Morti sul lavoro, dal Qatar all’Italia

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Non riesco a non fare un’amara considerazione, a distanza di alcune settimane. Sono sconfortato dall’entusiasmo che ha prodotto in milioni di italiani il mondiale di calcio in Qatar, anche in tanti indignati per le tre morti al giorno in Italia, come se le migliaia di operai migranti morti, oltre ad altre migliaia di infortunati, fossero un sacrifcio dovuto allo “spettacolo più bello del mondo”, contrapponendoli alle nostre lavoratrici e ai nostri lavoratori.

Questa è la dolorosa percezione che ho avuto dei commenti dello scorso mese, mentre io ho boicottato la visione perchè prima, durante e dopo il mondiale di calcio restano gli oltre 6.500 operai migranti morti per costruire i cimiteri chiamati stadi.

Loro, gli operai migranti in Qatar non avevano a disposizione la Legge 81 del 2008, quindi non potevano fare la valutazione dei rischi e programmare gli interventi per tentare di eliminarli; non avevano i rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, e neanche le RSU, per avere le giuste conoscenze dei rischi esistenti necessarie alla prevenzione.

In Italia le imprese, per incrementare produttività e profitti, tolgono le misure protettive sugli impianti, in Qatar non c’è stato bisogno di toglierle; non c’erano!

In Italia le imprese risparmiano sul costo del lavoro, adottando un modello organizzativo con molti lavoratori flessibili, precari, senza diritti, specie nella cantieristica e i lavoratori sono costretti ad accettare condizioni di lavoro vessatorie sotto ogni forma ricattatoria perché se reclamano, magari ricorrendo al RLS, vengono licenziati; in Qatar non avevano bisogno di incrementare la produttività perchè la condizione minimale per lavorare alla costruzione degli stadi era l’accettazione dello schiavismo.
Cos’è, indignazione nazionalista?

Franco Cilenti

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