Musei civici veneziani: ragioni e bisogni di lavoratrici e lavoratori

Il nuovo anno si prospetta per le centinaia di lavoratrici e lavoratori dei Musei Civici Veneziani denso di incognite e incertezze. Mentre ancora si attendono le nuove misure stabilite dal governo per i musei e gli altri luoghi della cultura, intanto la Fondazione Musei Civici Venezia e l’amministrazione comunale hanno dichiarato che le sedi museali della città non saranno riaperte prima di aprile, motivando questa scelta come l’unica compatibile con una fase di forte crisi dell’economia del turismo cittadino. L’idea è, come pare abbia dichiarato lo stesso sindaco, quella di “salvare l’azienda”, evidentemente di fronte a un lungo periodo dai contorni imprecisi e a suo giudizio di difficile progettualità economica.

Si sono susseguite una sequenza di critiche, molte anche corrette e legittime, ed espressioni di indignazione. Non c’è dubbio che la Fondazione Musei Civici Venezia stia gestendo dei beni pubblici, musei e biblioteche e le collezioni in essi conservati, come un patrimonio privato, che stia utilizzando la cassa integrazione per risparmiare sul costo del lavoro, che faccia un uso arbitrario delle risorse arrivate dal governo. La Fondazione e l’amministrazione comunale, che di essa è il socio fondatore, stanno agendo con una mentalità imprenditoriale, entrambe contro gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori. Ma di cosa dobbiamo sorprenderci, dato che è per questo che è stata fondata nel 2008? Dovrebbero ricordarlo bene sia i partiti del centrosinistra in Consiglio comunale, responsabili allora dell’affidamento di un bene pubblico, che adesso gridano allo scandalo, sia i sindacati confederali, che allora hanno accompagnato questo passaggio, nonostante le conseguenze gravi dal punto di vista delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori.

Nelle recenti sessioni in Consiglio comunale della commissione delegata alle politiche culturali sul tema delle misure di contenimento del Covid-19 nelle sedi museali, con la presenza dei vertici della Fondazione e delle organizzazioni sindacali, era tra l’altro emerso abbastanza chiaramente, dai diversi interventi, l’elemento della compatibilità economica accompagnato da entusiastiche rassicurazioni sul lavoro fatto per garantire la riapertura.

Erano emersi oltretutto altri elementi di criticità estrema, di fronte ai quali diverse risposte sarebbero necessarie da parte sindacale. Allora, come adesso, è rimasta solo vagamente accennata la grave situazione degli oltre quattrocento lavoratori e lavoratrici dei servizi in appalto. Sui quali non solo incide l’impoverimento dei salari, ma anche la precarietà dovuta alla condizione di personale esternalizzato: lunghi mesi di cassa integrazione (anche senza anticipo, nonostante gli accordi sindacali, che sono stati disdettati, e con grandi ritardi di erogazione da parte dell’INPS), il peggioramento generale delle condizioni lavorative con l’ulteriore flessibilizzazione dell’orario di lavoro (con turni spezzati e moltiplicati, anche disapplicando i contratti individuali di lavoro) e l’inadempienza della contrattazione aziendale.

Anche sulla questione della salute e della sicurezza molte sono le criticità e le iniziative che bisognerebbe intraprendere sindacalmente. Impressiona sentire che la Fondazione non fosse a conoscenza dei contagi che si sono verificati tra il personale delle cooperative, come sconcerta il fatto che per mesi sia stato permesso alle cooperative di impedire ai dipendenti l’accesso agli spogliatoi e alle sale di ristoro senza l’immediato intervento dei sindacati, nonostante il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dai sindacati confederali e dalle associazioni padronali e recepito nei decreti del governo (che pure come area sindacale abbiamo ampiamente criticato per la sua debolezza), preveda la sanificazione, non certamente la chiusura di questi spazi.

Di fronte a questa situazione e al futuro incerto che ci aspetta non è più rinviabile una discussione collettiva sul da farsi.

