Nel piatto dei grandi del mondo. Appunti dal G7 in Puglia
Quando vedi asfaltare le strade stanno arrivando le votazioni. Se vivi al sud lo sai, lo capisci più o meno quando impari come frenare sullo sterrato con la bici senza rotelle. Eppure, quest’anno l’assioma scricchiola: vedo strade scarificate, rulli e bitume ma le urne hanno appena chiuso. Prima che il fatalismo meridionale vacilli sotto la parvenza che qualcosa sta cambiando, il rumore di un elicottero in lontananza mi conforta: è il G7, il vertice annuale dei capi di stato e di governo. Quest’anno tocca all’Italia presiederlo, Giorgia Meloni ha scelto di accogliere i ministri delle principali democrazie industrializzate del mondo dal 13 al 15 giugno in un resort di lusso in provincia di Brindisi, a Savelletri di Fasano.
Mentre i leader stanno per arrivare con annesse delegazioni internazionali, a Brindisi, dove i protagonisti del vertice saranno a una cena di gala “vetrina per le eccellenze enogastronomiche pugliesi”, una zona rossa costringe le persone a muoversi a piedi e mostrare il documento di identità alla polizia per ogni spostamento. Gli agricoltori possono lavorare nei campi solo per lavori “indispensabili e indifferibili”, in spiaggia vige il divieto di balneazione. La gente a Savelletri, paese sul mare vicino Fasano, è tormentata dagli elicotteri militari che sfiorano le case e atterrano sollevando bufere di sabbia negli eliporti costruiti in fretta e furia lungo la litoranea. All’aeroporto di Brindisi limitazioni, ritardi e disagi per fare spazio agli Air Force One. I distributori di carburante sono chiusi, la raccolta differenziata sospesa, corrieri e taxi non possono circolare, alcuni sono in pensiero per l’accesso bloccato alle visite ai degenti negli ospedali di Brindisi e provincia, altri si preoccupano di come faranno i cani a stare chiusi in casa per due giorni.
Degli ottomila agenti di polizia e militari coinvolti nel capillare piano per la sicurezza, alcuni non se la passano bene nella nave Mykonos Magic, ormeggiata nel porto di Brindisi per dare alloggio a oltre duemila agenti. Ambienti sporchi e danneggiati, bagni e docce inutilizzabili, cabine allagate e senza finestre. Dopo l’allarme dei sindacati, la nave viene posta sotto sequestro e sostituita, ma i vigili del fuoco non se la passano meglio, accampati in tende montate all’interno di “malsane e torride autorimesse”. Però stavolta qualcosa che funziona c’è: solo quindici giorni per mettere in sesto tutte le strade toccate dalle delegazioni internazionali, realizzare eliporti e sfalciare foreste di rifiuti rinsecchiti. Anas ha completato lavori di manutenzione sulla rete stradale per oltre ventuno milioni di euro in tempi record quando da decenni si continua a parlare di superstrada Bradanico-Salentina, statale 275 Maglie-Leuca, statale 100 Taranto-Bari.
Oltre a rifare le strade, si è provveduto alla “tinteggiatura con calce bianca di alcune pareti usurate dal tempo così come alla sistemazione di nuovi arredi floreali”, scrive il Nuovo Quotidiano di Puglia. Peccato che a Grottaglie, dove venerdì 14 arrivano in visita le compagne dei leader, muri privati siano stati imbiancati senza nemmeno il permesso dei proprietari e che “l’usura del tempo” fosse in realtà un dipinto degli Os Gemeos fatto durante il Fame, festival che tra 2008 e 2012, senza mai parlare di street art e riqualificazioni, ha trasformato Grottaglie da “un paese di merda in un paese di merda con i muri colorati”, dice chi lo organizzava.
