NAPOLI. STOP ALLA “LOTTERIA-ABORTI” PIU’ OPERATORI E OPERATRICI NEI SERVIZI
Il cartello avvisa: «Si accettano massimo sette prenotazioni al giorno. Si prega di non insistere», e ripresentarsi l’indomani. Il messaggio rimbalza nel corridoio gremito di donne. Ce ne sono più della metà, viso acqua e sapone, dietro un cancello, tra reparti e terrazze inaccessibili, al Policlinico in via Pansini, ed è a loro che si rivolge l’invito a tener d’occhio l’orologio. Quello biologico, collegato all’ultima mestruazione, per poter interrompere la gravidanza entro i termini di legge; l’altro, meccanico, è già sincronizzato sulla sveglia. All’alba si muovono le ragazze di Napoli.
La legge 194, approvata nel 1978, stabilisce che la gravidanza indesiderata possa essere interrotta gratuitamente nelle strutture pubbliche, ma prevede anche politiche di prevenzione nei consultori familiari e la possibilità di non operare per il medico obiettore di coscienza. È possibile abortire per motivi personali, di salute della donna o del nascituro, o legati alle circostanze del concepimento (come lo stupro). Ma il percorso può essere a ostacoli. «Sulla ruota della 194, è una lotteria», dice Stefania Cantatore, portavoce cittadina dell’Unione donne in Italia.
Ogni giorno ragazze, mogli, single si alzano presto, si arrampicano sugli autobus, scendono dalla metropolitana e fanno la fila con disciplina, assieme alle madri e quasi mai con il fidanzato, pur di non perdere il turno. Invisibili e rassegnate, nonostante una delibera regionale, la 1016 del 2008, puntasse alla svolta. «La prima volta arrivai tardi, la seconda alle 6.20 ero quarta», racconta una di loro, convocata in vista dell’intervento. Ma questa mattina, una come tante, per tutte è tranquilla. Alle 8, puntuali, gli operatori aprono le porte e annotano l’ordine di arrivo per il primo accesso e ottenere la prenotazione, che non si può fare per telefono; le altre devono completare l’iter. «Non sfugge che il disagio resta, a prescindere dai posti effettivamente disponibili», sottolinea Cantatore. E questo accade, nonostante il grande impegno dei medici che garantiscono il maggiore numero di prestazioni in tutta la Regione: ogni anno oltre 1200 interventi chirurgici, 150 interventi farmacologici (passati da 2-3 a 7-8 ogni giorno), 180 interventi nel secondo trimestre, motivati da malformazioni del feto.
La Consulta delle donne segnala le carenze di personale paramedico in organico. Per questo motivo sono così regolamentate le prenotazioni e il reparto è aperto dalle 8 alle 14, mai oltre le 20. Lo stesso limite di accessi (anzi, più stringente) si ha nel vicino ospedale Cardarelli, che accetta fino a quattro pazienti il martedì e il giovedì, e il manager Ciro Verdoliva annuncia un approfondimento per cercare di riorganizzare le attività.
Qui nomi e cognomi vengono infatti appuntati a penna, a vista, sulla porta. A chiedere di abortire è un’altra giovanissima accompagnata (naturalmente in anticipo) dalla mamma, che l’ha avuta a 19 anni, e lei, che ne ha 18, non nasconde la paura.
Sono momenti difficili. Non è facile capire quel che si prova. La Spoon River è scritta sui muri. «Non volevo ucciderti, resterò sempre con questo dolore ma non posso rischiare la vita e lasciare senza mamma gli altri due… Ti amo», si legge in un messaggio del 4 giugno 2015 lasciato al Policlinico Federico II. «Eri il maschio. Ti abbiamo desiderato e cercato, in questi mesi amato e oggi siamo qui per non farti soffrire… Il Signore ha scelto te per questi problemi che ti ha dato, la malattia è brutta…». La Spoon river continua: «Non ti dimenticheremo mai. Ciao, stellina». «Cucciolo, non avresti avuto una vita normale», aggiunge un papà. Un altro genitore mancato: «Scusa!!!». «Primo figlio a 46 anni, sola senza un soldo… Maurizio, che tu sia maledetto per sempre. Sei scappato… Ma sappi che il semino ti guarderà dal paradiso e ti giudicherà per tutto quello che hai fatto». A seguire gli insulti, i simboli fallici, le preghiere. «Gesù, perdonaci», il 19 luglio 2017. «Io ho un nipote assassino». In rosso, in stampatello: «Cazzo». «La porca. Oggi se ne va in Paradiso un angioletto». «Siamo tutte peccatrici, vergogna». Ma anche: «Donne non vergognatevi. Vostro il corpo, vostra la scelta».
“Non una di meno” ha distribuito un questionario sulla 196 in vista dell’anniversario della legge, il 22 maggio, e rilevare quanta disinformazione c’è tra le donne, 40 anni dopo. «Ancora tante, troppe volte inconsapevoli dei propri diritti», dice Chiara Guida, nata proprio nel 1978 e componente del comitato che ogni giovedì pomeriggio si riunisce nella Casa delle donne aperta a Napoli. Cantatore incalza: «I consultori non sono più un punto di riferimento innanzitutto per promuovere consapevolezza sessuale e riproduttiva». Intercettano il 31.7 per cento degli Sos nella regione (il dato nazionale è del 42.9).
