Kunduz. Msf denuncia: “Sapevano dove eravamo e che ci stavano bombardando”
Un comunicato di Medici Senza Frontiere spiega quanto accaduto.
“Medici Senza Frontiere condanna nel modo più assoluto il terribile bombardamento che ha colpito l’ospedale dell’organizzazione a Kunduz, coinvolgendo staff e pazienti. MSF vuole chiarire che tutte le parti in conflitto, comprese Kabul e Washington, erano perfettamente informate della posizione esatta delle strutture MSF – ospedale, foresteria, uffici e unità di stabilizzazione medica a Chardara (a nord-ovest di Kunduz). Come in tutti i contesti di guerra, MSF ha comunicato le coordinate GPS a tutte le parti del conflitto in diverse occasioni negli ultimi mesi, la più recente il 29 settembre.
Il bombardamento è continuato per più di 30 minuti da quando gli ufficiali militari americani e afghani, a Kabul e Washington, ne sono stati informati. MSF chiede urgentemente chiarezza per capire esattamente cosa sia successo e come sia potuto accadere un evento di questa gravità.
È con grande tristezza che confermiamo la morte di 9 operatori MSF durante il bombardamento di questa notte all’ospedale di MSF a Kunduz. L’ultimo aggiornamento parla di 37 feriti, tra cui 19 membri dello staff MSF. Alcuni dei feriti più gravi sono in corso di trasferimento in un ospedale a Puli Khumri, che dista 2 ore di auto. Di molti pazienti e staff non si hanno ancora notizie. L’impatto di questo terribile bombardamento sta diventando più chiaro e i numeri continuano a crescere.
Bombardare un ospedale dove si curano i feriti è un atto di violenza inaccettabile. Un ospedale è un luogo di cura che come tale va tutelato e ciò è possibile solo se gli ospedali vengono rispettati da tutte le parti in conflitto, come previsto dalle convenzioni di Ginevra”.
Guarda il video sugli effetti del bombardamento: http://www.aljazeera.com/news/2015/10/aid-workers-killed-air-strike-afghan-hospital-kunduz-151003043052500.html
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Gino Strada: «Crudelta senza regole né rispetto»
«La guerra è crudeltà senza regole né rispetto per nessuno e dunque senza regole e rispetto per gli ospedali o per i feriti» È il commento a caldo che Gino Strada (nella foto), un chirurgo che l’Afghanistan ce l’ha nel cuore, affida a il manifesto .
Ma c’è soprattutto il disprezzo per la guerra in sé nel cuore e nelle parole del fondatore di Emergency, e il primo italiano ad aver appena vinto per la sua attività umanitaria il Right Livelihood Award del Parlamento svedese (il cosiddetto Nobel alternativo).
«Sì – aggiunge — pura crudeltà: un ospedale viene bombardato dalle forze Nato in Afghanistan. Per errore, certo, come per errore in questi anni sono stati uccisi più di 19 mila civili! In realtà – dice Strada riferendosi al recente caso di Msf a Kunduz — non esistono convenzioni e non esiste diritto umanitario che possa impedire alla guerra di rivelarsi per quello che è: un massacro di civili, donne, bambini, medici e infermieri. Nessuno viene risparmiato. Il bombardamento di un ospedale è l’evidenza stessa della brutalità della guerra».
Quando gli chiediamo se ritenga che il bombardamento dell’ospedale di Medici senza frontiere a Kunduz sia o meno un atto deliberato, risponde così: «Non voglio nemmeno entrare in considerazioni di questo tipo per un fatto che è comunque inaccettabile: se poi si è trattato di un atto deliberato o se invece è stato un errore, se si è trattato di una scelta fatta a tavolino da un gruppo di idioti o se è invece stato uno sbaglio, tutto questo mi sembra totalmente irrilevante quanto inaccettabile. Tutto – conclude – è già nella guerra ed è inutile stupirsi. È inutile svegliarsi improvvisamente per una cosa che è sempre successa, succede e succederà se c’è una guerra. La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire».
4/10/2015
Difetto collaterale
«Scusate tanto, è stato un errore», così i comandi dell’aviazione Usa e Nato si sono rivolti all’opinione pubblica afghana e internazionale e all’organizzazione Medici Senza Frontiere, dopo che i «nostri» cacciabombardieri, della nostra coalizione dei buoni, ha colpito ieri una, due tre volte l’ospedale di Kunduz che tutti conoscono, visibile da chilometri e nelle mappe di ogni amministrazione civile o militare. Assassinati 12 medici e 7 pazienti, anche bambini tra le vittime.