FRISELLE E TARANTELLE
Il fronte contro G7 è frammentato e converge sabato 15 a Fasano in un corteo, con studenti, migranti, cobas, associazioni ambientaliste e per la pace, con mille persone dalle province pugliesi sorvegliate da terra da centinaia di poliziotti e dall’alto dagli elicotteri. I negozi chiudono o si proteggono con pannelli di compensato, ma i giornali notano fieri che “l’enorme spiegamento di forze messo in campo dall’organizzazione italiana ha fatto recedere da cattivi pensieri i malintenzionati”. Il tavolo di coordinamento noG7 Puglia, in concomitanza con la cena dei leader mondiali nel Castello Svevo, allestisce a Brindisi la cena dei poveri a base di frise e cous cous. Il coordinamento “voi G7, noi GSim”, che riunisce varie realtà assembleari pugliesi tra cui Fridays For Future Bari, Extinction Rebellion Puglia e Ultima Generazione Bari è radunato in un campeggio “ecoterronista” a cento chilometri dal G7 alle Fattizze d’Arneo dentro l’anello di Nardò, luogo simbolo della logica colonialista e predatoria dove per un piano di ampliamento Porsche minaccia di distruggere duecento ettari di un bosco mediterraneo per far posto a impianti e piste di prova. Venerdì 14 gli attivisti di Extinction Rebellion si incatenano all’ingresso dell’International Media-Broadcasting Centre all’interno della Fiera del Levante di Bari, per chiedere ai mille e cinquecento giornalisti da ogni parte del mondo di raccontare cosa c’è in Puglia oltre l’isola felice dove sono riuniti i leader. Un altro campeggio no G7 si tiene a Frassanito (Otranto), dove una rete di associazioni e movimenti (tra cui No Tav, PeaceLink, No Ponte, Pci), insieme a delegazioni da Palestina e Medioriente, organizza tavoli tematici e dibattiti su repressione, clima e ambiente, geopolitica.
I re non toccano le porte. Non conoscono questa felicità: spingere davanti a sé con dolcezza o bruscamente uno di quei grandi pannelli familiari, voltarsi verso di esso per rimetterlo a posto, tenere tra le braccia una porta. (Francis Ponge)
Nel frattempo, i leader se la godono a Borgo Egnazia, un resort di oltre sedici ettari che imita le masserie e l’architettura dei “borghi” ma è a tutti gli effetti un artificio senza storia costruito dal nulla. Diverso è il tono con cui lo descrivono i creatori: Borgo Egnazia è “l’essenza dell’accoglienza pugliese, la struttura è interamente realizzata in tufo grezzo e pietre locali, lavorate dalle abili mani di esperti maestri della tradizione”. Oltre lo storytelling, il resort non è altro che un villaggio finto-antico, con strade, ville dai nomi imbarazzanti (“casetta bella, corte deliziosa, borgo splendida”), piazza per sagre danzanti, piscine, bar e ristoranti costruiti per vivere con un minimo di tremila euro a notte.
Gli ulivi, il bianco della pietra, qualche attrezzo agricolo arrugginito usato come arredamento (loro direbbero come omaggio alla tradizione), una bici d’epoca appoggiata al muretto come se gli anni Sessanta fossero dietro l’angolo. Gli ospiti del resort non sentiranno mai l’odore di una rimesa con gli attrezzi veri, in uso, i santini ingialliti, la radio impolverata, senza aver calcolato color continuity né alchimia estetica. Poi il personale è addestrato per aderire a un prototipo di pugliese creato a tavolino. Qualcuno ne resta ammaliato: “A colpirmi sono le persone che lavorano qui e mi salutano come se mi conoscessero già”; “l’allegria diffusa, l’orgoglio del pizzaiolo che mi spoilera tutte le sue dritte su farina e temperatura”; “l’ospitalità magnifica che da queste parti scorre naturalmente nelle vene e si tramanda di generazione in generazione, genuina sul serio”. Non posso non pensare a The Truman Show e mi chiedo se siamo a Savelletri o allo zoo Safari di Fasano a pochi chilometri da lì. “Mangio ricci in un ristorantino che mi hanno consigliato i ragazzi del Borgo, dove vanno anche loro mi assicurano e ci credo”, poi mi rifiuto di continuare a leggere. Nel 1983 Reagan tenne il G7 a Williamsburg in Virginia dove ogni mattina veniva messa in scena, in un finto villaggio del Settecento, la rivoluzione americana. Più o meno siamo lì. Invece il jet set internazionale è attratto da questo habitat, Madonna ci festeggia i compleanni stregata dalla pizzica, ignara che, mentre si dimena pensando di mimare il ballo tradizionale, chi canta le dà della puttana in una delle strofe in dialetto.
