguenze letali dei respingimenti sistematici dei migranti in Libia. I reati ipotizzati riguardano l’«omissione di soccorso» – l’Ue non avrebbe intenzionalmente salvato i migranti in difficoltà in mare per scoraggiare gli altri, nella consapevolezza del crescente numero di morti a seguito del passaggio dall’operazione «Mare nostrum» a «Triton» (2014-2016): quasi 20.000 morti; e «crimini per procura» – dopo che le navi delle Ong sono intervenute salvando i migranti e sbarcandoli in Europa, l’Ue ha delegato alla sedicente Guardia costiera libica l’intercettazione e il refoulement dei migranti nei campi libici, commettendo – secondo gli autori dell’esposto – crimini contro l’umanità di persecuzione, deportazione, detenzione, schiavitù, stupro, tortura e altri atti inumani (2016-2019): 50.000 i civili respinti in Libia.
In particolare, vengono chiamati in causa i Paesi che hanno svolto un ruolo cruciale nella definizione della politica europea sulla migrazione, cioè Italia, Germania e Francia. Tra i nomi che compaiono negli atti d’accusa ci sono quelli dei primi ministri Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron e Angela Merkel. Ma anche quelli degli ex ministri dell’Interno Marco Minniti e Matteo Salvini. Ora l’ufficio della procura dell’Aia dovrà decidere se acquisire la denuncia, un primo passo che potrebbe portare all’apertura di una inchiesta.
Tra gli avvocati che hanno preparato il caso ci sono l’esperto di diritto internazionale dell’Istituto di studi politici di Parigi, Omer Shatz, a cui il manifesto ha rivolto alcune domande, e l’avvocato franco-spagnolo Juan Branco, consigliere di WikiLeaks. I due esperti discutono oggi della loro tesi alle ore 14.30 all’Università Europea di Firenze (School of Transnational Governance).
Avvocato Shatz, che esito prevede potrà avere il vostro esposto alla Cpi?
Il risultato non potrebbe essere più certo. Legalmente non esiste uno scenario in cui funzionari dell’Ue e degli Stati membri non possano essere processati per i crimini contro l’umanità commessi in Libia e nel Mediterraneo centrale. Se la Corte continuerà ad indagare per gli stessi crimini solo gli attori africani, lasciando ai loro omologhi europei piena impunità, sarà per sempre percepita come uno strumento colonialista e un tribunale parziale. Quindi, in un certo senso, la Cpi deve scegliere se sacrificarsi per salvare l’Ue: una scelta difficile, visto che l’Ue è il principale finanziatore e sostenitore della Corte.
Che conseguenze può avere la scelta della procuratrice Fatou Bensouda di indagare solo sui crimini commessi nei centri di detenzione contro migranti e rifugiati e di perseguire solo i trafficanti di esseri umani ed alcuni esponenti libici coinvolti nel traffico?
La procuratrice sta indagando solo 3 o 4 individui, che non sono i principali responsabili, e tutti africani. Poiché la corte ha completamente fallito in otto anni di indagini, ha rinviato i suoi poteri ai singoli Stati che non hanno interesse a indagare su questi crimini; perché i governi – libici ed europei – sono i principali trafficanti di esseri umani. Infine, la Cpi ha condiviso le sue prove e informazioni-chiave con i principali sospettati, contaminando l’intera indagine.
L’Italia ha appena rinnovato gli accordi con la cosiddetta guardia costiera libica, l’Ue prosegue la propaganda, l’inchiesta della Cpi evita di perseguire i più alti rappresentanti dell’Italia e della Ue… Come pensate di rompere questa impunità?
Al di là delle gravi implicazioni sulla legittimità e la credibilità di questo tribunale, se la Cpi non vuole andare avanti con le indagini sugli attori dell’Ue noi procederemo con l’azione penale nei tribunali nazionali sulla base della giurisdizione universale. Prima o poi, alla Cpi o altrove, ci sarà un secondo tribunale di Norimberga, perché per la prima volta dalla seconda guerra mondiale l’Europa è direttamente implicata in crimini contro l’umanità.
Il cuore della vostra tesi è che i politici europei avessero piena consapevolezza dei loro atti e delle loro conseguenze, sia nella creazione della «rotta migratoria più letale del mondo», sia dei crimini perpetrati nei campi di prigionia in Libia.
