Nella sanità pubblica martoriata La libertà di parola è salute
Sono un medico del SSN e lavoro in PS. Ho rilasciato un’intervista in cui affermavo che gli operatori sanitari lavorano anche oltre l’orario e sbollati.
Non ho parlato del problema della carenza di posti letto, di medicina domiciliare, di posti per anziani cronici non autosufficienti che costringono i malati ad affollarsi nei PS giacendo anche giorni su scomode barelle. Non ho parlato dell’ormai elevatissimo costo dei ticket e dei farmaci che sta portando una fetta sempre più grande di popolazione a curarsi di meno o a non curarsi affatto. Non ho parlato delle interminabili liste d’attesa per visite ed esami, superabili solo ricorrendo alla sanità privata o all’intramoenia. Non ho parlato della carenza cronica di personale, dopo anni di blocco del turn over. Non ho parlato del disagio degli operatori a cui si aggiunge un contratto non rinnovato e gli stipendi bloccati ormai da troppi anni.
Evidentemente ciò che ho detto è più scomodo se immediatamente è partita, non si sa da chi, la minaccia di un provvedimento disciplinare. Ma è così rivoluzionario fare un’affermazione del genere? Forse sì. Nell’ottica di una progressiva privatizzazione della sanità fanno più comodo coloro che bollano e vanno a fare la spesa, o a giocare a tennis, o, come nella stragrande maggioranza dei casi, nei loro studi o cliniche private; costoro inducono il cittadino medio a credere che il malfunzionamento del sistema sia da imputare a dipendenti lavativi, fannulloni, finanche truffatori; si alimenta la leggenda del dipendente pubblico cronicamente avvezzo alla cura del proprio tornaconto piuttosto che del bene pubblico. Così la privatizzazione verrà accolta con favore, perché i suoi dipendenti non avranno tutti i difetti tipici dello stereotipo pubblico. Affermare che un dipendente pubblico, o peggio, la maggioranza degli operatori sanitari, lavora più del dovuto e senza riceverne un beneficio economico, è una bestemmia intollerabile, un granellino di sabbia che va a disturbare il perfetto ingranaggio di delegittimazione della sanità pubblica. Quindi chi fa queste incaute affermazioni va sanzionato anche per impedire che il contagio delle dichiarazioni scomode si diffonda, il cancro della libertà di parola si impadronisca di medici, infermieri, OSS, personale tecnico e amministrativo, personale esternalizzato.
Il sottoscritto ha evitato il provvedimento grazie ai suoi incarichi sindacali, grazie alla generosa mobilitazione generale indignata per l’accaduto, ma il messaggio lanciato è stato forte e chiaro, l’intimidazione ha ottenuto il risultato sperato: infondere paura e impedire qualsiasi forma, anche larvata, di opposizione, di ribellione, di denuncia.
Questa è una società che ha creato il conflitto tra salute e lavoro, obbligando a scegliere o una o l’altro rifiutando l’idea della convivenza di entrambe, questa è una società che esclude i diversi, che aumenta il divario tra ricchi e poveri e dove i primi diminuiscono e i secondi aumentano sempre più, questa è una società dove lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è il principio fondante, questa è una società che diffonde amplificandole e distorcendole tutte le notizie che alimentano il razzismo e il fascismo, questa è una società che ci sta togliendo progressivamente il diritto di parola. Questa è la società che invece di investire in salute e sanità investe in morte, finanziando costosissimi aerei da guerra e missioni di guerra mascherate da operazioni di pace.
La situazione in regione Piemonte è figlia di anni di trascuratezza del sistema se non a volte di vere e proprie scelte scellerate. Prima fra tutte la distrazione per altri scopi dei fondi destinati alla sanità che risultava in deficit ma in realtà in deficit non era; non ci è dato sapere dove tali fondi siano finiti e per che cosa. Rimane lo sbalordimento per gli sprechi di denaro investiti nell’opera faraonica del grattacielo, tuttora incompiuto e oggetto di indagini giudiziarie. Il parco ospedali ha un’anzianità intollerabile e le risorse si sprecano a causa delle necessarie opere di manutenzione. I posti letto per acuti sono stati tagliati in maniera pesante nella nostra regione e Torino e provincia ne hanno maggiormente sofferto e questa è una delle ragioni per cui i malati languono su delle barelle nei PS. Il territorio langue in uno stato di semi abbandono, nonostante i costi delle cure domiciliari siano enormemente inferiori a quelli che si devono sostenere per le cure residenziali e questa è la seconda ragione della permanenza sulle barelle. Ogni anno si prendono provvedimenti emergenziali per problemi che sono oramai strutturali. La prevenzione continua ad essere la cenerentola che pare non interessi a nessuno.
Per quanto riguarda la città di Torino si è arrivati nuovamente all’ASL unica, nonostante la fallimentare esperienza della 1-23. Si fanno accorpamenti di strutture con responsabili che occupano sempre più posti contemporaneamente portando a un progressivo appiattimento delle professioni. Si accumulano problemi non risolti. Si prevede la costruzione di una Città della Salute che drenerà una grande quantità di risorse, magari sottraendole alla rete regionale; inoltre la prospettiva di project financing consegna tale struttura a una commistione pubblicoprivato tutta a vantaggio di quest’ultimo, come insegna l’esperienza di AMOS-Cuneo.
Per finire ci piacerebbe che i nostri governanti siano meno ipocriti e ci dicano finalmente qual è la direzione che intendono imprimere al nostro sistema sanitario in modo che tutti possano prenderne atto. Per ora il sistema si regge sull’abnegazione degli operatori e sulla pazienza dei fruitori ma non reggerà a lungo, già la posizione della sanità italiana nel panorama mondiale rotola verso il basso e la luce in fondo al tunnel è spenta.
Domenico Martelli
medico ASL Città di Torino USB sanità Piemonte
Pubblicato sul numero di marzo di Lavoro e Salute
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