Su Repubblica Fabiano Amati, attualmente consigliere regionale, rivendica il merito di aver creduto per primo nel progetto di Borgo Egnazia: “Assieme ad altre trentuno strutture, fu autorizzata dal consiglio comunale nel 2000, ero io l’assessore proponente”. “Fu avviato un programma turistico, autorizzando gli imprenditori a realizzare strutture di alta qualità, così da tutelare l’incanto ambientale, dare lavoro e mettere piatti a tavola. Eravamo una giunta di riformisti e molto realisti: il centrosinistra come dovrebbe essere e purtroppo non è”. Ora i propositi della Egnazia Ospitalità Italiana, la management company fondata da Aldo Melpignano con la madre Marisa, pioniera del business turistico pugliese, sono di continuare a estendere il modello di Borgo Egnazia ad altre strutture di lusso diffuse in tutta Italia.
Così non si può più andare avanti. Perché avete lasciato che i nostri figli fossero educati dai borghesi? Perché avete permesso che le nostre case fossero costruite dai borghesi? Perché avete tollerato che le nostre anime fossero tentate dai borghesi? Perché avete protestato solo a parole mentre pian piano la nostra cultura si andava trasformando in una cultura borghese? […] Perché vi siete condotti in modo da trovarvi di fronte a questo fatto compiuto e, vedendo che ormai non c’era più niente da fare, eravate disposti a salvare il salvabile, partecipando realisticamente al potere borghese? (Pier Paolo Pasolini)
L’estate scorsa il Wall Street Journal pubblica un reportage sugli investimenti immobiliari in antiche masserie e in complessi di trulli di molti imprenditori che hanno creato strutture di lusso per ospitare clienti di primissima fascia. Il titolo esordisce con “un tempo area impoverita, la Puglia ha visto un afflusso di acquirenti di ceto alto disposti a spendere milioni in masserie storiche e casali”. In copertina la foto di un architetto torinese che ha convertito una dimora aristocratica a pochi chilometri da Gallipoli in un complesso vacanze di lusso che vanta “una cappella un tempo dedicata a San Rocco che oggi ospita una splendida sala per la colazione, con la ricca facciata barocca che guarda benevolmente la piscina”. Vorrei che si avverasse quello che scriveva Angelo, “vederle crollare una a una queste masserie prima di saperle in mano al prossimo avvoltoio. Sogno una xylella capace di distruggerle pietra per pietra prima che arrivino le lampade con le luminarie, la pizzica su commissione, le friselle a otto euro e le stanze a quattrocento a notte”, anche se adesso dovremmo alzare le cifre. Lungi dal credere al trickle-down, lo sgocciolamento della ricchezza dai ricchi al proletariato, ci si accorge di quanto il sud sia solo terra di conquista asservita a un’economia tutta sbilanciata a nord, della quale ci spettano solo le briciole. Un indizio si coglie nel francobollo celebrativo di questo G7, in cui il nome di un resort privato prende il posto del comune a cui appartiene.
ADOTTA UN ARTIGIANO
La burrata di Andria igp, la cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, la mozzarella di Gioia del Colle dop, il quartiere delle ceramiche di Grottaglie, i trulli di Alberobello, patrimonio mondiale dell’Unesco, i paesaggi mozzafiato della Valle d’Itria, il barocco di Martina Franca. Questi i must per la delegazione di ospiti che venerdì lascia il resort scortata dalla sicurezza. “Non mancherà lo shopping nelle piccole e caratteristiche botteghe artigiane a caccia di souvenir”. Il male è che frasi del genere le scrivono giornalisti pugliesi e le legge gente del posto, ci freghiamo da soli o ripetiamo talmente tanto un mantra imposto dall’alto da crederci e diventare la parodia di noi stessi?
