Ministro, dove sono i nostri permessi?

A Roma il presidio a Piazza Esquilino comincia sotto la pioggia. Un piccolo gazebo bianco protegge l’attrezzatura che permette a chiunque se la senta di prendere parola al microfono.

“Documenti per tutt*, repressione per nessun*” è lo slogan che riassume le rivendicazioni di questo movimento che, sebbene veda l’appoggio di alcune realtà associative, è – ci tengono a sottolinearlo – autorganizzato.

Questi i punti principali del manifesto: permesso di soggiorno valido in tutta Europa e svincolato sia dal contratto di lavoro che dalla residenza; cittadinanza italiana dalla nascita; abolizione dei decreti sicurezza; chiusura dei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr); fine dell’arbitrio nelle decisioni della questura e delle lunghe code.

Dagli interventi dei e delle manifestanti emergono problemi molto concreti, a partire da quelli delle lavoratrici domestiche irregolari. « I datori di lavoro gli hanno preso il passaporto con la scusa della sanatoria, non le facevano uscire dicendo : c’è il covid fuori. Ditemi voi, questa è la nuova schiavitù o io sono scema?» si chiede Marcela Cruz, donna salvadoregna, attivista di Sportello 49, associazione che aiuta i migranti con i documenti. Sottolinea la xenofobia che vincola la regolarità di un o una immigrata sul territorio alla costanza lavorativa, domandandosi se sembrerebbe normale invalidare il passaporto di un italiano a lungo disoccupato.

Poi denuncia: «Ci sono donne che hanno fatto la sanatoria, hanno avuto il tumore al seno e quando si sono presentate all’ospedale con la ricevuta della sanatoria per fare l’intervento gli rispondevano: “ma che è questo pezzo di carta?”. Sì, perchè il ministero in piena pandemia si dimenticava di mandare le circolari per permettere alle persone in emersione di lavoro nero di accedere alle cure»

La Sanatoria del 2020 (di cui molti ricordano le lacrime della ministra Bellanova) è infatti da tempo oggetto di monitoraggio da parte di associazioni come ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) ed Erostraniero: oltre 240 mila lavoratori e lavoratrici straniere hanno inoltrato la richiesta di regolarizzazione, pagando 500 euro di tasca propria, ma l’80% non ha ancora ricevuto una risposta. Non solo, c’è chi per la pandemia ha perso il lavoro con cui si stava regolarizzando, chi proprio per questo subisce il ricatto del datore, mentre per altri e altre, continuare ad aspettare significa rischiare l’espulsione.

Bachcu, dell’associazione Bhuumcatu, sottolinea poi l’assurdità della norma che permette a un lavoratore irregolare di sanare la propria condizione solo se il datore di lavoro ha un reddito superiore a 20 mila euro: «Io ho lavorato e oggi la prefettura mi fa l’espulsione perchè il mio datore è un morto di fame?! Ma come posso sapere quanto guadagna?!».

Per chi invece è regolare, il rinnovo del permesso di soggiorno resta vincolato al contratto di lavoro e alla residenza, un’eredità della legge Bossi-Fini del 2002: «Dove lavoro il datore non vuole farmi il contratto ma la questura chiede il contratto e io sono obbligato ad andarmelo a comprare» e aggiunge: «la questura non rinnova [il permesso, ndr] se non porti residenza, il comune non rilascia residenza se non hai il permesso… Quanto costa una residenza finta?» domanda agli astanti, che rispondono in coro: 3000 euro.

La sua proposta: autodichiarazione di impiego e domicilio per il rinnovo del permesso, accertamenti da parte delle forze dell’ordine e provvedimenti per chi mente.

Alcune persone sorreggono sotto la pioggia uno striscione che recita “libertà di movimento, diritto alla residenza: NO ART. 5”.

È l’articolo del cosiddetto Piano Casa Renzi-Lupi del 2014 che prevede il divieto di residenza e allaccio delle utenze per chi vive in immobili occupati. Però, a causa della precarietà e della mancanza di una rete di familiari, amici e welfare, diverse persone migranti vivono in situazioni abitative informali, non idonee e frutto di occupazione, così come succede a molti italiani.