È la guerra afghana che dura più di quella del Vietnam, giustificata per vendicare l’11 settembre con decine di migliaia di vittime e nella quale gli effetti collaterali, vale dire le vittime civili dei raid aerei, sono stati un elemento strutturale del terrore «necessario» dei bombardamenti aerei. Con risultati politici determinanti, come la delegittimazione dell’alleato presidente Hamid Karzai, poi uscito di scena, che, dopo stragi con centinaia di morti e le proteste popolari sulle quali è cresciuto il ruolo dei talebani, si era scagliato contro il Pentagono, cioè l’ufficiale pagatore che lo teneva al potere.
Torna il paradigma della guerra mai conclusa. Un obiettivo della destra americana neocon che appare più che realizzato. Il mondo torna a slabbrarsi lì dove «ci stiamo ritirando, la pace è fatta».
C’è la Siria al centro, no torna l’Afghanistan e di Iraq meglio tacere, com’è meglio oscurare lo smacco in primo luogo italiano in Libia. Aumentano i deserti chiamati pace e la disperazione umana che fugge senza meta verso un immaginario Occidente, ricco ma crudele e responsabile delle tragedie in corso.
È così, gli «effetti collaterali» afghani riverberano sul presente della crisi in Siria l’intero specchio delle stragi commesse dall’alto di migliaia di piedi, dal cielo — è l’eroismo dei top gun, quello di non scendere sul campo con gli stivali dopo la propaganda negativa delle bare di rientro dei militari occidentali. Ma come si fa a raccontare ancora la favola degli errori o meglio degli «effetti collaterali»?
Se per colpire ipotetici terroristi — così ora «giustifica» l’alleato il governo di Kabul -– si bombarda dentro una città intera con missili Cruise e micidiali Cluster bomb? Ora Kunduz resterà come una macchia, ancora impunita, sulla fedina sporca del militarismo umanitario, l’ideologia bellicista che domina l’Occidente democratico. Con in più stavolta l’evidenza di avere fatto strage dell’umanitario vero che legittimamente opera sul campo, come Medici Senza Frontiere o come è già accaduto per Emergency.
Il fatto è che la guerra e le armi invece dell’effetto appaiono sempre più come il difetto collaterale e nascosto di un Occidente impegnato nei diktat economici per la govervance globale del capitalismo rimasto.
A dominare, per chi vuole vedere, è lo specchio delle malefatte che si rifrangono una dentro l’altra. Che impedisce perfino ad Obama di parlare serenamente e strategicamente della guerra in Siria, ancora raccontata come il campo dei raid nostri «buoni» (che tutt’al più fanno appunto «effetti collaterali») e quelli cattivi, russi (che uccidono civili); dove ci sarebbe un terrorismo «combattente e buono», organizzato dalla Cia e che quindi non va colpito, e quello cattivo del «nemico» Isis, ormai target comune. Dimenticando che per entrambi c’è stata la coalizione degli «Amici della Siria» che grazie ai fondi dell’Arabia saudita e delle petromonarchie del Golfo, ha acceso il fuoco di quel conflitto da almeno tre anni. E infatti Obama non ci riesce, non riesce ad uscire dal militarismo umanitario ed è costretto a subire l’intervento russo che — sempre sanguinoso è, non dimentichiamolo — spariglia almeno la partita e si muove per una soluzione che non può essere, nemmeno in Siria, militare. E mentre è all’ordine del giorno la Siria, Obama è costretto a vedere che c’è in casa, negli Stati uniti, un nemico che fa più vittime del Califfato: il terrorismo domestico di una guerra civile strisciante americana che fa 11mila morti l’anno.
Meglio non vedere questo difetto collaterale allora. E silenziare — avete visto un giornalone ancorché giustizialista che ne parli? — il fatto che da ieri l’Italia, con Spagna e Portogallo, sia per un mese il «campo di battaglia»» delle più grandi manovre militari Nato — la stessa dei raid sull’ospedale di Kunduz — dalla caduta del Muro di Berlino. Pronto a nuove avventure, distruzioni e spese militari. Finché c’è guerra c’è speranza.
Tommaso Di Francesco
4/10/2015 www.ilmanifesto.Info
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