Il grande protagonista di questi giorni è l’artigiano, specie protetta non ben identificata che comprende persone che realizzano manufatti come quinto lavoro per venderli in una bancarella arrangiata, fino al marketing dei souvenir fabbricati chissà dove ma con il marchio #weareinPuglia. Contadini e artigiani, “il più grave ed estremo genocidio del secolo scorso”, come piace ricordare a Goffredo Fofi citando Kapuscinski. A salvarli dall’estinzione ci pensa Giorgia Meloni che durante la conferenza stampa al termine dei lavori dà il meglio di sé. Una porzione di tronco d’ulivo costituisce il leggio con i microfoni da cui parla la presidente, mentre una decina di alberelli d’ulivo nelle fioriere decorano la sala. “Io ho voluto che la serata di ieri fosse tutta una serata tradizionale pugliese: c’erano i panzerotti, c’erano gli artigiani, c’erano le signore che facevano le orecchiette a mano, c’era la taranta, c’erano le luminarie che si mettono nelle feste religiose. C’era la Puglia come la conosciamo noi. Davvero io sono stata fiera di vedere i leader del G7 a bocca aperta. Aperta, ma anche insomma delle volte anche meno, per i sapori, per i gusti, per l’identità, no?”, i giornalisti ridono di rimando come se questo G7 fosse un evento culinario. Ma in quella serata c’era il grande esodo verso il nord e le città? C’erano i treni a binario unico? C’erano i malati del reparto oncologico di Taranto? C’era la centrale a carbone di Cerano (prima in Italia in termini di costi causati dalle emissioni inquinanti), le discariche abusive, gli incendi sistematici negli uliveti distrutti? Di sicuro non c’erano e non ci potevano essere i giovani scappati altrove, i posti in ospedale, le case in affitto a prezzi umani, le spiagge libere, i polmoni verdi e gli uliveti. E mentre penso a Carmelo Bene mi domando quale sia questa tradizione pugliese. Non esiste, esiste la tradizione della Grecía salentina, della Bassa Murgia, del Gargano, ma una tradizione globale è solo un marchio. Non esiste nemmeno la taranta (se non il ragno), non è niente, esiste la pizzica pizzica, per quanto i grandi eventi stiano esportando un feticcio che non conserva niente della cultura popolare.
La Meloni rincara la dose: “Le signore che regalavano i braccialetti fatti con il nocciolo dell’ulivo, io ne ho uno ancora, gli artigiani che lavoravano il legno degli ulivi che abbiamo dovuto eradicare per la xylella, i tavoli che abbiamo fatto con quel legno d’ulivo, perché noi qui siamo sempre capaci di reinventarci”. Quelle signore e quegli artigiani in via d’estinzione potevano essere persone qualunque pagate per recitare il ruolo del buon selvaggio autoctono. Se l’artigiano è l’eroe del summit, l’ulivo ne è il martire: trionfante sul logo del vertice, verde e florido in mezzo al prato all’inglese di Borgo Egnazia (oasi al centro di un deserto fatto di territori brulli se non aridi e ulivi disseccati e capitozzati). È in legno d’ulivo il tavolo intorno al quale si sono svolte le riunioni dei leader, “risultato della maestria e della creatività di artigiani italiani”. La base è un tronco quasi integro di ulivo monumentale, come piano “l’unione tra pezzi di legno le cui venature raccontano la storia di questo albero al passare del tempo”. “Il legno è stato recuperato da alberi che hanno terminato il proprio ciclo di vita, nel pieno rispetto della natura”. Ennesima menzogna tossica che ammazza ancora gli ulivi eradicati senza essere malati e men che meno morti, vittime di un ecocidio che si continua a negare. Quindicimila ulivi abbattuti con conseguenze devastanti su agricoltura e territorio, l’affare xylella che ha imposto nuove varietà brevettate che producono olio di bassa qualità e rendono elitario l’olio buono.
