Monologo di un etilista
Renato conosceva bene quelle parte 8 serate strazianti, quando la pelle brucia e la memoria torna a bussare sui sensi di colpa, sulla pazzia imbarcata durante il viaggio.
Si fermò davanti al primo lampione e, mentre la notte riempiva il vuoto, iniziò il suo ennesimo monologo: “Certo, siamo nati liberi, ma anche l’animale da cortile è più libero di noi. Il senso di libertà, l’abitudine a ragionare con i propri mezzi rende liberi, l’attitudine a tendere una mano alla verità rende liberi. Il senso di libertà non è solo spaziare con il corpo, bisogna saper spaziare con la mente, guardare oltre e assicurarsi di non essere mai banale. I veri non sono mai banali. Cosa mi da questa vita? Ogni giorno mi regala una dose di solitudine, neanche saprei dire se val la pena vivere. Io sono un sognatore, tutti i sognatori vengono abbandonati al loro destino. La realtà non è sogno. I realisti e gli opportunisti possono vantarsi del proprio cinismo, io non sarei capace. In fondo, il cinismo non è una difesa, nemmeno una diga capace di arginare le proprie debolezze, è l’arma convenzionale con cui offendiamo. Siamo tolleranti verso questo virus perché, come esseri umani, abbiamo una scorta di munizioni inesauribile. “.
Il fumo del vino l’accecò, al punto che non si accorse dell’arrivo di Giusi, di certo lei non temeva la notte, così come non temeva il cinismo dell’uomo. Avanzò di qualche passo e chiese “Professo’, stai sempre sbronzo, sembra che devi tene’ una promessa a cristo. Siete diventato cattolico, professò?” Il maestro adorava Giusi, perché sapeva metterlo in crisi con dolcezza, senza pretendere la luna. Gli rispose con un sorriso macchiato di rimorsi “avrei dovuto sposare te, Giusi. Forse mi avresti fatto cornuto tutti i giorni, ma sicuramente non saresti mai andata via”
L’amica della notte alzò l’indice il cielo e diede un saggio del suo sapere “faccio la puttana per vivere, questa mica è na passione, Dottò! Voi uomini siete troppo stupidi per capire, pensate di possedere una donna perché gli state dentro”. Rassettò la gonna stretta, diede uno sguardo attorno e aggiunse “avete bisogno di compagnia anche questa notte, professò?”
Renato la salutò e girò i tacchi, non prima di raccontare la sua verità “no, Giusi! Stasera, mi sento di troppo pure per me stesso”. La bella Giusi fece ancora un passo avanti e propose “io sarei la donna adatta, ma i professori come te non sposano le puttane, ci vanno di nascosto, ma non le sposano. Una come me non può attaccarsi alle favole, solo una cretina potrebbe crederci. Siamo due mondi distinti e separati io e lei, ci sta il filo spinato in mezzo, professò-.
Il maestro disfò il suo vittimismo naturale, per unirsi nella disfatta “Siamo in molti ad accarezzare sogni impossibili e a negarci quelli possibili, siamo in molti a ritenere il bianco un colore sporco; come siamo in tanti a evitare quel che conta nel nostro vivere quotidiano. Basterebbe accendere un fiammifero e guardare nei posti dove il buio ha messo le tende, ha costruito autostrade, ha innalzato dighe, in modo che l’amore non veda ostacoli e si deprima, ancor prima, di intraprendere il percorso. Gli uomini e le donne non si cercano, sono più adatti a smarrirsi”. Giusi ci rise sopra “quanto siete difficile professò! Io s’accendo un fiammifero dentro di me, prendo fuoco, rimane solo la cenere”. Renato l’accarezzò, annotando l’intelligenza della donna notturna “anche in quello siamo uguali, cara Giusi. Siamo uguali, perché io nemmeno posseggo me stesso”. Abbandonò l’amica più cara per dedicarsi al resto della notte, così prese a contare i passi “1,2,3…7..20… 21”.
Si fermò al 21esimo passo, davanti al suo amico senza corpo, Massimo. Fu il maestro ad aggredirlo per prima “io sono l’unico ubriacone al mondo ad avere un amico immaginario, sei così scontato che se potessi chiederei un sostituto”. L’immaginario riprese corpo e vita, sedette su uno sgabello lanciato dal vento e filosofeggiò “la tua vita è piatta, monotona. Per carità, non è diversa da tante altre, ma sostituirmi sarebbe difficile per te, chiunque si annoierebbe, caro maestro spuntato”.
La notte continuava a spargere il buio, Renato la sua sbronza “in pratica dovrei ringraziarti! Ti sbagli di grosso fantasma del Louvre, io neanche ti penso”. Massimo si mise in piedi per affrontarlo alla pari “non hai paura di lasciarci la pelle? Non ci tieni alla vita?- Conosceva quella domanda, meglio di qualsiasi altro individuo, infatti la risposta fu netta “No”, poi aggiunse il suo colore “Anzi, se dovesse sopraggiungere la morte in una notte d’estate, spero si vedano bene i segni che porto sulla pelle, che mi trovi deturpato, segnato e ammalato. Spero che dica -quest’uomo ha vissuto fin troppo, ha consumato fino all’ultima goccia di tempo-. Spero che i presenti al funerale dicano -è morto, si, vero, ma ha vissuto sempre al limite-. Sarebbe davvero un fallimento sentirli sussurrare -che brav’uomo, non beveva, non fumava e conduceva una vita regolarissima-.
L’amico tornò a sedere, accese una sigaretta e ribatté “la lotta chiede gli anni migliori, gli anni in cui credi di poter osare, gli anni in cui dovresti correre dietro alle gonne e gioire mentre le regali un fiore. Perché non vai a convivere con Giusi? E’ vero che non la sceglieresti mai?- Renato strinse i pugni e lo derise “sei stato tu a dirlo, la lotta mi ha rubato il tempo di correre dietro alle donne. Lei è la donna più dolce che abbia mai conosciuto, ma non faccio testo io. Sarei un peso, io già mi sopporto a malapena, in più ho te, che rompi; maledettamente rompi”.
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
Prima parte n. 3 – giugno 2015 Seconda nel n. 4 – settemb. 2015 Terza nel n. 5 – novembre 2015 Quarta nel n. 1 gennaio 2016 Quinta parte nel n. 2 marzo 2016 Sesta parte nel n. 3 maggio 2016 Settima parte nel n. 4 luglio 2016 www.lavoroesalute.org
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