Morire di profitto. Noi 9 ottobre

La saggezza popolare ricorda che niente nella vita è sicuro e naturale come la morte. C’è del vero in quell’affermazione ma sappiamo – e dobbiamo dirlo a voce ben più alta – che non sempre è così: al destino e a una certa astratta dimensione del “naturale” vengono imputate morti, e molto spesso stragi, che hanno precise e ben diverse responsabilità. Sono quelle provocate dalla sete di profitto che spinge molte persone e molte imprese a devastare l’ambiente e a ridurre o cancellare le misure di sicurezza sul lavoro. I nomi dei disastri più tremendi avvenuti in Italia sono ben noti: dal crollo della diga del Vajont del lontano 1963 a quello del Ponte Morandi di Genova, tre anni fa, passando per il rogo della ThyssenKrupp a Torino e per i 772 morti di lavoro contati dall’Inail soltanto nei primi 8 mesi del 2021. La strage più letale, quella di ogni giorno. Il comitato “Noi, 9 ottobre” – Giornata Nazionale in Memoria delle vittime dei disastri industriali – vuole impedire che quelle stragi vengano rimosse e che quelle vittime diventino, nel migliore dei casi, numeri.

1976. Seveso, la prima volta della diossina in Italia

Il 9 ottobre, alle 11 in piazza S. Apostoli a Roma, c’è un sit-in importante. Si tiene in occasione della Giornata Nazionale in Memoria delle vittime dei disastri industriali istituita con legge 101/2011 per quel giorno, anniversario della strage del Vajont nell’ormai lontano 1963.

Il nostro comitato NOI, 9 OTTOBRE (di cui fanno parte associazioni delle vittime delle stragi del profitto, sui luoghi di lavoro, e movimenti per la salvaguardia dell’ambiente) aveva chiesto di commemorarlo a piazza Montecitorio, ma “questioni di sicurezza” ci hanno costretto a spostarla. Mi sono chiesto, ed avrei voluto chiederlo ai responsabili delle nostre istituzioni, perché la commemorazione delle vittime in una giornata istituzionalmente dedicata a questo, avrebbe dovuto sollevare problemi di sicurezza. E poi mi sono posto una ulteriore domanda: ma non sarebbe stato dovere delle istituzioni ricordare loro in questa data le vittime? Non sarebbe stato opportuno convocare loro, davanti a Montecitorio le famiglie delle vittime e ricordarle in pubblico, davanti al palazzo che simboleggia la nostra democrazia?

Tra un mese Il Presidente delle Repubblica e le altre alte cariche istituzionali andranno a commemorare all’altare della Patria il Milite ignoto: lo Stato è riuscito ad elaborare queste morti, a dare un senso alle morti assurde per le guerre. Oggi non c’è nessun imbarazzo, parlando di queste persone, di dire che sono morte, c’è un certo orgoglio nel dirlo perché, infine, “si sono sacrificati per noi”. Perché non succede lo stesso per le vittime dei disastri?

Le vittime dei disastri industriali, ma anche di quelli ambientali che non sono “naturali” perché – come scrisse Leopardi nelle riflessioni dello Zibaldone – “tutto ciò che pensiamo naturale, naturale non è”, sono anch’esse senza nome. Oggi che leggete questo articolo ci saranno altri morti sul lavoro: ne sapete il nome, il lavoro, il perché delle morti? E di quelli di ieri, se pure vi foste fermati a ricordare il nome, vi ricordate qualcosa? Forse solo il numero.

Ecco, “Noi, 9 ottobre” vuole impedire questa rimozione, vuole che lo Stato non abbia vergogna per i suoi morti, per coloro i quali dovrà esistere una memoria che non sia solo un ricordo, ma un impegno concreto per i vivi e per i cittadini. Perché non ci si senta abbandonati e perché, anche nel dolore, ci si senta partecipi di uno Stato per cui infine si è data la vita.

Il Presidente Mattarella ha mostrato grande dignità nel porgere le scuse alle vittime del Vajont, ma aspettiamo che quest’esempio diventi azione concreta: ricerca della verità, tutela delle famiglie delle vittime, dignità per chi, spesso, è stato una vittima involontaria di azioni mosse per null’altro che il profitto.

2018. Il disastro del treno dei pendolari di Pioltello, Milano

Il comitato Noi 9 ottobre intende organizzare e confrontarsi sui temi che i disastri industriali propongono, per impedire che si ripetano con una frequenza impressionante e che ci siano morti come Luana D’Orazio, l’operaia di 22 anni stritolata il 3 maggio scorso da un orditoio nella fabbrica tessile di Prato dove lavorava per pochi euro al mese per aumentare il rendimento della macchina dell’8%. Ma intende anche sollevare il problema dei vivi, di chi resta e si trova privo di giustizia, affetti, sostentamento.

Ho un sogno ed intendo portarlo avanti: quando le massime autorità dello Stato saliranno gli scalini dell’Altare della Patria nelle ricorrenze istituzionali, dovranno trovarsi dinanzi non solo al milite ignoto, ma anche al lavoratore ignoto. Dedicare l’altare anche ai cittadini morti per questi disastri sarebbe un gesto di grande significato, un gesto che realizzerebbe simbolicamente il dettato dell’articolo 1 della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.    

Gianfranco Laccone

7/101/2021 https://comune-info.net

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