No alla memoria a senso unico

Dossier 1. Introduzione

Abbiamo deciso di intervenire nel “giorno della memoria”, dominato dalla generalizzata esaltazione istituzionale del sionismo e dello stato di Israele che è si materializzata in queste ore con lo spostamento coatto dei cortei per la Palestina previsti per domani 27 gennaio, a modo nostro. Partendo cioè, lo facciamo in questa introduzione, dall’indiscutibile dato storico delle multisecolari persecuzioni e discriminazioni ai danni della massa degli ebrei, per poi andare a contestare lo sfacciato abuso di questo indiscutibile dato storico volto a legittimare, in generale, il colonialismo sionista, ed in particolare il genocidio in atto a Gaza per mano dello stato di Israele.

La storia delle persecuzioni e delle discriminazioni contro gli ebrei è lunghissima e tragica, e non si limita affatto allo sterminio operato in Europa dal nazismo. La sua partenza su larga scala coincide con l’assunzione del cristianesimo a religione di stato dell’impero romano, e in qualche caso è di poco anteriore. Uno dei primi pogrom anti-ebraici, val la pena di ricordarlo, avvenne alla metà del quinto secolo dopo Cristo su istigazione del papa Leone Magno, per il quale gli ebrei erano “animali selvaggi” (vi ricorda qualcosa che avete sentito di recente da un ministro israeliano che parlava dei palestinesi?), “scellerati, empi, abietti, carnefici di Dio (…), servi e mercenari di Satana”. C’è poi una vera e propria sequenza di uccisioni di massa degli ebrei nel periodo delle crociate, che inizia nel 1096 e si protrae per un buon secolo, di persecuzioni e di espulsioni di massa degli ebrei dai territori che corrispondono ora alla Germania, alla Francia, all’Austria. Le accuse nei loro confronti furono delle più sanguinarie, inclusa, per gradire, la diffusione della peste. L’area in cui essi trovarono invece maggiori, enormemente maggiori, possibilità di pacifica convivenza fu in quel periodo, e in un lunghissimo periodo successivo, proprio quella che oggi si designa come arabo-islamica.

La matrice di questi assassinii e vessazioni fu senza alcun dubbio religiosa, cioè: cristiana (nel tempo, uniti cattolici, protestanti e ortodossi), e culminò nella condanna al rogo di 30.000 ebrei da parte dell’Inquisizione spagnola e nell’espulsione di massa degli ebrei da Spagna e Portogallo negli anni 1492-1496. In seguito, però, la matrice divenne più marcatamente sociale poiché per una serie di fattori, che non possiamo qui indagare, un consistente numero di ebrei si specializzò, fu costretto (ad esempio attraverso il divieto di esercitare l’agricoltura, l’artigianato e altre attività economiche) a specializzarsi nella riscossione dei tributi e nel prestito di denaro ad usura e/o su pegno – attività precluse per ragioni religiose ai cristiani, che naturalmente li rendeva invisi ai malcapitati che dovevano pagarli o che avevano bisogno di denaro, e li rendeva ricchi senza troppa fatica, temibili concorrenti degli usurai nativi – al punto che Abram Léon, un marxista ebreo polacco morto giovanissimo ad Auschwitz nel 1945, ebbe a coniare, per gli ebrei, l’espressione “popolo-classe” nel suo Il marxismo e la questione ebraica, Samonà e Savelli, Roma, 1968, e a spiegare in questo modo perché fossero diventati il capro espiatorio di tutto il malessere sociale.

L’insieme delle vessazioni ai danni degli ebrei, la “ghettizzazione” sistematica cui erano sottoposti, i divieti che li mantenevano come un corpo separato all’interno delle popolazioni in cui vivevano, contribuirono al processo di trasferimento della loro identità religiosa in una etnico/nazionale, capace di sopravvivere all’apertura dei ghetti dell’epoca napoleonica e alla conseguente emancipazione. E questa “doppia identità” favorì la persecuzione degli ebrei fino alle forme genocidarie assunte dal nazismo.

La caratterizzazione degli ebrei come “popolo-classe”, efficace ma in certa misura sommaria, conserva comunque un suo fondamento fino a quando, con “l’esplosione demografica e l’avvento della società industriale anche nella popolazione ebraica avviene una forte polarizzazione sociale tra ebrei ricchi ed ebrei poveri, borghesia ebrea e proletariato ebreo, sempre più lontani e in conflitto tra loro secondo linee di classe, ma ‘uniti’ da una medesima condizione a-nazionale, da un medesimo accentuato ‘internazionalismo’, e dunque percepiti da tutti i nazionalismi europei ben prima di Hitler come un duplice agente ‘concordemente’ corrosivo della identità e della compattezza delle nazioni europee”, specie quelle in formazione (Pietro Basso, Razze schiave e razze signore, Angeli, 2022, pagg. 112-3).

La tragedia dello sterminio degli ebrei per mano del nazismo “è stata preparata in tutta Europa dall’onda dei nazionalismi. Nessuno dei nazionalismi europei può dirsene incolpevole. E non soltanto perché nessuna delle democrazie europee ‘anti-naziste’ levò un solo dito contro la ‘soluzione finale’, ma anche perché tutti i maggiori stati europei, insieme con la Chiesa, hanno concorso a produrre le condizioni che l’hanno resa possibile. Se lo scoppio della persecuzione anti-ebraica è stato così devastante in Germania negli anni ‘30 e ‘40, ciò si deve in misura determinante alla condizione rovinosa in cui la Germania venne a trovarsi per avere perso nella prima guerra mondiale ed essere stata sottoposta, con il trattato di Versailles, a imposizioni territoriali e finanziarie veramente strangolatorie. La devastazione sociale provocata dalla guerra, dalla crisi post-bellica, dalla parziale occupazione militare e dalle riparazioni fu un terreno ultrafavorevole all’attecchimento di entrambe le varianti antitetiche dell’anti-ebraismo” (Ivi, pagg. 114-5). Varianti presentate entrambe nel Mein Kampf sotto l’ingannevole etichetta comune dell’“ebreo internazionale”, ossia da un lato l’ebreo marxista, contro il quale Hitler chiamò ad una “guerra di annientamento” (non si può dire che non sia stato di parola), e dall’altro l’ebreo agente del “giudaismo di Borsa internazionale”, con il quale secondo tipo di ebreo i rapporti del nazismo non furono esattamente antagonistici e di annientamento.

