Monologo di un etilista

fioredeserto

Parte 19

Giusi riprese la parola dopo un po’,  l’affetto del maestro ricuciva sul suo petto il valore del tempo e il valore dell’amore, i sogni interrotti da bambina. “Professò, le puttane non si possono innamorare, devi capì che so’  fragile, altrimenti non mi ritrovavo così. Se mi dici cose dolci, io poi ci credo davvero…”

Renato ripetè la strofa “avrei dovuto sposare te”, a quel punto lei si alzò dalla sedia e interpretò la parte meno conveniente del repertorio “io sto dalla parte delle donne, Professò, mi dispiace!  Tu sei un uomo e io sto sempre dalla parte delle donne, anche dalla parte di tua moglie-.

Il maestro, prima sorrise, poi a parole, completò il pensiero “capisco cosa vuoi dire, non credo che raccontare di me possa farti cambiare opinione-.

“Ehh.. tu prova, allora”

“ero un ragazzo molto stupido. La misi incinta e la sposai, per poi essere lasciato cinque anni dopo, quando fui arrestato. Avevamo due figli, io non ho scelto la famiglia, non posso biasimarli se mi odiano”. Giusi ripescò il passaggio “si… una donna lasciata sola ha il diritto di odiare l’uomo che l’ha tradita, viceversa è giustizia, sempre”.  Renato tentennò, prima di riprendere. Non gli andava di entrare in collisione “io odio queste divisioni, tipo uomo e donna. Si può essere bastardi sia da uomini che da donne. Io sto dalla parte del debole, una volta dicevo “sto dalla parte di chi non ha più voce”. Fermò la corsa per sorridere, per un giro di giostra nell’ironia annacquata  -Quando mi ritrovai nei guai, ero io a non avere più voce.  Nessuno gridava per me. La testa continuava a ripetermi “o comunista o morto”, infatti sono vivo per te e le persone del bar, per tanti sono morto”.

Giusi si fece seria e chiese “succede pure a me, Professò! Ti mancano i tuoi figli?”

Renato si piegò in avanti e depose la sua verità –no, non mi mancano! Non è bello sentire le accuse dei figli.  Quando vogliono possono far male, molto male. Parte della vita l’ho persa per la lotta, così la chiamavamo tra di noi. Adesso sto riesumando il passato come un qualsiasi vecchio alcolizzato e non mi dispiace, perché ogni volta mi vedo cresciuto. Sai perché si diventa saggi in vecchiaia? Perché la morte fa sempre meno paura, c’entra poco l’esperienza sul campo. Sicuramente l’esperienza è un valore, ma forse non è così importante  come sembra. Credo sia importante, invece, il sentimento che anima l’uomo”.

Lei si strinse ancora e chiese “sai che ti dico? Giusto Professò, brindiamo! Infatti le puttane esperte come me servono per il brodo”.

“No, tu servi a me! Molto meglio morire abbracciati che soli. Una volta cantavo “meglio morire abbracciati alla mitraglia”. Come vedi cambiano i tempi. Ovunque andavo portavo con me il peso degli ideali, della confusione, dell’odio verso i padroni. Certi difetti non li curi con l’antibiotico, Giusi mia!  Ora mi basta averti qui, per coronare un sogno. Come vedi cambiano i tempi”.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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