Ma è finita, è finita
quest’altra torrida festa
siamo qui soli a gridarci la vita. […]
Oggi ancora e duemila anni
porteremo gli stessi panni.
Noi siamo rimasti la turba
la turba dei pezzenti,
quelli che strappano ai padroni
le maschere coi denti.
(Rocco Scotellaro)
L’industria turistica punta sulla Puglia perché la foga di passato, di autenticità e di esotismo qui trova un’inedita dimensione estetica. I paesi che hanno sperimentato l’isolamento per decenni di emigrazione al nord e all’estero, l’arretratezza che li ha preservati (o almeno ha posticipato) da stupri urbanistici, arginando l’inciviltà del progresso. Tutto questo contribuisce a nutrire quell’icona che la presidente elogia. Su questa immobilità garante dell’autentico si concentrano gli appetiti dei turisti, il mercato li intercetta e i luoghi diventano pietrificati dall’esibizione spettacolare. Quante volte ho sentito i vacanzieri dire che questo è “un luogo dove il tempo si è fermato”, “qua non vi manca niente”, “un tuffo nell’autentico” (come diceva uno di noi, è solo senso di colpa tacito per non aver mai fatto lavori manuali). Cosa diventa un territorio se per garantirsi un futuro deve vivere del proprio passato, masticato, tradito e risputato in una poltiglia semplificata e vendibile, senza conflitti e spigoli? Diventa un museo: donne che fanno le orecchiette con fazzoletto in testa, gonne pesanti e grembiuli secondo un costume tradizionale inventato, magari anche una collana di peperoncini per soddisfare i feticisti del folclore. Banalizzazione del vivente, ogni ambito della vita consacrato al consumo smette di essere utile, usato, diventa imbalsamato e stagnante. Pur di regalare esperienze agli sguardi voraci dei turisti, è il territorio a diventare povero di esperienze e a confondere il reale con l’inventato, in uno scenario in cui il conflitto sociale e la durezza del quotidiano non sono contemplati, in un’immagine patinata così finta da sembrare vera. L’etichetta Unesco dei trulli serve da copertura ideologica e finisce per distruggere ciò che intende proteggere: finti trulli costruiti per incassare affitti, botteghe, aperifish, ristoranti gourmet. Dice Marco d’Eramo nel libro Il selfie del mondo che l’urbanicidio prodotto dal turismo attraverso questo processo di mummificazione è tanto più rapido quanto più piccolo è il posto, e infatti i paesi faticano a contemplare riserve di vita, sacche di resistenza. In un futuro non così distopico i turisti vagheranno tra cimiteri e rigattieri pagando pure il biglietto d’ingresso. Un inganno epocale, un’epidemia di simboli e immagini menzognere che schiacciano la realtà, segni privi di estensionalità.
Torno alla logica e penso all’assioma di estensionalità nella teoria degli insiemi, per cui due insiemi sono uguali se e solo se hanno gli stessi elementi. Una banalità all’apparenza, ma come ogni apparenza inganna. Perché se per l’assioma un insieme è determinato univocamente dai suoi elementi, è possibile costruire modelli in cui due insiemi diversi sembrano uguali perché in quel mondo alcuni elementi sono “invisibili”. Se un simulacro viene mostrato come tutto ciò che c’è (Puglia = panzerotti, taranta e luminarie; Grottaglie = ceramica; Alberobello = trulli), allora allertiamoci, guardiamo la trappola che distorce la totalità dell’esistente. Se la governance del territorio fa perno sul dogma della cultura come petrolio da estrarre e del patrimonio come fonte di profitto, almeno chi quel territorio lo vive e lo conosce a memoria non ceda alla miopia di un’ottica estrattiva guardando alla Puglia in base al numero di visitatori e di prenotazioni negli hotel, perché chi ci perde siamo noi, come sempre.
L’acidduzzu ‘nta la argia
o canta pi amuri o canta pi raggia.
(proverbio siciliano)
(chiara romano)
18/6/2024 https://www.monitor-italia.it/
Immagine: disegno di valeria cavallone
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