Monologo di un etilista
Mentre l’alba bussava alle finestre, Renato si distese sul letto e chiese –ma davvero mi hai sentito piangere?-
Giusi annuì prima di rispondere –certo, professò! Parlavi con l’amico immaginario e piangevi. Posso sapere di cosa stavate parlando?-
Il maestro chiuse gli occhi e ripeté la solita scusa –una storia lunga, Giusi mia, una storia troppo lunga da raccontare e io neanche saprei da dove cominciare-.
-Comincia a parlare, se vuoi un bacio da me, allora-.
-Parlavamo di lotta, di speranze e di sogni. Da ciuco escono meglio certi discorsi-. Giusi sedette al suo fianco e riavviò la discussione, ponendo la domanda meno scontata -io sono ignorante e tu lo sai. Ad esempio, potresti spiegarmi che differenza passa tra sogno e speranza? Credi che riuscirei a capire?-
-Certo, Giusi mia! Possono morire le speranze, non i sogni. Il sogno è sempre immenso, la speranza un paradosso, merce a buon mercato. Spenta una speranza è possibile accenderne un’altra. I sogni no, non hanno mercato, tanto meno se straripanti, fuori la foschia, tracciati su un verde irragionevole e uno sfondo rosso sfavillante, radioso, abbagliante. La speranza pernotta fuori e torna nel bisogno, il sogno vive dentro e accompagna ogni respiro del giorno, ogni ronfata della notte. E’ difficile capire? La speranza rimane nel cortile, il sogno supera ogni confine-.
Giusi lo baciò di nuovo e pretese un esempio –professò, devi essè pratico co’ me, io mica ho studiato come te!-
Renato rialzò la testa e trovò l’esempio per lui più giusto –in carcere, c’era chi sperava di andare a lavorare nel reparto falegnameria, per guadagnarsi qualcosa. Io e altri come me, sognavamo di evadere, di scappare e tornare a lottare. La speranza non ama la libertà, non vuole smettere di essere schiava, invece il sogno evade, scappa per rincorrere la libertà. Chi insegue i sogni insegue la libertà, chi insegue la speranza rimane incollato al suo mondo, spera in un aiuto per un posto migliore, di vincere una partita, una battaglia; mai l’intera posta-.
Il silenzio propiziò la danza della passione e le labbra di lei s’incollarono a quella del maestro. Quando riemersero, Giusi riprese le briglie –non spero di fare l’amore con te, io sogno un viaggio infinito con te e decidere se fare l’amore alla prima sosta o in quella dopo. Dici che ha capito la tua Giusi tua?-
-Perfettamente, anzi… anzi hai aggiunto qualcosa a cui un limitato come me non arriverebbe, perché preso solo dalle sue cose-.
La bottiglia di vino finì presto. Giusi cadde nel sonno e il maestro vide Massimo, l’amico immaginario, riflesso sullo specchio dell’armadio con l’indice rivolto verso di lui – Loro non lo sanno. Non capiscono. La speranza è figlia del capitalismo. Il capitalismo coltiva la morte degli indifesi. Prima li addomestica con l’egoismo, li nutre con la speranza e si presenta per il colpo finale armato di cartelle esattoriali. Il capitalismo assicura la condanna a coloro che varcano la proprietà privata e accarezza quelli che insudiciano, occupano, abusano della pubblica proprietà. Il capitalismo concede una sola alternativa al servilismo: la miseria. Concede il bis agli stonati, accantona le voci oneste, tratta con gli affaristi e annienta il povero. Non è un progetto, ma un ricatto. Il capitalismo ama la guerra, ritiene la pace un prospetto antico, una speculazione a favore della povertà, contro l’alto reddito. Il capitalismo non invecchia, si rinnova di giorno in giorno, controlla l’allineamento dei suoi schiavi attraverso i cellulari, i pc, la tv, ormai indispensabili come l’acqua, il sole, il mare e il cielo con dio. L’ideale che non incarna la lotta estrema e la lotta armata al capitalismo diventa parte di esso, tutto il resto è compromesso, allineamento, accettazione, complicità con la borsa: arma di distruzione di massa. Il capitalismo è un cancro da estirpare, non uno dei tanti nemici, ma l’unico vero nemico da abbattere, così come l’uragano abbatte le catapecchie d’alluminio, di legno e di polistirolo. La lotta è impari, vivremo con la speranza di diventare ricchi e famosi. Sono pessimista in merito. Lascio ai cretini lo spazio per sognare”.
Renato gli voltò le spalle e prese posto nel letto, a un palmo dal respiro di Giusi e si congedò –notte Massimo, preferisco sognare, che darmi per vinto!-
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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