Nel caos sul nucleare in Europa, il no definitivo della Germania

Nove mesi dopo la chiusura dell’ultima centrale il cancelliere Olaf Scholz pronuncia la sentenza di morte definitiva per l’energia atomica. Mentre in Europa resta il caos. A fine 2020, 14 Paesi (su 27) avevano almeno un reattore nucleare: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito. Nell’UE, presenti 122 reattori nucleari e 6 in costruzione.

Gli italiani hanno votato per mantenere il loro paese fuori dal nucleare. La Svizzera e la Spagna hanno vietato la costruzione di nuovi reattori. Il Belgio sta pensando di eliminare gradualmente le sue centrali nucleari. La Francia, spesso considerata un modello nucleare commerciale per il mondo, oggi è bloccata in un dibattito nazionale su un parziale uscita dalla fase nucleare.

«Il nucleare è un cavallo morto»

Nove mesi dopo la chiusura dell’ultima centrale il cancelliere Olaf Scholz pronuncia la sentenza di morte definitiva per l’energia atomica in Germania. «Non tornerà mai più» è la promessa alla radio pubblica Deutschlandfunk, supportata dai dati incontrovertibili che dimostrano come il Paese più industrializzato d’Europa abbia perfettamente digerito lo storico ‘phase out’, al contrario di quanto pronosticavano i nuclearisti, racconta Sebastiano Canetta da Berlino.

Mix energetico tedesco da esempio

Il ‘mix energetico tedesco’ nei primi sei mesi del 2023, appena certificato dall’Istituto Fraunhofer di Monaco quasi esemplare, scrive il Manifesto. I watt da fonti rinnovabili ormai a quota 57,7% (era il 51,8% nello stesso periodo del 2022) con il drastico calo della produzione da lignite (- 21%), carbone fossile (- 23%) e gas naturale (- 4%). Insomma, dati alla mano, Berlino ha completato il distacco dall’atomo con successo. Rimangono le accuse di «autolesionismo» e «suicidio economico» dei liberali di Fdp e dell’estrema destra di Alternative für Deutschland.

Atomo morto ma non ancora sepolto

Rimane sotto terra, lontanissima dai riflettori, la tossica eredità del programma nucleare civile tedesco avviato in pompa magna negli anni Sessanta e chiuso nel 2011 da Angela Merkel all’indomani del disastro di Fukushima, dopo anni di proteste degli ambientalisti del ‘Sole che Ride’.

I residui nucleari che minacciano ancora l’Italia

Il lascito alle generazioni future sono tonnellate di metri cubi di scarti altamente radioattivi stivati «temporaneamente» da decenni nelle miniere fra la Bassa Sassonia e il Brandeburgo. «In ambiente tutt’altro che sicuro, vista la fretta del governo federale di trovare il famigerato ‘Endlager’ (il deposito finale) entro il 2030: un buco sotto terra ‘profondo almeno un chilometro con tenuta stagna per minimo un milione di anni’ come si legge nell’inquietante relazione tecnica presentata dagli esperti ai governatori dei 16 Land».

Molto peggio a casa nostra dove una impresa pubblica si auto riproduce senza aver raggiunto uno solo degli impegni assunti da statuto della sua creazione, e senza che la politica abbia il coraggio di scegliere il luogo del cimitero nazionale delle scorie.

Nucleare morto, dove seppellirlo

Solo su questo d’ora in poi in Germania si concentrerà il dibattito sul nucleare, «con buona pace del ministro Christian Lindner, segretario di Fdp e falco delle finanze perfettamente consapevole che al di là degli annunci i margini per il ritorno dell’atomo sono pari a zero». Conti alla meno e senza frottole ideologiche: mancano investitori e compagnie di assicurazione disposti a sobbarcarsi e garantire impianti che in media funzionano poco più di metà anno, «e la cui vita tecnica viene prorogata d’ufficio per rientrare dei costi faraonici».

Nucleare a perdere

In altre parole senza più aiuti pubblici il nucleare non ha l’energia per stare in piedi, è il sottotesto del cancelliere Scholz (che ieri ha messo sui social una buffa foto con benda da pirata a causa di un incidente), pronto a sottolineare come «anche volendo chiunque oggi volesse costruire centrali nucleari avrebbe bisogno come minimo di tre lustri per farlo e dovrebbe spendere dai 15 ai 20 miliardi ciascuna».

Ronzino o ‘cavallo morto’

Dal punto di vista del business come puntare su un ronzino, anzi un «cavallo morto» che non corre più nemmeno a Parigi, come evidenzia la ripetuta esportazione di energia tedesca verso la rete francese colpita da continue interruzioni. E mentre la Germania spegneva le sue centrali atomiche, l’Italia ha partecipato da «osservatore» a un meeting dei paesi nuclearisti.

In Italia, ‘resti ancora insepolti’

Vergogna Sogin. Azienda pubblica creata col solo scopo di mettere in sicurezza le scorie nucleari sparse da decenni per il Paese sperando nella buona sorte. Il piano iniziale, approvato nel 2001, prevedeva la messa in sicurezza di tutti i rifiuti nucleari entro il 2014 e lo smantellamento delle centrali entro il 2019. Nel 2010 la scadenza fu spostata al 2025, e 5,71 miliardi di costo. Nel 2017 la scadenza cresce al 2036 e i miliardi a 7,25. Nel 2020 i costi erano saliti a 7,9 miliardi di euro.

Sprechi e controlli assenti

Dal 2001 ad oggi sono stato pagati 3,7 miliardi di euro, ma solo 700 milioni sono stati utilizzati per lo smantellamento dei vecchi impianti: 1,8 miliardi di euro sono stati spesi per la manutenzione degli attuali ‘depositi temporanei’ e 1,2 miliardi per il trattamento del combustibile radioattivo in Francia e nel Regno Unito. E ogni anno lo stato spende 60 milioni di euro per stoccare parte dei rifiuti nucleari all’estero.

Il Deposito unico nazionale del mai

«CNAPI: Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico». Nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 2021 era stata pubblicata la mappa delle 67 aree potenzialmente idonee ad ospitare il nuovo deposito. Se ne parlava da quasi vent’anni e la mappa era pronta dal 2015, ma fino a un anno e mezzo fa era rimasta coperta da segreto. Ora è coperta dalla non scelta.

Ennio Remondino

6/8/2023 https://www.remocontro.it/

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