Stiamo assistendo a due fenomeni sorprendenti: il primo è il modo in cui l’Europa ha inventato dal nulla, con la disumanizzazione e la reificazione dei «migranti», una categoria fittizia di civili, solo allo scopo di colpirli. Ciò che è iniziato con la discriminazione e la criminalizzazione, è diventato poi rigetto e in ultima analisi sterminio. Questa deriva è accaduta a piccoli passi, così il processo per il quale siamo arrivati a tollerare il massacro sistematico di 20.000 bambini, donne e uomini, e il trasferimento forzato e la schiavitù di 50.000 sopravvissuti nei campi di concentramento, è quasi «invisibile». Il secondo fatto, è che descriviamo tutto questo come una «tragedia» o disastro naturale, mentre si tratta in realtà, in modo innegabile, di una decisione consapevole: una politica intenzionale, attentamente calcolata e pianificata con cura.
Parliamo dei rappresentanti al più alto livello europeo, tra cui Commissionari Ue, direttori di Frontex, ex ministri dell’Interno come Marco Minniti e Matteo Salvini? Psicologicamente abbiamo difficoltà a percepire che l’Ue, una democrazia liberale, sia implicata in atroci crimini.
Sono totalmente d’accordo. In risposta al nostro caso, la Commissione europea ha dichiarato che il suo «obiettivo primario è quello di salvare vite nel Mediterraneo»; ma se questo fosse vero, perché allora impediscono alle Ong di salvare vite in mare? Perché criminalizzano coloro che agiscono sulla base del diritto internazionale? Hanno anche detto che i campi in Libia devono essere chiusi e i sopravvissuti evacuati. Ma se fosse vero, perché continuano a rimandarci ogni giorno centinaia di persone?
Con il suo collega Juan Branco ha letto migliaia di pagine di rapporti, fonti diplomatiche, documenti interni della Commissione europea, di Frontex: quale idea vi siete fatta della catena di comando dell’Unione europea?
L’Ue è un apparato di potere molto burocratico, dove ogni parte del puzzle può razionalizzare al massimo il proprio processo decisionale. La dissonanza dell’Ue tra il suo discorso e la pratica è orwelliana, mentre si è arresa de facto alle teorie di destra populista sulla presunta «sostituzione etnica». L’Ue paga le milizie libiche per eseguire i crimini che non può commettere da sola, ad esempio il respingimento e l’internamento nei campi di concentramento; mentre paga anche l’Unhcr e l’Iom per mantenere in vita i sopravvissuti e fargli accettare di tornare nei loro Paesi; l’Unione europea finanzia l’operazione Sophia per addestrare le milizie libiche e gestire i droni per monitorare il refoulement. Abbiamo quindi a che fare con un apparato di potere molto sofisticato, che utilizza mezzi materiali, finanziari, tecnologici e simbolici per razionalizzare al massimo le proprie azioni illecite, tenerle lontane dall’attenzione pubblica ed evitare le proprie responsabilità.
Infatti, dal cuore della civiltà occidentale, rimandiamo esseri umani in campi paragonabili ai Lager…. Siamo di fronte ad una chiara svolta storica: qual è il peso morale per tutti noi, cittadini di uno spazio politico dove sono commessi tali crimini?
Ci siamo purtroppo abituati al modo in cui viene definita la popolazione bersaglio: i migranti come gruppo sono una invenzione degli ultimi anni. Prima parlavamo di “immigrati” o “emigranti”. A differenza degli Ebrei, Bosniaci, Uiguri, Yazidi, e Rohingya c’è poco di comune tra i membri di questo gruppo «migrante», a parte la loro caratteristica di essere in movimento: provengono da diverse nazionalità, religioni, culture e contesti socioeconomici, le loro motivazioni per il transito sono diverse. L’unico elemento comune per perseguitarli è il loro desiderio di fuggire da un’area di conflitto armato. Come scriveva Saviano, c’è una guerra tranquilla nel Mediterraneo. Ma il nemico di questa guerra non sono Stati o combattenti, ma civili vulnerabili che preferiscono «suicidarsi» in mare per non soffrire ulteriormente nei campi. Sono nato sulle rive del Mediterraneo e come padre di un bambino penso ogni giorno a come si sia trasformato questo bellissimo Mare nostrum, nel più grande cimitero del mondo, pieno di bambini morti di cui non conosceremo mai il nome. Il male radicale o banale forse significa proprio questo: non riuscire a capire come una «cortese» Unione europea, sia coinvolta in un’impresa così letale. L’ironia è che costruendo muri per proteggere i valori dell’Europa – la nozione liberale di diritto dell’uomo, i principi dei diritti umani – essi stessi vengano distrutti in modo irreversibile. Non c’è mai stata una «crisi migratoria» ma una «crisi esistenziale dell’Europa».
26/11/2019 ilmanifesto.it
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