A Valle Fiorita, occupazione di Torre Vecchia, ad esempio, abita Delicia, un’infermiera ecuadoregna di mezz’età con il figlio minorenne. Delicia vive in italia da 30 anni, è rimasta vedova l’anno scorso a causa del covid e non ha più potuto permettersi un affitto: «ho lavorato tanto, con tante famiglie. Questo paese è diverso dagli altri, gli altri danno documenti, regolarità, cittadinanza ai figli che nascono, e invece in italia no!».

Ha anche una figlia, odontotecnica, laureata in italia: «è dovuta tornare al paìs perchè qui non riusciva a lavorare. Quando era minorenne non avevo il reddito sufficiente per farle prendere la cittadinanza, abbiamo provato per 3 anni. E quando è diventata maggiorenne chiedevano un contratto di lavoro che lei non poteva avere perchè studiava. Ora in Ecuador lavora e ha una famiglia gracias a dios».

Non solo, senza residenza Delicia non può ottenere la certificazione ISEE che le permetterebbe di accedere agli aiuti a cui avrebbe diritto nella sua condizione economica. Inoltre, aver perso il diritto alla residenza renderà più difficile per il figlio richiedere la cittadinanza, qualora lo desiderasse, una volta compiuti 18 anni (legge n. 98/2013).

L’obiettivo del presidio è chiaro: fare pressione per ottenere un tavolo al Viminale con incaricati del Ministero dell’Interno e della Prefettura.

«L’incontro sembrava abbastanza certo» dice Eddi, uno degli attivisti che hanno organizzato la piazza, «avevamo preso accordi, ieri ci hanno chiamato per chiederci i nominativi della delegazione che sarebbe dovuta salire a parlare. Ci hanno addirittura detto che uno di noi non andava bene, perchè come attivista aveva subito delle denunce in passato. Invece oggi la digos si presenta qui e ci dice che l’incontro non ci sarà. Ci propongono un incontro con un funzionario della prefettura… Ma un funzionario qualunque che cosa ci dovrebbe mai dire?».

C’è rabbia e amarezza, anche per l’evidente differenza di trattamento riservata a chi arriva dall’Ucraina negli ultimi giorni.

Ad esempio, nelle questure di tutta Italia sono stati dedicati sportelli specifici per smaltire questo flusso, mentre molti e molte per essere ricevute devono “tentare” per più giorni consecutivi, pur avendo un appuntamento, affrontando lunghe code all’alba.

Inoltre il 29 marzo il Governo ha attuato tramite DCPM la decisione dell’UE del 4 marzo di applicare la direttiva 2001/55/CE, che permetterà a tutti e tutte le cittadine ucraine (o a chi vi risiedeva regolarmente) di ottenere un permesso di soggiorno in Italia valido fino a 2 anni.

La direttiva, emessa in occasione della guerra in Kosovo, permette una tutela immediata e temporanea alle persone fuggite da un conflitto armato o da gravi violazioni sistemiche dei diritti umani, ma non era mai stata applicata.

Figli e figliastri, in un sistema che fino ad ora ha trattato l’immigrazione prevalentemente come un fenomeno di ordine pubblico, affidando il rilascio dei documenti non a organi amministrativi, come il municipio, bensì alla questura e alla prefettura, che dipendono dal Ministero dell’Interno: «Non è possibile che siamo sempre vincolati a quel ministero, mentre tutti gli altri ministeri, la politica, la sanità, l’istruzione quelle sono un lusso!» dice Josef Yemane, esponente di Black Lives Matter, denunciando il quadro di criminalizzazione costante e latente attorno a cui si sviluppano le vite delle persone immigrate e le narrazioni su di esse.

Mentre giunge notizia che a Foggia è partito un corteo spontaneo, a Roma la piazza si scioglie. I e le manifestanti si danno appuntamento per pianificare i passi successivi, avvertendo il Viminale, distante poche centinaia di metri: «Sia chiaro: la prossima volta faremo a modo nostro, non chiederemo permessi nè niente, occuperemo la città, ci troveremo ovunque, aspettatevi di tutto».

Lorenzo Boffa

4/4/2022 https://www.dinamopress.it

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