Sul sito della Asl di Napoli non tutti gli indirizzi sono aggiornati. Ma il presidio dell’Annunziata prenota direttamente le interruzioni di gravidanza al Loreto Mare. «L’azienda sanitaria nel 2015 ha definito un percorso integrato tra consultori e ospedale, che è stato attivato in queste due strutture affinché le pazienti non siano costrette ad aspettare dalle prime ore del mattino nella speranza di rientrare nel numero previsto e quindi prenotare l’intervento», dice Rosetta Papa, responsabile del dipartimento materno-infantile. Ma anche qui non mancano le difficoltà. «Soprattutto in alcuni periodi dell’anno, quando la carenza di personale diventa davvero critica. Anche da noi l’assistente sociale è presente una sola volta a settimana», spiega. In particolare, «nei consultori pesa la mancanza di questo tipo di figure, nei centri di interruzione di gravidanza la mancanza di anestesisti non obiettori determina il pericolo di tempi di attesa non idonei». Così, il sistema di accesso varia non solo da regione a regione, ma anche a pochi chilometri di distanza. A Caserta, ad esempio, è possibile fissare l’appuntamento tramite il Centro unico di prenotazione, non al San Paolo di Napoli, mentre il Policlinico dell’Università Vanvitelli garantisce la consulenza a tutte le donne che arrivano nell’orario dell’ambulatorio.
Papa propone: «Quest’anno ricorre il quarantesimo compleanno della 194. Potrebbe essere quindi il tempo giusto perché si programmi in maniera istituzionale il percorso integrato territorio-ospedale, che si attui cioè la legge in ogni suo articolo e non solo quello relativo alla obiezione di coscienza che sembra essere l’unico applicato a livello nazionale». Lei punta introdurre in altre strutture cittadine l’aborto farmacologico, «attualmente praticato solo al Secondo Policlinico, e come già ipotizzato qualche anno fa, forse 10». Inoltre, «sarebbe utile prevedere una cartella sanitaria informatizzata, collegata a una unica agenda elettronica per le prenotazioni. Il modello che abbiamo messo in essere funziona, e la raccolta dati, aggiunge Papa, «ci ha consentito di evidenziare anche altre criticità». Quali? Le donne sempre più spesso vanno da sole ad abortire. Dai dati riportati nel dossier presentato al Parlamento si sa che quasi il 55 per cento delle pazienti è nubile, il 38 coniugata, il 6 separata o divorziata, le altre vedove. Una su dieci è laureata, una su due studia, il 44 per cento lavora. Tre su dieci sono immigrate. Che, spesso, tentano il fai-da-te, acquistando medicinali su internet, prima di arrivare, in più gravi condizioni, nei centri qualificati.
Le interruzioni di gravidanza in Italia sono quasi 85mila all’anno (84.926, per l’esattezza, report 2017). In Campania 7560, la metà di quelle indicate in Lombardia (14111). Poi c’è il Lazio con 9032 interventi. Il totale è in calo. È in aumento, invece, il ricorso alla pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo, «perché non è più necessaria la prescrizione e questi farmaci sono sostanzialmente sicuri», certifica Costantino di Carlo, nel consiglio direttivo della società italiana di contraccezione e direttore della Clinica ostetrica all’università di Catanzaro. In Puglia, Lombardia e Liguria è più alta la percentuale di adolescenti, tra i 15 e i 17 anni, che ricorre all’aborto, quattro (anziché tre) ogni mille donne. E in Campania si registrano 20 interventi tra le bambine, nella maggioranza dei casi con l’assenso dei genitori.
Quasi tutte le donne si rivolgono alle strutture sanitarie della provincia in cui risiedono. L’attesa è inferiore ai 14 giorni: il 66 per cento delle volte in Italia, il 59.8 per cento a Napoli e nelle altre province. Un motivo è che solo un reparto di ginecologia su quattro nella regione effettua l’interruzione di gravidanza, servizi ai minimi termini se confrontati con le altre realtà e, in particolare, con la Toscana, la Valle d’Aosta, la Liguria, l’Umbria. Non bastasse, l’80 per cento dei ginecologi è obiettore di coscienza. «Ma il vero problema è la carenza di personale infermieristico e socio-sanitario», ribadisce di Carlo, direttore della clinica ostetrica all’ospedale di Catanzaro, ma fino a marzo scorso professore associato alla Federico II. «È inaccettabile che non si riesca a organizzare un sistema unico di prenotazione».
Inoltre, più recenti studi dimostrano che gli aborti terapeutici possono comportare rischi importanti, per effetto di tagli cesarei pregressi. E la Campania ha la maglia nera per il ricorso al bisturi. «Ecco perché – sottolinea di Carlo – è fondamentale sostenere le attività soprattutto nelle strutture che lavorano di più per la salute donne, come il Policlinico in via Pansini».
Vi segnaliamo l’articolo di Maria Pirro uscito su Il Mattino due giorni fa
19/4/2018 www.womenews.net
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