Mimmo Lucano: scarcerare la memoria per liberare il presente
L’arresto di Mimmo Lucano, sindaco del comune di Riace, rappresenta lo sconcertante (seppur momentaneo) epilogo di una autentica campagna di criminalizzazione e denigrazione condotta, in una inquietante continuità, dapprima dal precedente ministro dell’Interno Minniti (tramite il locale Ufficio territoriale del governo) e ora dal suo ineffabile successore.
Da una accusa iniziale —per come nota attraverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare e il “comunicato stampa” della Procura di Locri— di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti tra cui concussione, malversazione, truffa in danno dello Stato (sic!!!), demolita pressoché integralmente dal Gip, si perviene all’applicazione della misura degli arresti domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (che consisterebbe nell’avere avallato un paio di matrimoni tra cittadini di Riace ed immigrate, affinché queste venissero risparmiate dall’espulsione dal territorio nazionale) e per l’affidamento del servizio di raccolta rifiuti, “in forzatura” delle ordinarie procedure, a due cooperative composte da riacesi e da rifugiati.
Dunque, l’uomo simbolo di un modello di accoglienza e integrazione, al punto di essere inserito, al quarantesimo posto, tra le cinquanta persone più influenti a livello mondiale e di ottenere la prima pagina di Fortune, che da tre mandati ha attuato un sistema che ha consentito anche la rinascita di Riace, rianimata dalla presenza degli immigrati vede compressa la sua libertà personale affinché non possa tornare a commettere questi gravissimi reati.
È allora il caso di dire che questo provvedimento non convince; anzi, come è stato già detto, sconcerta e indigna. Esso rappresenta, in uno, la massima affermazione del formalismo giuridico più deleterio e —chissà quanto inconsapevolmente— un segnale, un avvertimento, certo affatto differente da quelli tipici della criminalità locale che in Lucano ha sempre trovato uno strenuo antagonista, ma comunque grave.
È la sua opera meritoria, che andrebbe assunta a livello nazionale, a essere colpita con il suo arresto, prima ancora che la sua immagine.
Un’inchiesta che va a braccetto con la criminalizzazione delle navi delle Ong impegnate nel salvataggio dei naufraghi e la cui assenza dal Mediterraneo sta contribuendo all’aumento impressionante dei morti in mare.
Un provvedimento cautelare abnorme, fondato esclusivamente sul pericolo che nell’esercizio delle sue funzioni e in pendenza del procedimento, il sindaco sposi altre/i cittadini etiopi e assegni “forzatamente” gli appalti (tutt’altro che consistenti) del comune di Riace. “Pericolo” che in realtà non ha un plausibile riscontro logico. Perché anche ammesso che Lucano avrebbe reagito alla comunicazione di reato con atti di disobbedienza civile, questi, per loro stessa natura manifesti, sarebbero stati subito verificabili e contestabili.
Ma evidentemente, come detto, occorreva lanciare un avvertimento. Diciotto mesi di indagine, con gli atti del Comune setacciati senza sosta, intercettazioni a tappeto e una montagna di capi d’imputazione da maxiprocesso hanno partorito un topolino comunque pericoloso. Perché quando l’accoglienza umanitaria e l’integrazione diventano delitti da perseguire più tenacemente dei crimini mafiosi, dell’evasione fiscale, della frode in contributi elettorali, significa che si vuole attribuire primaria importanza all’obiettivo “reato di solidarietà”. Un reato già ritenuto estraneo da altre giurisdizioni —in specie, quella francese— alla cultura europea, in quanto «incompatibile con il principio di fraternità che, così come la libertà e l’uguaglianza, è un caposaldo del sistema costituzionale e non può soccombere nel bilanciamento con la salvaguardia dell’ordine pubblico» (Conseil consitutionel, arrêt 6.6.2018).
Quando l’accoglienza, come nel caso di Riace, non è solo passivizzante, ma finalizzata a cercare sbocchi occupazionali, investimenti, recupero degli edifici in rovina, coinvolgimento della cittadinanza tutta e piccola imprenditoria, occorrerebbe adattare le norme al modello, visto che questo funziona. Ma per qualcuno è più comodo contestare le eventuali infrazioni, magari anche ipotizzando (qui sì, forzatamente!) dei reati. Anche gravi. Anzi: meglio se gravi.
La memoria corre allora ad un altro sindaco, il più giovane all’epoca (primi anni del secondo dopoguerra) del Mezzogiorno d’Italia: Rocco Scotellaro. Oggi come ieri, un altro primo cittadino d’ispirazione socialista e rivoluzionaria, di fronte al bieco formalismo e all’ottusità del regime è costretto a subire la ritorsione dei mazzieri di turno, vestano essi abiti pseudo-democratici o autenticamente reazionari.
Tocca a tutte e tutti noi, allora, scarcerare la memoria per liberare il presente.
Cesare Antetomaso
Giuristi Democratici
4/10/2018 www.rifondazione.it
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