Monti, Letta e Renzi: tre governi per una depressione unica. Nel segno della Troika.

Sette anni di crisi e tre anni e mezzo di scos­soni poli­tici, col sus­se­guirsi dei governi Monti, Letta e Renzi, non hanno tirato fuori l’Italia dalla depres­sione. Le poli­ti­che di auste­rità impo­ste dall’Unione euro­pea sono rima­ste la stella polare della nostra poli­tica eco­no­mica, una con­ti­nuità più forte dei cambi a Palazzo Chigi. Nel gra­fico qui accanto pre­sen­tiamo un con­fronto tra i risul­tati eco­no­mici dei tre ultimi governi, che mostrano un Pro­dotto interno lordo in con­ti­nua discesa: se met­tiamo a 100 il Pil alle dimis­sioni di Ber­lu­sconi, nel novem­bre 2011, ora siamo a 96 e la ripresa c’è solo nei rosei dati di pre­vi­sione per il 2015, come c’era nelle altret­tanto rosee – e sba­gliate – pre­vi­sioni di tutti gli ultimi tre anni.

La situa­zione poli­tica dei tre ultimi governi è stata da un lato estre­ma­mente diversa – per Monti la bur­ra­scosa fine del ven­ten­nio ber­lu­sco­niano, per Letta il con­vulso com­pro­messo dopo le ele­zioni che non hanno pro­dotto una mag­gio­ranza, per Renzi la pro­messa di un nuovo che rot­ta­mava il pas­sato. Ma d’altro lato l’orizzonte poli­tico è rima­sto lo stesso: sem­pre governi di grande coa­li­zione tra cen­tro­de­stra e cen­tro­si­ni­stra, e sem­pre l’austerità all’ordine del giorno.

Tre anni e mezzo fa ci sono state le dimis­sioni di Ber­lu­sconi – che aveva fino all’ultimo negato l’esistenza della crisi — e il governo Monti si tro­vava a gestire il momento più dif­fi­cile: crisi dell’euro, con­ta­gio da Gre­cia e Por­to­gallo, spread alle stelle, poli­tica det­tata da Bru­xel­les, Ber­lino e Fran­co­forte. I risul­tati sono stati il crollo del Pil, sceso del 3% nell’arco del governo Monti, con la pro­du­zione indu­striale crol­lata dell’8% e i con­sumi delle fami­glie del 7%, 32% in più di disoc­cu­pati, la spesa pub­blica che va in rosso e il rap­porto debito/Pil che balza dal 116 al 126%. Da allora la depres­sione è calata sull’Italia. L’inarrestabile retro­mar­cia del Pil riporta il paese al livello di red­dito del 1999, esat­ta­mente come avviene per la Gre­cia. La pro­du­zione indu­striale resta ferma sia con Letta che con Renzi e se la con­fron­tiamo con il 2008, prima della crisi, la caduta è di oltre il 20%. Tutti con­fi­dano nelle espor­ta­zioni, che cre­scono però di appena il 2% in tre anni e mezzo, scon­tando la sta­gna­zione dei paesi euro­pei e la sem­pre più agguer­rita con­cor­renza asia­tica in molti set­tori del made in Italy.

Stessa sto­ria per i con­sumi. La per­dita del 7% rispetto all’uscita di scena di Ber­lu­sconi si man­tiene anche ai tempi di Letta e Renzi: gli “ottanta euro” ai red­diti più bassi fanno vin­cere le ele­zioni euroee ma non aggiun­gono nulla alla domanda dell’economia e alle tasche degli italiani.

Le con­se­guenze della depres­sione col­pi­scono soprat­tutto il lavoro. Il numero di occu­pati con la crisi pre­ci­pita, la caduta più forte è sotto il governo Monti, e la ripresa ora è minima. I disoc­cu­pati in tre anni aumen­tano di un milione – con Renzi siamo a 3,3 milioni di per­sone che cer­cano lavoro senza tro­varlo. Anche qui la con­ti­nuità delle poli­ti­che — della riforma For­nero al Jobs act – è impla­ca­bile: il lavoro sem­pre meno costoso per le imprese, più fles­si­bile e con sem­pre meno garan­zie. Ma tutto que­sto ha avuto zero effetti sulla cre­scita degli occu­pati. Al con­tra­rio, esplo­dono i gio­vani che non stu­diano e non lavo­rano (tra i 15 e i 24 anni), più 18% in tre anni e mezzo, con un’accelerazione pro­prio sotto Mat­teo Renzi.

Tutto que­sto lo si fa da tre anni e mezzo in nome del risa­na­mento dei conti pub­blici e della ridu­zione del debito pub­blico. Ma la crisi dell’euro e la depres­sione hanno peg­gio­rato i conti pub­blici: durante i governi Prodi prima della crisi la spesa pub­blica mostrava un avanzo pri­ma­rio – il saldo prima del paga­mento degli inte­ressi sul debito. I conti sono stati com­pro­messi dalle poli­ti­che di spesa e ridu­zione delle tasse dell’ultimo governo Ber­lu­sconi, e il saldo pri­ma­rio è diven­tato nega­tivo con Monti e Letta, fino al ritorno all’avanzo gra­zie ai tagli di spesa di Mat­teo Renzi. Ma meno defi­cit non signi­fica un minor peso del debito pub­blico: il rap­porto debito/Pil è cre­sciuto senza soste, in que­sti tre anni dal 116 al 132%. Il debito ita­liano — dopo quello tede­sco il secondo a livello euro­peo per dimen­sioni — non ha più una dina­mica esplo­siva, anche gra­zie alla, ma la depres­sione ha aggra­vato il suo peso sull’economia.

I risul­tati del primo anno di governo Renzi non si sco­stano in misura signi­fi­ca­tiva da quelli che – in con­di­zioni inter­na­zio­nali più dif­fi­cili – ave­vano otte­nuto Monti e Letta. Ora abbiamo una poli­tica più gene­rosa della Bce e la ridu­zione degli spread, il deprez­za­mento dell’euro e il calo del prezzo del petro­lio, c’è stato anche il seme­stre euro­peo a guida ita­liana. Ma di tutto que­sto non c’è trac­cia nei dati dell’economia ita­liana a un anno dall’arrivo di Mat­teo Renzi. La depres­sione con­ti­nua, l’austerità è la stessa del pas­sato, le poli­ti­che – sul fisco, il lavoro, la pro­du­zione — non mutano di segno. Il cam­bio di reto­rica può ingan­nare, forse, solo fino a un certo punto.

Leopoldo Nascia

20/2/2015 www.ilmanifesto.info

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