In una fase in cui il Veneto si attesta come regione con il più alto numero di contagi e di fronte al perdurare e al possibile aggravarsi dell’emergenza sanitaria due sono la priorità, la tutela del salario e la difesa della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Per cui va rivendicata la copertura del salario delle lavoratrici e dei lavoratori al 100%. Richiamando alle loro responsabilità non solo la Fondazione Musei Civici Venezia, ma anche le cooperative e le aziende appaltatrici, che come tutte le imprese stanno godendo delle ampie risorse messe a disposizione dal governo, soprattutto attraverso la cassa integrazione senza oneri aggiuntivi.

Cooperative che hanno sempre goduto di ottimi bilanci, e che immediatamente, all’inizio dell’emergenza sanitaria, hanno disdettato gli accordi sindacali sulla cassa integrazione siglati con i sindacati confederali, per accedere al pagamento diretto da parte dell’INPS previsto dai decreti del governo, senza provocare nessuna concreta opposizione e conflittualità da parte sindacale.

Per quanto riguarda la tutela della salute nei luoghi di lavoro va rivendicato che questa sia posta in ogni sede museale sotto il controllo delle lavoratrici e dei lavoratori, attraverso i loro rappresentanti e comitati da loro eletti. Questo per autorganizzare la tutela della propria salute (per esempio, tra le altre cose, il controllo dell’accesso al luogo di lavoro e dell’uso degli spazi per i lavoratori stessi) e per controllare le misure messe in atto per i visitatori e il personale esterno.

A tal proposito denunciamo nuovamente che la Coopculture non riconosce più la figura di RLS aziendale dei Musei Civici e rivendichiamo il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici di eleggere democraticamente i propri rappresentanti sindacali e rappresentanti per la salute e la sicurezza.

Non solo distanziamento, sanificazioni continue, aerazione dei locali, fornitura di dispositivi di protezione (adottando le mascherine FFP2, visiere, guanti) e dispenser di sapone antisettico, ma anche periodiche campagne di tamponi. Un allargamento e potenziamento delle misure di sicurezza relative ai visitatori, con l’allestimento di dispositivi per la misurazione della temperatura corporea in tutte le sedi museali, a prescindere dal numero annuo di visitatori, come applicato nei musei statali e previsto dalla dichiarazione congiunta del MIBACT (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo) delle organizzazioni sindacali per la riapertura dei luoghi della cultura (il virus non fa differenza tra le differenti tipologie dei musei).

Questi obiettivi non si raggiungono senza costruire una lotta radicale, che metta anche in discussione finalmente la generale condizione lavorativa nei Musei Civici Veneziani e la loro ragione sociale e struttura organizzativa. È ora di dire basta a tutte le forme di privatizzazione ed esternalizzazione, alla esistenza di fondazioni che gestiscono beni pubblici e di appalti che scaricano sui lavoratori e le lavoratrici il costo del lavoro, mantenendoli in una condizione di perenne precarietà. Basta salari da fame, con contratti nazionali non rinnovati da anni e del tutto estranei, come il Multiservizi – il contratto degli appalti, del super-sfruttamento – alle professionalità e alle mansioni svolte.

Basta anche alle divisioni tra lavoratrici e lavoratori, tra dipendenti diretti ed esternalizzati e anche tra un comparto lavorativo e l’altro. In una fase di crisi sanitaria ed economica, che si prospetta lunga e dura, di fronte alle molte minacce che si presentano, come lo sblocco dei licenziamenti, è indispensabile ricercare la massima unità dentro e fuori i musei tra lavoratrici e lavoratori e costruire insieme percorsi di condivisione delle vertenze e di lotta, con parole d’ordine chiare e forti.

Il percorso dell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, un fronte trasversale alle appartenenze sindacali, si sta da tempo impegnando a livello nazionale in questo senso e sta lavorando per l’unificazione e la generalizzazione delle lotte, con il lancio e la costruzione  di due giornate di mobilitazione nazionale previste per il 29 e il 30 gennaio, che si propongono come apertura di una fase di ripresa del protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, per superare insieme una difficile stagione, rifiutando con tutte le forze di dovere pagare noi, ancora una volta, i costi della crisi.

Partecipiamo in massa!

Luca Scacchi

RiconquistiamoTutto – l’opposizione in Filcams CGIL
Musei Civici Veneziani – Settore Cultura

5/1/2021 https://sindacatounaltracosa.org

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