Insomma per noi marxisti lo sterminio della massa degli ebrei europei avvenuto nel corso del gigantesco macello della seconda guerra mondiale – ecco un’altra delle condizioni di contesto fondamentali, se si prescinde dalla quale si va sempre su false piste – non ha nulla di misterioso, di incomprensibile, di irrazionale [tra i tanti, gli studi di R. Hillberg, La distruzione degli ebrei di Europa, Einaudi, 1995, e quelli di E. Collotti, La Germania nazista, Einaudi, 1962, e Hitler e il nazismo, Giunti, 1994, sono sicuramente istruttivi anche a questo proposito]. E sia ben chiaro: di tutta questa vicenda storica è necessario vitale conservare una giusta memoria, mai sottovalutando la semina dall’alto del razzismo che può ben attecchire anche a livello popolare, e nello stesso tempo evitando di fare abborracciati, improbabili, spesso controproducenti, paralleli storici.

Lo sterminio nazista della massa degli ebrei europei, dicevamo, non ha nulla di misterioso, di incomprensibile, di irrazionale, a meno che non si voglia chiamare in causa l’irrazionalità e la distruttività del capitalismo in tutte le sue varianti, la democratica non meno di quella nazifascista, specie nel corso dei conflitti inter-imperialistici (HiroshimaNagasaki, Dresda vi dicono qualcosa?). Ma non è questo che fanno gli apologeti del “giorno della memoria”. Al contrario essi insistono su ben altri tasti: proprio sulla unicità, sulla inesplicabilità, sul carattere “misterico” di quello sterminio (Novick ha parlato della costruzione di una “religione misterica” intorno ad essa nel suo The Holocaust in the American Life), sulla sua derivazione dall’“eterno odio” dei gentili contro gli ebrei. E in un modo o nell’altro questa presentazione della storia dello sterminio nazista suggerisce, quando non esplicita a chiare lettere, l’eccezionalità “ontologica” degli ebrei, ed il fatto che l’“unicità” delle sofferenze da loro subite gli attribuisce “diritti unici” – incluso, come avviene in questi giorni, il diritto al genocidio nei confronti del popolo palestinese, che sarebbe un abusivo occupante della terra che il dio degli ebrei ha assegnato loro dalla notte dei tempi e per sempre, il nuovo popolo di Amalec da sterminare “uccidendo uomini e donne, fanciulli e bambini, bovi e pecore, cammelli e asini” (1° libro di Samuele, 15, citato di recente da Netanyahu per giustificare la mattanza di Gaza, che naturalmente nessuno osa accusare di fanatismo religioso).

Contro questa ideologia bellicista e colonialista che sta alla base della fondazione e dell’azione permanente dello stato di Israele, difesa a spada tratta dall’imperialismo occidentale nel suo complesso, noi chiamiamo a testimoniare qui alcuni ebrei anti-sionisti. Lo facciamo intenzionalmente anche per sottolineare come uno dei tanti inaccettabili soprusi del delirio filo-sionista in corso in Europa sia identificare il sionismo e l’apparato di stato sionista con l’ebraismo, e ancor più identificarli con gli ebrei in quanto tali – la maggioranza di essi, tra l’altro, vive fuori da Israele, e la parte più valente di essi sta manifestando contro lo stato che pretende di rappresentarli fin dentro il congresso statunitense, opportunamente bollando Biden come un assassino.

Era inevitabile iniziare questo Dossier di contro-informazione e critica dell’ideologia dominante dall’Italia – il nemico principale, per noi internazionalisti, è qui, sono il governo e lo stato italiani, ed in questo caso dalla scuola italiana che organizza viaggi in Israele quasi fosse oggi il rifugio sicuro da un’eterna Auschwitz, una sorta di paradiso dei diritti universali, anziché lo stato fondato su una spietata pulizia etnica permanente, costruttore del più grande carcere a cielo aperto del mondo (da leggere, sempre, gli accurati studi di Ilan Pappé, La pulizia etnica della Palestina, e La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati, pubblicati entrambi da Fazi Editore), attore da tre mesi di un’efferata operazione-genocidio.

Proseguiamo poi con l’illustrazione della “industria dell’Olocausto” (Finkelstein); un flash sulle radici europee e moderne della “violenza nazista” (Traverso); il ricordo – per gli smemorati – del collaborazionismo di certi settori privilegiati del mondo ebraico nell’attuazione dello sterminio dell’ebreo-massa (H. Arendt), dal momento che, qualunque cosa si voglia dire in contrario, le classi contano (anche negli stermini); per chiudere con la questione dell’anti-semitismo e del “neo-antisemitismo”.

Troverete diversi suggerimenti di studio, ridotti comunque all’osso. D’altra parte chi voglia affrontare la “questione palestinese”, il suo rapporto con la “questione ebraica”, e la relazione tra questa, il sionismo e l’anti-sionismo, un intreccio storico-sociale e ideologico quanto mai complesso, senza le indispensabili conoscenze, può soltanto fare guai. Per sé e per gli altri.

26/1/2024 https://pungolorosso.com/

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