Nitrati, Ue lancia l’allarme sulle acque inquinate. Italia indietro nei controlli
La Commissione europea lancia l’allarme per l’inquinamento delle acque provocato dai nitrati contenuti nei fertilizzanti agricoli. Lo stato di salute precario delle acque sottorranee e di superficie dell’Unione è descritta nella “Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’attuazione della direttiva 91/676/CEE del Consiglio relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole sulla base delle relazioni degli Stati membri per il periodo 2016-2019″.
L’inquinamento da nitrati è una minaccia alla salute ambientale e dei consumatori e ha un costo elevato: si stima che quello complessivo varia dai 70 ai 320 miliardi l’anno. L’Italia non fa una bella figura, anzi. Il nostro paese è inserito nei 10 stati membri per i quali Bruxelles ha avviato una procedura di infrazione “per la stabilità della rete di controllo, la designazione delle zone vulnerabili ai nitrati e i programmi d’azione“. In buona sostanza, dopo ben due avvertimenti, l’Italia non ha ancora messo mano a un piano dettagliato per individuare le zone vulnerabili contando sulle deroghe concesse per alcune regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia–Romagna.
Sotto accusa fertilizzanti e allevamenti
Come finiscono i nitrati nelle acque e perché vengono usati? Azoto e il fosforo, come scrive la Commissione nella Relazione, sono elementi fondamentali per i vegetali e spesso vengono utilizzati come fertilizzanti nel settore agricolo per garantire rese più elevate e prodotti di qualità. Tuttavia “la crescente domanda di produzione alimentare ha fatto aumentare la produzione e l’uso di fertilizzanti, insieme a notevoli inefficienze e al conseguente inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo e ricadute sulla salute umana e sull’ambiente”.
Oltre all’agricoltura, sono gli allevamenti a contribuire alla dispersione di queste sostanze nell’ambiente visto che “si stima che la produzione zootecnica sia responsabile dell’81% dell’immissione di azoto proveniente dall’agricoltura nei sistemi acquatici e dell’87% delle emissioni di ammoniaca nell’atmosfera prodotte dall’agricoltura”.
La direttiva 91/676/CEE sul contenimento dei nitrati nelle acque sotterranee e di superficie e il Farm to fork poi “stabiliscono l’obiettivo comune di ridurre almeno della metà le perdite di azoto e fosforo nell’ambiente entro il 2030, preservando nel contempo la fertilità del suolo”.
Purtroppo 13 Stati membri (tra cui l’Italia) non hanno fornito informazioni relative al contributo dell’agricoltura al rilascio di azoto nell’ambiente acquatico.
L’Italia non ha un piano di intervento nazionale
Gli Stati membri sono tenuti a individuare le zone inquinate e designarle quali zone vulnerabili ai nitrati nelle quali applicare misure obbligatorie di riduzione e bonifica. Tuttavia, anziché designare zone specifiche quali zone vulnerabili ai nitrati, “essi – si legge nella relazione – possono optare per l’applicazione di un programma d’azione a tutto il territorio, come hanno fatto Austria, Belgio (solo nelle Fiandre), Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Romania e Slovenia. Nel Regno Unito questo approccio è stato seguito anche dall’Irlanda del Nord”. Il grande assente? Ancora una volta l’Italia.
In verità in alternativa al programma di azione per tutto il territorio nazionale, “alcuni Stati membri possono definire ulteriori tipi di zone (ad esempio “punti critici” o “zone rosse”) con misure più rigorose in ragione di un livello di inquinamento locale più elevato o della vicinanza a punti di estrazione dell’acqua potabile. Ciò può valere sia per gli Stati membri che designano zone vulnerabili ai nitrati, sia per quelli che applicano programmi all’intero territorio”.
Ma anche in questo caso, Bruxelles ha da ridire sul modo in cui ha agito l’Italia: “In alcuni Stati membri, quali Bulgaria, Italia, Slovacchia, Spagna e Ungheria, le zone vulnerabili ai nitrati sono alle volte molto limitate e non coprono l’intero bacino idrografico, dando luogo a una designazione altamente frammentata e riducendo l’efficienza dei programmi d’azione”.
Le deroghe concesse al nostro paese
Una delle disposizioni più importanti della direttiva nitrati è quella che prevede che, nelle zone in cui sono in corso programmi d’azione, gli agricoltori non possano spandere sui propri campi oltre 170 kg di azoto proveniente da effluenti per ettaro/anno. Tale limite si applica in tutta l’Ue, ovunque le acque siano già inquinate o a rischio di inquinamento, indipendentemente dalle condizioni climatiche e del suolo e dalle colture coltivate.
Nel periodo di riferimento della relazione 2016-2019 sono state concesse deroghe ai seguenti Stati membri: Belgio (per quanto riguarda la regione delle Fiandre), Danimarca, Irlanda, Italia (per quanto riguarda le regioni Lombardia e Piemonte, scadute nel dicembre 2019 e non sono state rinnovate). In particolare le deroghe consentivano di usare fertilizzanti nei terreni fino a 250 kg per ettaro all’anno in termini di azoto spandibile. Un’enormità che per anni lascerà traccia del proprio passaggio.
Lo stato di salute delle acque
Dai dati relativi alle concentrazioni di nitrati a livello europeo dal report emerge che la qualità delle acque sotterranee è migliorata dopo l’adozione della direttiva, tuttavia a partire dal 2012 i progressi avanzano molto lentamente. “Questo dato – scrive la Commissione – può essere interpretato nel senso che gli obiettivi di più facile portata sono già stati raggiunti e ora occorrono misure più radicali per migliorare l’andamento positivo. Un’elevata percentuale di stazioni di controllo delle acque sotterranee registra tuttora livelli superiori al limite massimo di 50 mg nitrato/litro a Germania, Lussemburgo, Malta, Spagna, Portogallo e Belgio (regione fiamminga)”.
Malgrado i notevoli sforzi profusi dalla maggior parte degli Stati membri e degli agricoltori, concludono laconici da Bruxelles, che hanno “rispettivamente definito e applicato misure atte a limitare le perdite di nitrati nelle acque, dai dati relativi alla qualità di queste ultime emerge che, 30 anni dopo l’adozione della direttiva e nonostante alcuni progressi, il livello di attuazione e garanzia del rispetto non è ancora tale da permettere il conseguimento dei suoi obiettivi. In particolare:
- alcuni Stati membri registrano una cattiva qualità delle acque su tutto il territorio e presentano un problema sistemico nella gestione delle perdite di nutrienti prodotte dall’agricoltura. Tra questi si annoverano Belgio (regione fiamminga), Cechia, Danimarca, Germania, Finlandia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Spagna e Ungheria;
- alcuni Stati membri presentano punti critici in cui l’inquinamento non è contrastato in maniera sufficiente: Bulgaria, Cipro, Estonia, Francia, Italia, Portogallo e Romania”.
Ettore Cera
20/10/2021 https://ilsalvagente.it
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